REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Michele CATALDI – Presidente –
Dott. Maria Luisa DE ROSA – Consigliere –
Dott. Paolo DI MARZIO – Consigliere Rel. –
Dott. Federico LUME – Consigliere –
Dott. Angelo NAPOLITANO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2402, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana il 15.6.2017, e pubblicata il 6.7.2017;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere dott. Paolo Di Marzio;
la Corte osserva:
Fatti di causa
1. (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) conseguivano dal giudice del lavoro il riconoscimento del diritto alla corresponsione di quanto dovuto in conseguenza del mancato godimento di riposi giornalieri e settimanali. I lavoratori presentavano quindi istanza di rimborso dell’Irpef trattenuta e versata dal datore di lavoro sulle somme pagate quale acconto sugli importi riconosciuti.
La tesi sostenuta dai ricorrenti è che le somme fossero state corrisposte quale indennità risarcitoria, e non quale parte della retribuzione, e non dovessero pertanto essere assoggettate al tributo dell’Irpef.
1.1. L’Amministrazione finanziaria opponeva il silenzio rifiuto all’istanza proposta dai lavoratori.
2. I contribuenti impugnavano il rigetto tacito della loro istanza innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, che lo respingeva.
3. I lavoratori spiegavano appello avverso la pronuncia sfavorevole conseguita all’esito del primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che riformava la decisione di primo grado ed affermava invece che il rimborso dell’Irpef competesse ai
4. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia adottata dalla CTR, affidandosi ad un motivo di impugnazione. I lavoratori ricevevano notifica del ricorso, consegnato in data 25.1.2018 a mezzo PEC, presso i difensori costituiti in grado di appello, ma non hanno svolto difese nel giudizio di legittimità.
Ragioni della decisione
1. Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione dell’art. 24 del Rdl n. 1918 del 1937, come conv., in combinato disposto con l’art. 82 del Dpr n. 597 del 1973 e l’art. 42 del Dpr n. 601 del 1973, nonché dell’art. 6 del Dpr n. 917 del 1986 perché, diversamente da quanto ritenuto dai giudici dell’appello, le somme corrisposte in conseguenza del mancato godimento di riposi giornalieri e settimanali devono essere assoggettate ad imposizione ai fini Irpef.
2. L’Agenzia delle Entrate censura con il suo ricorso la decisione assunta dalla CTR per aver attribuito natura risarcitoria alle somme riconosciute dal giudice del lavoro ai contribuenti in conseguenza del mancato godimento di riposi giornalieri e settimanali, ed avere comunque ritenuto che gli importi erogati dovessero rimanere esenti dall’imposizione ai fini Irpef, conseguendone l’accoglimento della domanda di rimborso proposta dai lavoratori.
2.1. Diversamente, nella prospettazione dell’Ente impositore, gli importi corrisposti in conseguenza del mancato godimento di riposi giornalieri e settimanali costituiscono “comunque una dazione a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro” (ric., 5), e devono perciò essere assoggettati a tributo ai fini Irpef.
3. La questione posta dalla ricorrente è stata ripetutamente affrontata da questa Corte regolatrice che, soprattutto pronunziando in relazione all’analoga problematica del regime tributario di quanto corrisposto dal datore di lavoro ai lavoratori per il mancato godimento delle ferie, ha espresso un orientamento ormai consolidato e condivisibile, che le sintetiche argomentazioni proposte dalla impugnata CTR non inducono a rivedere.
3.1. Si è infatti già chiarito che “in tema d’IRPEF, l’indennità sostitutiva del riposo settimanale, equiparabile all’indennità per ferie non godute, è soggetta a tassazione a norma degli 46 e 48 (ora 49 e 51) del d.P.R. n. 917 del 1986, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo, sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non ne escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dai citati articoli, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell’elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione”, Cass. sez. VI-V, 28.3.2017, 8020 (conf. Cass. sez. V, 15.9.2004, n. 18606; cfr., anche, tra le molte, Cass. sez. L, 29.5.2018, n. 13473, e Cass. sez. VI-V, 16.4.2014, n. 8915).
4. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate risulta quindi fondato e la decisione impugnata deve essere cassata.
Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte di legittimità può decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., rigettando l’originaria istanza di rimborso proposta dai contribuenti.
5. Le spese di lite possono essere compensate tra le parti in relazione ai gradi di merito del giudizio, mentre seguono l’ordinario criterio della soccombenza con riferimento al giudizio di legittimità e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della causa.
La Corte,
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigetta l’originario ricorso introdotto dai contribuenti.
Compensa le spese di lite dei gradi di merito del giudizio tra le parti, e condanna gli intimati in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 12.5.2023.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2023.