La notaia non risarcisce per la maggiore imposta pagata per la vendita del terreno registrata al ribasso, se il cliente non ha rispettato l’obbligo di cooperazione e messo a disposizione della professionista la perizia di stima (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 17 settembre 2024, n. 24973).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill,mi Sigg.ri Magistrati

GIACOMO TRAVAGLINO           Presidente

ENRICO SCODITTI                      Consigliere – Relatore

LINA RUBINO                             Consigliere

ENZO VINCENTI                         Consigliere

PAOLO SPAZIANI                       Consigliere

Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27497/2022 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in ROMA V.LE (omissis) (omissis) 22, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis)

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (omissis) (omissis) 22, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2022/2022 depositata il 19/09/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal consigliere dott. ENRICO SCODITTI

Rilevato che:

(omissis) (omissis), soggetto passivo del debito ereditario quale erede di (omissis) (omissis), convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Pistoia (omissis) (omissis) chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 82.737, pari alla maggior imposta derivante da avviso di accertamento, perché, quale notaia che aveva provveduto al rogito dell’atto con cui la (omissis) aveva venduto un terreno edificabile, era inadempiente in ordine ai propri doveri professionali in relazione al prezzo della compravendita, indicato per un ammontare inferiore a quello determinato sulla base di perizia giurata di stima, come previsto dall’art. 7 legge n. 448 del 2001, ai fini della determinazione della plusvalenza.

Il Tribunale adito rigettò la domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese processuali nonché di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96.

Avverso detta sentenza propose appello il (omissis). Con sentenza di data 19 settembre 2022 la Corte d’appello di Firenze rigettò l’appello.

Premise la corte territoriale che la venditrice aveva scelto di avvalersi, in epoca anteriore al rogito, dell’agevolazione disciplinata dall’art. 7 l. n. 448 del 2001, commettendo tuttavia l’errore di versare l’imposta sostitutiva non sul valore del terreno risultante dalla perizia di stima giurata, ma sul valore inferiore rappresentato dal prezzo pattuito.

Osservò quindi che il notaio non aveva alcun obbligo di verificare il corretto calcolo e versamento dell’imposta sostitutiva e che l’obbligo informativo per il notaio sarebbe insorto se gli fosse stata chiesta una consulenza fiscale oppure se alla professionista fosse stata posta a disposizione la perizia giurata, in modo che l’erronea autoliquidazione dell’imposta sostitutiva fosse stata verificabile, con conseguente dovere del notaio di richiamare l’attenzione della venditrice sull’errore in cui era incorsa.

Ha aggiunto che la prova di tale circostanza non era stata offerta dalla parte attrice, risultando dall’atto soltanto la dichiarazione della parte venditrice di redazione della perizia giurata ai sensi dell’art. 7 legge n. 448 del 2001 e che la venditrice aveva già effettuato il versamento dell’imposta sostitutiva pari ad Euro 14.461,00.

Concluse nel senso che la notaia aveva avuto motivo di ritenere che la perizia avesse evidenziato un valore coincidente con il prezzo di vendita, essendo stata redatta in prossimità dell’atto, e che l’imposta versata rappresentasse il 4% del valore di perizia e del prezzo di vendita da presumere come coincidenti.

Osservò infine che fondata era l’eccezione di inammissibilità ai sensi dell’art. 342 c.p.c. del motivo di appello avente ad oggetto la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., non avendo l’appellante affrontato nessuno degli argomenti posti dal primo giudice a fondamento della relativa condanna.

Ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata.

É stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ..

É stata presentata memoria.

Considerato che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1175, 2336 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n.5, cod. proc. civ..

Premette la parte ricorrente che fra i compiti affidati al notaio vi è anche quello relativo alla plusvalenza secondo il procedimento previsto dall’art. 7 legge n. 448 del 2001.

Osserva quindi che la responsabilità professionale deriva sia dalla negligenza professionale nella fase preparatoria dell’atto, dovendo la notaia rilevare che l’imposta versata prima della compravendita era stata pagata per un importo inferiore e dovendo informare la venditrice che il valore determinato dal perito era l’importo minimo sulla base del quale calcolare l’imposta, sia dalla negligenza professionale nella fase successiva all’atto, avendo omesso di informare la venditrice della possibilità di integrare il versamento nel termine previsto dalla legge.

Aggiunge che l’onere probatorio da parte della professionista non era stato assolto e che la responsabilità del notaio, in relazione alla tassazione da plusvalenza, è stata ritenuta da Cass. 3984 del 2019.

Il motivo è inammissibile.

Va premessa l’inammissibilità della censura in relazione al vizio motivazionale stante il divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c. in presenza di c.d. doppia conforme ed alla luce della mancata dimostrazione della divergenza fra le due pronunce di merito al livello delle ragioni di fatto.

Dall’articolazione del motivo non emerge comunque il fatto storico il cui esame sarebbe stato pretermesso dal giudice d’appello.

Il giudice del merito ha accertato che l’obbligo informativo per la notaia sarebbe insorto se alla professionista fosse stata posta a disposizione la perizia giurata, in modo che l’erronea autoliquidazione dell’imposta sostitutiva sarebbe stata verificabile, con conseguente dovere del notaio di richiamare l’attenzione della venditrice sull’errore in cui era incorsa.

Sul punto ha poi accertato che la prova di tale circostanza non è stata offerta dalla parte attrice, risultando dall’atto soltanto la dichiarazione della parte venditrice di redazione della perizia giurata ai sensi dell’art. 7 legge n. 448 del 2001 e che la venditrice aveva già effettuato il versamento dell’imposta sostitutiva pari ad Euro 14.461,00, da ciò ricavando, la corte territoriale, che la notaia avesse motivo di ritenere che la perizia avesse evidenziato un valore coincidente con il prezzo di vendita, essendo stata redatta in prossimità dell’atto, e che l’imposta versata rappresentasse il 4% del valore di perizia e del prezzo di vendita da presumere come coincidenti.

La ratio decidendi è dunque quella della carenza del presupposto di fatto, di insorgenza dell’obbligo informativo della professionista, rappresentato dalla mancata consegna alla notaia della perizia giurata di stima.

Tale ratio decidendi, che rinvia al dovere del creditore di cooperazione ai fini dell’adempimento dell’obbligazione, non è stata specificatamente impugnata. Ne discende il difetto di decisività della censura.

E’ appena il caso di aggiungere che il ricorrente ha omesso di specificare quale sia stata la condotta inadempiente contestata alla convenuta in sede di processo di primo grado, se il comportamento in sede di formazione dell’atto o quello nella fase successiva al rogito, o se entrambi i contegni. In mancanza dell’assolvimento dell’onere processuale di cui all’art. 366, comma 1, c.p.c. al riguardo, ove impugnata la ratio decidendi sopra indicata, non sarebbe stato comunque possibile scrutinare il motivo di ricorso con riferimento alla condotta della professionista successiva al rogito, in relazione alla possibilità per la venditrice di integrare il versamento dell’imposta nel termine di legge.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 96 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..

Osserva la parte ricorrente che il motivo di appello, avente ad oggetto la responsabilità aggravata, era non solo enunciato, ma anche motivato e che non esistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 96.

Il motivo è inammissibile.

Deve premettersi che la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante “error in procedendo“, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza” (Cass. n. 3612 del 2022).

La corte di legittimità è giudice del fatto processuale e deve pertanto accedere al fascicolo processuale per lo scrutinio della censura. L’accesso agli atti presuppone tuttavia il previo assolvimento dell’onere, di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., di specifica indicazione del contenuto dell’atto processuale su cui il motivo di censura si fonda.

Tale onere processuale non risulta assolto, da cui l’impossibilità di scrutinare il motivo, perché nessuna indicazione è stata fornita circa il contenuto del motivo di appello se non che fosse “motivato”, indicazione chiaramente inidonea ad illustrare il contenuto dell’appello ed a spiegare perché l’impugnazione fosse da ritenere “motivata”.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il giorno 28 giugno 2024

Il Presidente

Dott. Giacomo Travaglino

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

Rispondi