La produzione di pagamenti con strumenti tracciabili non costituisce prova idonea a dimostrare l’esistenza di un’operazione (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 27 marzo 2025, n. 8130).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati

LUCIO LUCIOTTO                            Presidente

GIACOMO MARIA NONNO            Consigliere

MARIA GIULIA PUTATURO             Consigliere

DONATI VISCIDO DI NOCERA

ANDREA ANTONIO SALEMME      Relatore

FRANCESCO GRAZIANO                 Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22669/2023 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che larappresenta e difende

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA (OMISSIS) 1L, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS)

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO della CALABRIA n.1866/2023 depositata il 30/06/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere dott. ANDREA ANTONIO SALEMME.

Rilevato che:

1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe, emerge quanto segue:

L’Agenzia delle Entrate di Reggio Calabria ha appellato la sentenza 5289/17 della Commissione tributaria di Reggio Calabria, con cui era stata accolta l’impugnazione da parte della società (OMISSIS) (OMISSIS) S.R.L. dell’avviso di accertamento indicato in epigrafe, relativo all’anno d’imposta 2010, fondato sul disconoscimento di costi, relativi a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Nel ricorso di primo grado la società aveva eccepito:

a) il difetto di motivazione dell’accertamento, in quanto fondato su processo verbale effettuato nei confronti della società (OMISSIS), fornitrice dei beni indicati nelle fatture in esame, e non nei confronti della ricorrente;

b) l’infondatezza dell’accertamento, dal momento che la ricorrente non era a conoscenza dell’inoperatività della società fornitrice e che le operazioni commercial[i] erano realmente avvenute, come dimostrato dalle fatture e dal pagamento delle stesse con mezzi tracciabili.

La sentenza aveva accolto il ricorso, ritenendo la carenza di motivazione e la carenza di prova da parte dell’Agenzia in ordine ai presupposti di applicabilità dell’accertamento.

Nell’atto di appello l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto l’erroneità della sentenza.

2. La CTR della Calabria, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello agenziale, osservando:

Sebbene […] il motivo di appello con cui l’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’accertamento carente nella motivazione sia fondato – atteso che nell’accertamento de quo sono chiaramente specificati i motivi posti a base dello stesso, come si evince chiaramente dalla pag, 3 dell’atto, cosicché l’allegazione del P.V.C. nei confronti della (OMISSIS) non era affatto necessario, essendo la odierna società ricorrente posa in grado di capire i motivi posti a base dell’accertamento – va tuttavia osservato come l’Agenzia delle Entrate non abbia fornito prova, nel merito dell’accertamento, che la società ricorrente fosse consapevole dell’inoperatività della (OMISSIS), una volta dimostrato dalla contribuente che le operazioni disconosciute erano state effettive […].

Orbene, nel caso di specie, la parte ricorrente ha fornito sia le fatture sia, soprattutto, la prova della sussistenza dei pagamenti delle stesse con strumenti tracciabili, cosicché si ritiene che tali elementi (in particolare il pagamento della fornitura con strumenti tracciabili) siano idonei ad escludere, in assenza di ulteriori apporti fattuali da parte dell’Ufficio, la prova della consapevolezza, in capo alla ricorrente, della inoperatività della sua dante causa.

3. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo, cui resiste la contribuente con articolato controricorso.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del DPR 633/72 in combinato disposto con l’art. 2729 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1 n. 3 cpc.”.

1.1. È illegittima la sentenza impugnata “laddove afferma che l’Agenzia delle Entrate non ha fornito prova, nel merito dell’accertamento, che la società ricorrente fosse consapevole dell’inoperatività della (OMISSIS), una volta dimostrato dalla contribuente che le operazioni disconosciute erano state effettive […]”. Inoltre, “è assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimità che la produzione dei pagamenti con strumenti tracciabili non costituisce idonea prova a dimostrare l’esistenza di un’operazione, considerato che spesso anche l’apparente pagamento può sottendere una frode”.

Ancora, “non viene fatta menzione delle ulteriori criticità evidenziate dall’Ufficio, in particolare in merito al fatto che la ditta fornitrice (OMISSIS) (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS) aveva fatturato un importo imponibile considerevole, pari a € 105.664,70 con IVA pari ad € 21.186,95, ancor prima dell’apertura della partita IVA, oltre al fatto che la stessa aveva cessato l’attività appena nove mesi dopo l’apertura della partita IVA, [né vengono considerate l’omessa presentazione delle dichiarazioni da parte di quest’ultima e [la] totale omissione di versamenti di imposte”.

1.2, Il motivo – che supera il vaglio di ammissibilità perché enuclea precise violazioni di legge, coerentemente ragguagliandole al corretto paradigma censorio –è fondato e merita accoglimento.

In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.

L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par- tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C-277/14; Corte Giust. Bonik, C-285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429-01,cui “adde”, da ultimo, in ipotesi di “re – verse charge”, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882-01).

Donde, ancor più esplicitamente, “in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio” (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554-01, ribadita da Sez. 6-5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691-01).

Ancora, “in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (così, tra le innumerevoli, Sez. 5, n. 24471 del 09/08/2022, Rv. 665800- 02).

Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio- nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. Mahagèben e David, C-80/11 e C- 142/11 e Corte Giust. Kittel, C-439/04; dall’altro, “ex multis”, Sez. 6-5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435-01).

Sotto altro profilo, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare la soggettiva insussistenza delle operazione, vige il principio secondo cui “il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.

Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589-01).

In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che “il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.

Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma” (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316-01).

1.2.1. La CTR ha patentemente inosservato i superiori principi. Essa, – da un lato, ha pretermesso la valutazione – dapprima singolarmente indi unitariamente, in funzione dell’idoneità a comporre un quadro d’insieme dotato di logicità e coerenza – di tutti i numerosi elementi addotti dall’Ufficio a sostegno dell’inesistenza soggettiva delle operazioni, con particolare riguardo al fatto che nella sede della ditta (OMISSIS) si è fisicamente riscontrata l’assenza di qualsiasi attività commerciale; – dall’altro lato, ha attribuito decisivo rilievo ad elementi, quali la regolarità formale di fatture e pagamenti, che ne sono pacificamente privi, essendo anzi coessenziali al meccanismo illecito.

2. In definitiva, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quella del grado.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, per nuovo esame e per le spese.

Così deciso a Roma il 13 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2025.

SENTENZA