La notifica via PEC al domiciliatario è valida anche se l’indirizzo fisico dell’imputato è errato (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 4 giugno 2024, n. 22295).

REPUBBLICA ITALIANA

in nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Gastone ANDREAZZA            Presidente

Dott. Andrea GENTILI                      Consigliere

Dott. Emanuela GAI                         Relatore

Dott. Gianni Filippo REYNAUD       Consigliere

Dott. Enrico MENGONI                   Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 04/10/2023 della Corte d’appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Raffaele Piccirillo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, emessa nel giudizio di rinvio a seguito di sentenza di annullamento della Corte di cassazione, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di condanna del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena sospesa di mesi sei di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 10 – bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale legale rappresentante della cooperativa (omissis) Servizi Cooperativa sociale, per avere omesso il versamento delle ritenute dovute per un ammontare di € 195.000,00. Commesso in Milano il 15/09/2016.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione l’avv. (omissis), difensore di fiducia deducendo i seguenti motivi.

– Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. c) cod.proc.pen. in relazione alla nullità ex art. 178 cod.proc.pen. Nullità assoluta per omesso avviso all’imputato elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore avv. (omissis) in Milano, stante la notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello, del 05/07/2023, con l’indicato domicilio in (omissis) (omissis), via (omissis) 9.

– Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’art. 10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo nonché all’omesso riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 45 cod.pen.

Il giudizio di colpevolezza espresso dal giudice di primo grado sarebbe illogico nella misura in cui, disattendendo le deduzioni difensive e le produzioni documentali che dimostravano come il (omissis), legale rappresentante della cooperativa (omissis)‘ era impossibilitato ad effettuare i versamenti dovuti a causa del dissesto economico provocato dai reiterati ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni con le quali essa lavorava in esclusiva, fornendo servizi socio assistenziali ed educativi ed ancora che il grave ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione generava uno squilibrio finanziario al quale si cercava di sopperire dilazionando quanto più possibile il pagamento di debiti e di imposte dopo aver onorato il pagamento degli stipendi dei dipendenti e dei fornitori.

Anche la decisione di rateizzare i debiti e le imposte rappresentava l’unica strada percorribile al fine di garantire la prosecuzione dell’operatività della (omissis) e il pagamento degli stipendi ai dipendenti e la somministrazione delle terapie ai pazienti, tutto fino all’ineluttabile procedura di liquidazione coatta amministrativa attualmente in corso.

Sulla base di tali evidenze probatorie il giudice di primo grado avrebbe disatteso totalmente la tesi difensiva con ragionamento meramente presuntivo e in ogni caso palesemente illogico attraverso il quale riteneva di poter dimostrare la volontarietà del comportamento omissivo in punto mancato pagamento delle ritenute certificate da parte dell’odierno ricorrente.

Secondo il primo giudice il dolo del reato risulterebbe provato dalla circostanza che la pubblica amministrazione avrebbe provveduto al pagamento in massima parte dei propri debiti relativi all’anno precedente senza che la cooperativa (omissis) avesse tuttavia provveduto al pagamento delle ritenute certificate correnti.

Il ritardo nei pagamenti da parte degli enti era testato in un anno circa e dunque la cooperativa provvedeva a chiedere la rateizzazione delle imposte che maturavano periodicamente in assenza di regolari incassi da parte della pubblica amministrazione, sicché, contrariamente a quanto ritenuto, la cooperativa (omissis) non avrebbe avuto in alcun modo la possibilità di far fronte ai debiti correnti dovendo coprire tutto il pregresso carico debitorio anche tributario relativo all’anno precedente e continuando contestualmente a pagare i costi necessari per mantenere la propria operatività e così pagare i dipendenti e offrire le terapie ai pazienti.

– Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 192, 546 cod.proc.pen. e violazione dei criteri di valutazione della prova e della regola dell’al di là del ragionevole dubbio. Motivazione contraddittoria. Il Tribunale avrebbe tentato di dare una interpretazione dei dati di bilancio e anche in questo caso il ragionamento sarebbe illogico laddove avrebbe proceduto a valutazioni circa la correttezza e l’adeguatezza della gestione imprenditoriale sulla base di dati relativi all’esercizio chiuso al 31/12/2019, mentre l’ipotesi di reato contestata è riferibile al 15 settembre 2016.

– Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Difetto di motivazione. Il Tribunale non avrebbe valutato lo sforzo personale riparatorio messo in atto dall’imputato ed avrebbe immotivatamente respinto la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

– Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione al trattamento sanzionatorio e all’art. 133 cod.pen.; omessa motivazione avendo il tribunale ritenuto di applicare una pena superiore al minimo edittale fornendo una generica e superficiale enucleazione dei criteri di scelta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Dagli atti del fascicolo processuale, a cui la Corte di legittimità ha accesso in presenza di deduzione di un error in procedendo, risulta che il decreto di fissazione dell’udienza in Corte d’appello è stato notificato tramite pec, in data 10 luglio 2023, all’avv. (omissis) (omissis) sia in proprio che quale domiciliatario del (omissis) (omissis).

All’indirizzo pec dell’avvocato (omissis) sono state effettuate due notifiche del decreto di fissazione dell’udienza di appello, sia quale difensore che quale domiciliatario del (omissis).

Nessuna nullità si è verificata essendo stata correttamente effettuata la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza all’imputato (omissis) che aveva eletto domicilio presso il difensore avv. (omissis), tramite pec, a nulla rilevando eventuali discrasie nell’indicazione contenuta sul decreto di fissazione, in data 5 luglio 2023, del luogo del domicilio.

Nel sistema in vigore di notificazione tramite pec, la notificazione degli avvisi e/o decreti nei confronti dell’imputato, che ha eletto domicilio presso il difensore, è correttamente eseguita mediante inoltro di una pec all’indirizzo di questi.

Sin dall’entrata in vigore del codice di procedura penale, in base alla previsione dell’articolo 150 cod. proc. pen. in casi particolari, i giudici, con specifico decreto, hanno potuto disporre le notificazioni a persone diverse dall’imputato con mezzi tecnici che garantissero la conoscenza dell’atto (e dunque, dopo la sua introduzione, anche con la P.E.C.).

L’entrata in vigore della legge 15 dicembre 2001, n. 438, che ha introdotto li comma 2-bis nell’art. 148 cod. proc. pen., ha consentito la facoltà a tutti gli uffici giudiziari di notificare via P.E.C. ai difensori, in quanto tale strumento rientra nel novero dei “mezzi idonei” cui fa riferimento la norma.

Dall’entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, gli uffici di tribunali (di procure) e di corte di appello, devono notificare esclusivamente tramite P.E.C. a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale, alle persone diverse dall’imputato titolari di un indirizzo P.E.C. risultante da pubblici elenchi o da elenchi comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, senza necessità di specifici decreti attuativi.

Le disposizioni di cui all’art. 16, comma 4, sono state riprese nell’art. 83, commi 13 e 14 del decreto legge, 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge, 24 aprile 2020, n. 27, secondo cui: “le comunicazioni e le notificazioni relative agli avvisi e ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali ai sensi del presente articolo, nonché dell’articolo 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, sono effettuate attraverso il Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali ai sensi dell’articolo 16 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.221, o attraverso sistemi telematici individuati e regolati con provvedimento de Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti indicati al comma 13 agli imputati e alle altre parti sono eseguite mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio”.

Il novellato art. 148 comma 1, ad opera della Riforma Cartabia, d.lgvo 10 ottobre 2022, n. 150, prevede «salvo che la legge disponga altrimenti le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche che, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, assicurano la identità del mittente e del destinatario, l’integrità del documento trasmesso, nonché la certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione».

La notifica dell’atto contenente la vocatio in ius, ai sensi dell’art. 601 cod.proc.pen., va effettuata, qualora sia stata fatta la dichiarazione ai sensi dell’art. 161 cod.pen. «al domicilio dichiarato o eletto», secondo le modalità telematiche di cui all’art. 148 cod.proc.pen.

D’altra parte, questa Corte di legittimità aveva già affermato che «è valida la notifica effettuata, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., mediante invio al difensore, tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), dell’atto da notificare all’imputato, atteso che la disposizione di cui all’art. 16, comma quarto, D.L. 16 ottobre 2012 n. 179, che esclude la possibilità di utilizzare la “pec” per le notificazioni all’imputato, va riferita esclusivamente alle notifiche effettuate direttamente alla persona fisica dello stesso e non a quelle eseguite mediante consegna al difensore seppure nel suo interesse» (Sez. 4, n. 16622 del 31/03/2016, Severi, Rv. 266529).

4. Nel caso in esame, il decreto di citazione per il giudizio di appello, benché indicante un luogo di elezione, di domicilio errato, emesso in data 5 luglio 2023, è stato notificato al ricorrente tramite pec all’avvocato difensore presso il quale aveva eletto domicilio.

Deve dunque affermarsi che la notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello all’imputato elettivamente domiciliato presso il difensore è correttamente eseguita tramite inoltro via pec all’indirizzo di posta certificata del difensore e l’esecuzione della notifica, accettata dal sistema, mediante posta elettronica certificata rende evidentemente irrilevante l’indicazione del domicilio fisico del domiciliatario, essendo peraltro pacifica l’eseguibilità con detto mezzo delle notifiche destinate all’imputato da eseguirsi mediante consegna al difensore, come affermato da Sez. 4, n. 40907 del 2016, Rv. 268340-01, principio che mantiene validità anche all’esito delle modifiche normative introdotte dalla legge Cartabia.

L’affermazione trova solido ancoraggio nel principio affermato dalle Sezioni unite per il quale «La notificazione di un atto all’imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell’art. 148, comma secondo bis, c.p.p.» (Sez. U, n. 28451 del 2011, Rv. 250121-01).

Principi che non sono superati dall’utilizzo di nuovi mezzi idonei tra cui nel novellato art. 148 comma 2 bis cod.proc.pen. vi è appunto la notificazione telematica.

5. Nel merito il ricorso è inammissibile perché privo della necessaria critica censoria alla sentenza impugnata ed è anche in parte diretto a richiedere una rivalutazione del fatto che non è consentita in questa sede.

E’ noto che, per giurisprudenza consolidata, la mancanza di specificità del motivo va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Bourtartur, Rv. 277710 — 01; Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, Rv. 221693).

Quanto al caso in esame, il ricorso non contiene alcun riferimento alla sentenza impugnata, ovvero la sentenza della Corte d’appello del 4 ottobre 2023, essendo censurata unicamente la sentenza del Tribunale come è chiaramente evincibile dalla semplice lettura dell’atto di impugnazione.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammenda.

Così deciso il 14/03/2024.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.