REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. SALVATORE DOVERE – Presidente –
Dott. UGO BELLINI – Consigliere –
Dott. ALESSANDRO RANALDI – Consigliere –
Dott. FRANCESCO LUIGI BRANDA – Relatore –
Dott. DANIELA DAWAN – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 10/05/2024 della Corte d’appello di Catanzaro.
Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere Dott. Francesco Luigi Branda;
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dalla difesa dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Catanzaro, con la decisione indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza emessa in data 9 giugno 2022 dal Tribunale di Castrovillari, con la quale (omissis) (omissis) veniva condannato alla pena di anni due e mesi due di reclusione, previo riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 589 bis cod. pen. ricr. requivalente alla contestata recidiva, per i reati di omicidio stradale e di inottemperanza agli obblighi di fermarsi e prestare soccorso al soggetto investito.
In breve il fatto per una migliore intelligenza dei motivi posti a base del ricorso.
Il giorno 25 marzo 2016, l’imputato, alla guida di un autocarro, nel mentre effettuava una manovra di retromarcia in via Fuscaldo di (omissis), aveva investito il pedone (omissis) (omissis), passandogli sopra con la parte posteriore del mezzo e causandone l’immediato decesso.
I giudici di merito, tenuto conto della situazione dei luoghi in cui ebbe a verificarsi il sinistro e della probabile presenza di pedoni (vale a dire, in prossimità di un negozio di generi alimentari dove il (omissis) aveva appena effettuato una consegna di merce) e, considerate le caratteristiche del mezzo, privo di completa visuale nel procedere in retromarcia e con sistema frenante non perfettamente funzionante, hanno ritenuto che il conducente del furgone, nel procedere a retromarcia, avrebbe dovuto costantemente sincerarsi che dietro al proprio automezzo, lungo la direzione intrapresa (a marcia indietro), non si trovassero pedoni.
Gli stessi giudici hanno altresì precisato che, stante la pacifica inidoneità degli specchietti retrovisori a coprire l’intera area retrostante il mezzo e a visualizzare eventuali ostacoli, specialmente pedoni sulla traiettoria in retromarcia, il (omissis) non avrebbe dovuto effettuare quella manovra azzardata, avendo la possibilità di allontanarsi dal luogo di sosta procedendo in avanti, come attestato dalla testimone (omissis) (omissis), proprietaria del negozio antistante.
Inoltre, in considerazione del fatto che il pedone aveva quasi ultimato l’attraversamento, il conducente del mezzo avrebbe avuto il tempo necessario a percepirne la presenza. In ordine alle ulteriori contestazioni (art.189, commi 6 e 7, cod.strada), è stata ritenuta idonea ad integrarle la condotta del (omissis), il quale si era limitato a fermarsi brevemente e a invitare uno dei soggetti presenti (tale (omissis)) a chiamare l’ambulanza, allontanandosi repentinamente dal posto. In tal senso è stato valorizzato il fatto di essersi reso momentaneamente irreperibile e di non aver così consentito lo svolgimento di indagini tecniche sul furgone.
2. (omissis) (omissis) a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, per i seguenti motivi.
2.1 Con riferimento al capo 1, viene eccepita la mancanza assoluta di motivazione rispetto ai motivi di appello.
Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale ha confermato la sentenza impugnata, nelle parti concernenti l’affermazione di responsabilità dell’imputato, senza sottoporla ad alcun vaglio critico e senza esaminare e valutare, sia pure per ritenerli inconferenti o infondati, gli specifici motivi di impugnazione proposti dall’appellante, basati anche sugli esiti di una consulenza tecnica di parte.
La sentenza impugnata, con motivazione apodittica, oltre a richiamare integralmente la motivazione del primo giudice, si sarebbe limitata ad evidenziare che il mezzo condotto dall’imputato non avesse sufficiente visibilità nel procedere in retromarcia.
Dopo aver richiamato l’articolo 589 bis cod.pen., il ricorrente evidenzia che, dal tenore letterale della norma, si ricava che intanto è ravvisabile il reato in quanto in capo al soggetto agente sia ravvisabile la violazione di una prescrizione del codice della strada che abbia efficacia determinante nella produzione dell’evento.
Osserva che, in relazione alla dinamica del sinistro ed alla contestata violazione di regole cautelari, le uniche emergenze probatorie sono rappresentate dalle dichiarazioni e conclusioni dei consulenti di parte, atteso che i testimoni escussi riferivano solo in relazione alla condotta di cui al capo 2 della rubrica, ossia alla non ottemperanza all’obbligo di fermarsi e di prestare soccorso.
Il consulente del Pubblico Ministero evidenziava le seguenti violazioni: aver eseguito una manovra di retromarcia, creando pericoli agli altri utenti della strada; aver circolato con una massa complessiva superiore a quella indicata sulla carta di circolazione; aver circolato senza tener del veicolo in condizioni di massima efficienza con riferimento alla condizione dell’impianto frenante, dei dispositivi di segnalazione visiva e acustica e di illuminazione; aver spostato l’autocarro dai luoghi del sinistro.
Lo stesso consulente ricostruiva la dinamica del sinistro sulla base di osservazioni non condivisibili, ritenendo che il (omissis), prima di effettuare la manovra, ritenuta pericolosa, avrebbe dovuto assicurarsi di poterla effettuare senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada.
Non è stato considerato che il conducente del veicolo, all’atto di partenza in retromarcia, non poteva vedere il pedone in movimento in quanto nascosto dalla sagoma posteriore del furgone stesso, se non per qualche frazione di secondo, intercorsa tra il momento dell’uscita dello stesso pedone dal passaggio pedonale sino alla scomparsa del campo visivo degli specchietti retrovisori del mezzo.
Al contrario, il consulente della difèsa osservava che l’attraversamento da parte del pedone del tratto di strada dove avvenne l’investimento fu effettuato in senso diagonale, ravvisandosi in ciò una grave infrazione, tale da porre in pericolo la propria incolumità.
Il comportamento da parte del pedone, integrante un grave profilo di colpa, aveva perciò generato autonomamente una situazione di pericolo per se stesso e per la circolazione, in palese inosservanza dell’articolo 190 Codice della strada. Se infatti il pedone avesse attraversato il tratto di strada perpendicolarmente, anziché procedere in senso diagonale e dunque in maniera non consentita, avrebbe avuto la possibilità di accorgersi della presenza dei veicoli in avvicinamento e il sinistro non si sarebbe verificato.
Egli pertanto si era deliberatamente spostato in maniera imprudente e altamente pericolosa, in violazione agli articoli 140 e 190 del codice della strada, ‘e delle comuni norme di prudenza e attenzione, nella totale noncuranza di ciò che accadeva alla sua sinistra, pur sapendo che l’attraversamento avveniva in zona vietata.
Al contrario, il conducente del furgone aveva prestato la dovuta attenzione nell’eseguire la manovra in retromarcia, con una velocità adeguata e di sicurezza, non potendo individuare il pedone, in quanto nascosto alla sua vista dalla sagoma stessa del mezzo e non potendo immaginare che un pedone si immettesse sulla strada dalla posizione descritta.
I pochi istanti a disposizione per intravedere dagli specchietti il pedone, uscito dalla zona marciapiede e poi subito nascosto dalla sagoma del furgone, non erano assolutamente sufficienti per focalizzarne l’immagine e prevederne i successivi spostamenti.
Pertanto la violazione da parte del pedone delle suddette prescrizioni e l’inosservanza della segnaletica stradale, ha configurato un evidente e determinante profilo di colpa nella causazione del sinistro da parte del pedone.
I giudici di merito non hanno tenuto conto delle suddette conclusioni del consulente della difesa, che avrebbero potuto essere confutate solo attraverso la nomina di un perito da parte della Corte distrettuale.
Il comportamento imprudente dello stesso, prosegue il ricorrente, è risultato abnorme ed imprevedibile nell’ambito della circolazione stradale, essendo invece irrilevanti, se non dal punto di vista amministrativo, i presunti difetti manutentivi del veicolo.
L’imprevedibile attraversamento irregolare del pedone, sicuramente dopo l’inizio della manovra di retromarcia, avrebbe dovuto essere considerato causa esclusiva sola sufficiente a produrre l’evento, o comunque riconducibile alla cornice dell’esimente di cui all’articolo 45 cod.pen.
2.2 Con riferimento al capo 2, è stato ritenuto che in realtà il ricorrente aveva ottemperato all’obbligo di fermarsi. Egli infatti chiese ad un terzo soggetto di sollecitare i soccorsi, dopo aver posto in essere una breve sosta.
Non sarebbe pertanto ravvisabile alcuna fuga, avendo egli fatto affidamento sui soggetti presenti per prestare assistenza al (omissis) e chiamare i soccorsi. Inoltre, la presenza di altre persone rendeva inutile la sua permanenza sicché non sono ravvisabili le violazioni dei precetti di cui all’articolo 189 comma 6 e comma 7, essendo quest’ultima previsione comunque assorbita del reato di cui al capo 1. Inoltre, in relazione all’ipotesi di cui al comma 6 dell’articolo 189, è stata evidenziata l’insussistenza dell’elemento materiale, atteso che il (omissis) era facilmente individuabile, così come è stato effettivamente individuato, sulla base delle indicazioni fornite dai soggetti con cui il medesimo si era intrattenuto, anche per motivi di lavoro, nei minuti immediatamente precedenti al sinistro.
2.3 Il ricorrente contesta la ritenuta recidiva, dichiarata equivalente all’attenuante di cui all’articolo 589 bis, comma 7, cod. pen.
Si deduce l’erroneità della decisione della Corte distrettuale, nella parte in cui ha affermato che la pluralità dei precedenti penali in capo all’imputato e la condotta concreta di assoluta negligenza e di allontanamento dai luoghi, fanno sì che debba ritenersi non occasionale, ma frutto di una certa abitudine, la ricaduta nel reato il mancato rispetto delle regole.
Tale affermazione non collima con quella contenuta nella sentenza di primo grado, nella quale era stato evidenziato che le condanne a carico del (omissis) riguardavano reati contro il patrimonio o in materia di falso, non coerenti con le ipotesi criminose oggetto della presente imputazione. Di qui l’impossibilità di ritenere applicabile la recidiva, per la quale è necessario che il giudice motivi in ordine alla maggior colpevolezza e capacità a delinquere del reo, non essendo stati specificati i precedenti e perché da essi dovrebbe derivare una maggiore pericolosità.
Manca ogni motivazione in ordine al riconoscimento della recidiva, non ravvisabile nella specie, atteso che i nuovi reati, peraltro commessi a distanza di anni rispetto ai precedenti, non possono considerarsi sintomatici di una maggiore pericolosità del reo.
2.4 Così pure, prosegue il ricorrente, risulta priva di motivazione, la mancata concessione delle attenuanti generiche, anche alla luce dell’applicazione dell’attenuante speciale di cui all’articolo 589 bis comma 7, cod. pen. essendo insufficiente l’argomentazione che fa leva sul comportamento dell’imputato e sull’assoluta mancanza di collaborazione, omettendo di valutare invece l’incidenza della condotta del pedone in ordine alla causazione dell’evento.
2.5 Ulteriore censura riguarda la sospensione della patente di guida della misura di anni due, ritenuta eccessiva e sproporzionata rispetto al reale accadimento, nel quale è risultato – preponderante il concorso del pedone nella determinazione dell’evento.
3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
4. Il difensore ha depositato memoria, ulteriormente illustrando i motivi concernenti la recidiva e la sanzione accessoria della sospensione della patente
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve essere innanzitutto definita la relazione che intercorre tra le due sentenze di merito, essendo stata espressamente contestata l’insufficienza della motivazione della seconda decisione, in quanto appiattita sulla prima, richiamata per relationem.
La questione assume rilevanza preliminare, data la necessità di individuare l’ambito di riferimento dei motivi di ricorso, ovvero se debba essere circoscritto alla sola sentenza di appello o se possa essere esteso anche alle argomentazioni contenute nella decisione di primo grado.
Va premesso che, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro – Rv. 266617 — 01; Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n.. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, riv. 209145; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Alberganno, Rv. 197250).
Inoltre, costituisce orientamento interpretativo consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità che, nel caso di doppia conformità, sia ammissibile la motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione di primo grado, sempre che le censure formulate contro la prima sentenza non contengano elementi e argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nel controllare la fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono “l’ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argonnentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (Sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 2003, Delvai, Rv. 223061).
1.1 Nel caso in esame, la Corte territoriale valutando il materiale istruttorio, ha esaminato i punti nodali dei motivi d’impugnazione contro la sentenza medesima e non si è limitata ad un mero rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado.
Ed in ogni caso, i motivi di censura non contengono elementi e argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi nella prima e nella seconda sentenza, non emergendo argomenti diversi che non siano stati adeguatamente affrontati dalle due decisioni. È possibile pertanto far riferimento ad entrambe le decisioni, ritenendole una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
2. Tanto premesso, i motivi di ricorso diretti a contestare l’affermazione di responsabilità per il reato di omicidio colposo, risultano manifestamente infondati.
2.1 Con riguardo alla primaria censura, effettivamente, in ragione del concomitante comportamento colposo della persona offesa, si tratta di stabilire se e in qual misura il principio di affidamento trovi applicazione nell’ambito dei reati colposi commessi a seguito di violazione di norme sulla circolazione stradale.
Il principio, d’altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l’obbligo di rapportarsi alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa.
La possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza viene meno quando l’agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività. Il codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.
Ad esempio, l’art. 141 impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni “ostacolo prevedibile”. L’art. 145 pone la regola della “massima prudenza” nell’impegnare un incrocio.
L’art. 191 prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l’attraversamento della carreggiata. Tali norme tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti.
D’altra parte, come si è accennato, le condotte imprudenti nell’ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile.
La tendenza della giurisprudenza di legittimità è nel senso di limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza.
Si afferma, così, che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente.
Su tali basi si è affermato, ad esempio, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l’automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell’attraversamento (Sez. 4, Sent. n. 27404 del 10/05/2018 Rv. 273407 – 01); e che l’obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Cass. IV, 19 giugno 1987, Rv. 176415).
L’obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo o di procedere con assoluta prudenza in ragione delle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella normale prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa (Sez. 4, Sent. n. 25552 del 27/04/2017, Rv. 270176 – 01).
Anche nell’ambito della circolazione stradale è stata comunque considerata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l’agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto (Sez. 4, Sent. n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, RV. 272223 – 01).
In tema di circolazione stradale, il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da vizi l’affermazione della responsabilità per omicidio stradale del conducente di un’autovettura che, in autostrada, aveva investito un pedone che si trovava accanto alla propria autovettura, ferma per un precedente sinistro, dovendosi ritenere prevedibile l’eventualità di un incidente tale da comportare l’ostruzione totale o parziale della strada: Sez. 4, Sent. n. 24414 del 06/05/2021, Rv. 281399 – 01).
2.2 A tali principi si ispira la sentenza impugnata quando, nell’esaminare il caso, evoca la ragionevole prevedibilità e la rapporta, con evidenza, alle particolarità del caso concreto.
L’imputato aveva avviato la manovra di retromarcia con un veicolo ingombrante in una strada posta in centro abitato ed in zona frequentata da pedoni, ben sapendo che una parte posteriore del suo mezzo non era a lui visibile e che l’autocarro non era dotato di strumenti ottici che gli consentissero una completa visibilità della parte posteriore; ha tuttavia continuato nella manovra.
Avrebbe potuto, come rilevano i giudici di merito, prevedere che in quel frangente potesse attraversare la strada o percorrerla un pedone non visibile dalla sua posizione; e non potendo avere piena visuale della traiettoria del veicolo condotto in retromarcia, avrebbe dovuto optare per l’opzione alternativa disponibile, ovvero procedere in avanti, proseguendo su via Fuscaldo per poi girare all’intersezione (pag. 11 della sentenza di primo grado).
Al riguardo, si osserva che la sentenza si allinea alle massime giurisprudenziali per le quali “in tema di retromarcia effettuata da autoveicoli sia sulla strada pubblica sia in luoghi comunque soggetti a frequentazione di persone (e quindi anche privati) tale pericolosa manovra non deve essere effettuata quando il conducente del mezzo non sia in grado di percepire e visivamente dominare tutto lo spazio retrostante da impegnare e, quindi, di regolare il movimento dell’autovettura in relazione alla presenza di eventuali ostacoli.
Ne deriva che i conducenti di veicoli che, per ragioni strutturali (mole, altezza, sagomatura) o contingenti (carico voluminoso o di ingombrante, avarie o perdite di accessori) non siano in grado di assicurare le condizioni descritte, devono adottare tutti gli accorgimenti idonei e sufficienti a realizzare situazioni di sicurezza.
Tra dette soluzioni pratiche vi è la collaborazione di altra persona a terra per aiutare – con apposite segnalazioni – colui che esegue la manovra. Quest’ultima non deve essere compiuta in assenza delle prospettate soluzioni, poiché non si può porre a repentaglio l’incolumità di coloro che, per qualsiasi motivo anche con condotte imprudenti o negligenti – possano venire a trovarsi sulla proiezione della linea di arretramento senza essere viste; evento non frequente, ma non eccezionale e pertanto non imprevedibile”.
Di tal che “il conducente, qualora si renda conto di avere dietro alle spalle una strada che non rende percepibile l’eventuale presenza di un pedone, se non può fare a meno di effettuare la manovra, deve porsi nelle condizioni di controllare la strada, ricorrendo se del caso alla collaborazione di terzi che, da terra, lo aiutino per consentirgli di fare la retromarcia senza alcun pericolo per gli utenti della strada” (Sez. 4, n. 8591 del 07/11/2017, Rv. 272485 — 01; Sez. 4, n. 35824 del 27/06/2013, Rv. 256959).
D’altro canto, la difesa non si confronta con il dato motivazionale, laddove il giudice ha precisato che proprio in ipotesi di attraversamento di un pedone (anche in ipotesi di non rispetto delle norme sulla circolazione stradale) si deve ritenere l’insussistenza del caso fortuito in quanto su strada cittadina si tratta di un evento del tutto prevedibile.
Invero, non può essere considerato caso fortuito un evento che non solo non è assoluto, ma che poteva essere superato da uno “sforzo umano”; insomma, alla luce di quanto ricostruito poteva essere considerata soltanto una concausa esterna, ipotizzabile secondo la comune diligenza.
3. Manifestamente infondate sono le doglianze afferenti all’affermazione di responsabilità in ordine ai reati contestati al capo 2.
Va premesso che le fattispecie di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada costituiscono due distinte ipotesi di reato, con diversa oggettività giuridica: il reato di fuga dopo un investimento (comma 6) è finalizzato a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro; il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente (comma 7) è finalizzato ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite; si tratta di due fattispecie autonome e indipendenti, sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose (Sez. 4, n. 3783 del 10/10/2014 – dep. 2015, Balboni, Rv. 26194501).
3.1 Con riferimento al reato previsto dall’art. 189, comma 6, cod. strada (c.d. reato di fuga), si ritiene integrata la fattispecie nel caso in cui il soggetto, coinvolto in un sinistro con danni alle persone, effettui soltanto una sosta momentanea, senza fornire le proprie generalità (Sez. 4, n. 42308 del 07/06/2017, Massucco, Rv. 270885-01; conf. Sez. 4, n. 9128 del 02/02/2012, Boffa, Rv. 252734- 01, nella specie la Corte ha ritenuto esente da vizi la sentenza che aveva affermato la responsabilità del conducente che, avendo investito due pedoni minorenni, era sceso dall’auto solo dopo che una persona che aveva assistito all’impatto si era posta davanti al mezzo indicando le vittime, e si era poi allontanato senza fornire le proprie generalità, stanti le rassicurazioni fornite dalle persone offese circa il proprio stato di salute, nonostante la violenza dell’urto idonea ad arrecare danno alle persone).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno osservato che il (omissis), dopo la breve sosta momentanea e dopo che la titolare del negozio antistante, (omissis) (omissis) gli aveva contestato che era stato lui ad investire il pedone, si era volontariamente allontanato a bordo del veicolo senza attendere l’arrivo dei carabinieri. I carabinieri procedettero alla sua identificazione e al ritrovamento del veicolo sulla base dei dati forniti dalla stessa (omissis).
L’argomentazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale integra il reato di cui all’art. 189, commi primo e sesto, c.d.s. (cosiddetto reato di “fuga”), la condotta di colui che – in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone – effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea (nella specie “per pochi istanti”), senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo (Sez. 4, Sentenza n. 20235 del 25/01/2006 Ud. (dep. 14/06/2006) Rv. 234581 01: in cui si è rilevato che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica). Priva di interesse è la deduzione difensiva circa l’assorbimento del suddetto reato in quello di cui all’art. 589 bis cod. pen.
La questione proposta nel ricorso circa la sussumibilità della condotta nella fattispecie aggravata di cui all’art. 589-ter cod.pen è infondata per due ordini di ragioni.
Va premesso che il fatto è stato commesso in data 25 marzo 2016, stesso giorno dell’entrata in vigore della legge n. 41/2016, che ha introdotto l’aggravante di cui all’art. 589- ter cod. pen., perciò astrattamente riferibile alla condotta in esame.
Tanto premesso, si osserva che l’assorbimento è ipotizzabile in ipotesi di contestazione della circostanza aggravante di cui all’art.589 ter cod. pen., non essendo evidentemente consentita in tal caso la duplicazione delle sanzioni.
Tuttavia, nel caso in esame, la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 589 ter c.p., non solo non è stata formalmente contestata, ma neppure ritenuta in fatto. Inoltre, il ricorrente, stante la maggiore afflittività che comporterebbe tale circostanza, non ha neppure illustrato quale interesse possa sostenere la sua doglianza. Deve sottolinearsi come tale dato, dell’omessa contestazione dell’aggravante, risulti oltremodo rilevante e decisivo.
Osserva Sez. Li, Magistri (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973 — 01), infatti, che “[…] i caratteri del reato complesso sono costruiti come funzionali ad un effetto giuridico immediatamente ed espressamente indicato («le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano…»), ossia l’inoperatività dei meccanismi di cumulo sanzionatorio previsti in detti articoli e la conseguente applicazione della sola pena edittale prevista per il reato complesso, escludendo qualsiasi incidenza sanzionatoria dei reati in esso unificati.
Fra le disposizioni oggetto di richiamo dell’incipit dell’art. 84 rientra il concorso formale di reati disciplinato dall’art. 81, primo comma, cod. pen., per il quale è previsto un trattamento sanzionatorio che, pur nella forma mitigata del cumulo giuridico, è determinato dalla pluralità delle pene corrispondenti ai singoli reati concorrenti.
La normativa dell’art. 84 si connota particolarmente come derogatoria rispetto a quella dell’art. 81 e il reato complesso ne emerge quale fattispecie di esenzione dal regime sanzionatorio del concorso formale, in quanto ‘assorbe’ le pene stabilite per i singoli reati in quella stabilita per il reato complesso” (foll. 15 e s.).
In sostanza, proseguono le Sezioni Unite, il reato complesso si connota in conseguenza, per “la previsione specifica di una particolare disciplina sanzionatoria”: d’altro canto “Si pone nella stessa linea argomentativa la considerazione della ratio della previsione dell’art. 84, volta ad evitare una duplicazione della risposta sanzionatoria per gli stessi fatti in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (oggetto di recente e reiterata affermazione nella giurisprudenza costituzionale, v. Corte cost., sent. n. 20 del 2016 sull’identità del fatto ai fini del divieto di procedere per precedente giudicato ai sensi dell’art. 649 cod. proc.pen., ma con evidenti ricadute sul piano sostanziale; Corte cost., sent. n. 43 del 2018 e sent. n. 236 del 2016 in tema di proporzionalità della previsione punitiva).
È evidente che tale necessità si manifesta segnatamente nel rapporto fra il reato complesso e gli altri reati che lo compongono, contraddistinti da un contesto unitario, nell’ambito del quale maggiormente risalta la possibilità di una sproporzione nel cumulo di pene previste per fatti inseriti nella stessa azione criminosa”. Nel caso in esame, è esclusa l’ipotesi della duplicazione delle sanzioni, atteso che nella determinazione della pena non si è tenuto conto dell’aggravante dell’art. 589 ter, cod. pen.
D’altro canto, la prospettata qualificazione, sebbene formalmente corretta, finirebbe per pregiudicare la posizione dell’imputato. Invero, a prescindere dall’aumento previsto per l’aggravante, l’art. 589-ter cod. pen. prevede che, in caso di ricorrenza della fattispecie aggravata, la pena non possa essere inferiore a cinque anni, mentre l’art. 189, comma 6, cod. strada, prevede un massimo edittale di tre anni. In tal modo risulterebbe preclusa all’imputato la possibilità di godere di un trattamento sanzionatorio meno rigoroso, anche per effetto del divieto di bilanciamento previsto dall’art. 590-quater cod. pen., delle già riconosciute attenuanti generiche con l’aggravante ad effetto speciale di che trattasi.
Secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, “Il principio del favor rei va applicato specificatamente al caso concreto, tenendo conto del risultato finale e non della previsione della norma astrattamente più favorevole.
Pertanto, il giudice penale prima di irrogare la sanzione deve analizzare se le varie condotte che costituiscono il reato complesso siano più o meno gravi rispetto alle singole ipotesi di reato per l’imputato (Sez. 2, del 22/3/2019, n. 27816, Rv. 276970 – 02).
3.2 Logica appare altresì la motivazione relativa al reato di cui al comma 7 dello stesso articolo 189.
La Corte distrettuale, sulla base delle richiamate testimonianze, ha evidenziato che il (omissis), dopo l’investimento cercò di sostenere che il corpo della vittima fosse già a terra e che dopo aver chiesto ad uno dei presenti di chiamare un’ambulanza, si allontanò senza accertarsi dell’arrivo dei soccorsi. In ciò è stata ravvisata l’integrazione della fattispecie contestata. La conclusione è coerente con i principi che regolano la materia.
Questa Corte ha infatti più volte sottolineato, sotto il profilo oggettivo, che l’effettivo bisogno dell’investito deve essere valutato ex ante, prima, che l’investitore si allontani; e seppur non configurabile nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario, né utile o efficace l’ulteriore intervento dell’obbligato, tali circostanze non possono essere ritenute “ex post”, dovendo l’investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima del proprio allontanamento (Sez. 4, n. 18748 del 04/05/2022, Rv. 283212 — 01; Sez. 4, Sentenza n. 39088 del 03/05/2016, Maracine, Rv. 267601; Sez. 4, n. 5416 del 25/11/1999, dep. 2000, Sitia, Rv. 216465; Sez. 4, n. 4380 del 02/12/1994, dep. 1995, Prestigiacomo, Rv. 201501).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, è stato affermato che il delitto previsto dall’art. 189 comma 7 cod. strada è punibile anche a titolo di dolo eventuale e tale atteggiamento psicologico è ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti. (Sez. 4, Sentenza n. 33772 del 15/06/2017, Dentic.in. Di Accadia Capozzi, Rv. 271046; Sez. 4, n. 39088 del 03/05/2016, Maracine, Rv. 267601; Sez. 4, Sentenza n. 17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374).
Il reato di mancata assistenza di cui al comma 7 dell’art. 189 cit. non può essere, neppure in astratto, assorbito nella fattispecie dell’omicidio stradale aggravato ex art. 589-ter cod. pen. (aggravante peraltro non contestata in questo caso), che attiene alla sola ipotesi di “fuga del conducente in caso di omicidio stradale”.
Infatti, è solo la condotta di “fuga” dopo un incidente stradale a costituire elemento costitutivo dell’autonomo reato previsto dal comma 6 dell’art. 189 cod. strada.
Pertanto, è solo tale condotta, e non quella di mancata assistenza, che può rimanere assorbita nella fattispecie complessa costituita dal delitto di omicidio stradale aggravato dalla “fuga” del conducente di cui al combinato disposto degli artt. 589-bis e 589-ter cod. pen., trattandosi di aggravante che descrive un fatto che costituirebbe, appunto, per sé stesso il reato di cui al citato comma 6 dell’art. 189 cod. strada, secondo il paradigma del reato complesso di cui all’art. 84 cod. pen.
4. Fondato è invece il motivo di ricorso concernente la recidiva.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione della Corte distrettuale in merito all’applicazione della recidiva, contestando in particolare la motivazione secondo cui la pluralità dei precedenti penali in capo all’imputato e la condotta concreta di assoluta negligenza e di allontanamento dai luoghi farebbero ritenere non occasionale la ricaduta nel reato e il mancato rispetto delle regole.
Il motivo è fondato, per le seguenti ragioni.
Innanzitutto, è necessario evidenziare che la recidiva non può riguardare le contravvenzioni e i reati colposi.
La disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 251 del 2005, (che ha modificato l’istituto della recidiva disponendo l’aumento di un terzo della pena solo nel caso in cui un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, commetta un altro delitto non colposo) ha eliminato la possibilità di applicare la recidiva con riferimento alle contravvenzioni ed ai delitti colposi. In questo caso, il reato principale (omicidio stradale) ha natura colposa e non può quindi costituire il presupposto per l’applicazione della recidiva.
Così pure, la sentenza impugnata non si è attenuta ai principi stabiliti dalle Sezioni Unite nella sentenza Calibè (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838 – 01), secondo cui è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha adeguatamente motivato sulla omogeneità dei precedenti rispetto ai reati per cui si procede. Anzi, come correttamente rilevato nel ricorso, la stessa sentenza di primo grado aveva evidenziato che le condanne a carico del (omissis) riguardavano reati contro il patrimonio o in materia di falso, non coerenti con le ipotesi criminose oggetto della presente imputazione.
Tale disomogeneità dei precedenti rispetto ai reati attuali avrebbe dovuto indurre i giudici d’appello a una più approfondita motivazione circa la sussistenza dei presupposti della recidiva. Inoltre, la Corte non ha motivato sulla distanza temporale tra i precedenti e i fatti per cui si procede, elemento che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, deve essere oggetto di specifica valutazione ai fini dell’applicazione della recidiva. La semplice constatazione dell’esistenza di precedenti penali, senza alcuna considerazione sul loro carattere risalente o recente, non può costituire valida motivazione per l’applicazione dell’aggravante.
La motivazione della sentenza impugnata si limita a richiamare genericamente la “pluralità dei precedenti penali” e la condotta tenuta nel caso di specie, senza operare quella valutazione in concreto sulla maggiore colpevolezza e capacità a delinquere che, secondo il dictum delle Sezioni Unite, deve necessariamente sorreggere l’applicazione della recidiva. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto, con rinvio al giudice di merito per una nuova valutazione alla luce dei principi sopra richiamati.
5. Manifestamente infondato è il motivo afferente al diniego delle attenuanti generiche. In proposito, va premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art.133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo decisivi i precedenti penali dell’imputato, il concreto comportamento dell’imputato improntato a gravissima negligenza, con motivazione che, alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, appare sufficiente e non manifestamente illogica.
6. Manifestamente infondato è il motivo concernente la sanzione accessoria.
La graduazione delle sanzioni amministrative, come quella della pena, rientra nella discrezionalità del giudice di merito.
Con riferimento alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall’art. 222 CdS, il giudice assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto di aver impiegato i criteri di cui all’art. 218 comma 2 CdS, ovvero una valutazione “in relazione all’entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, nonché al pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare”. Nel caso di specie, il ricorrente lamenta, che la Corte non ha tenuto conto del comportamento del pedone.
La Corte di Appello ha fatto buon governo di tali principi e, con una motivazione succinta, ma adeguata, ha ritenuto che la determinazione della durata sospensione della patente andasse confermata in ragione della grave negligenza e dell’evento morte provocato.
7. Va infine evidenziato che nella decisione impugnata risulta erroneamente applicato il regime della continuazione tra reati colposi e reati dolosi.
L’istituto della continuazione non è applicabile tra reati dolosi e reati colposi, in quanto l’unicità del disegno criminoso attiene al momento psicologico (dolo) che non può sussistere nei reati colposi nei quali l’evento non è voluto (Sez. 1, n. 435 del 10/07/2018 – dep. 2019, Rho, Rv. 274663-01).
La statuizione, stante divieto di reformatio in peius, non è suscettibile di emenda (l’esclusione della continuazione implicherebbe il cumulo materiale fra le pene dei distinti reati a carattere colposo e doloso in contestazione, con inevitabile aggravio della pena irrogabile rispetto a quella applicata nella sentenza impugnata).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 23 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2025.