Legittima la sanzione disciplinare, al dipendente della Agenzia delle Entrate, della sospensione del servizio per sei mesi per violazione di obblighi istituzionali (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 29 marzo 2023, n. 8870).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18471/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) che lo rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. che la rappresenta e difende ope legis

– controricorrente –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 8870/2023 depositata il 17/01/2017, R.G. n. 1428 del 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2023 dal Consigliere Dott.ssa IRENE TRICOMI.

FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza 1753 del 2016, ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Busto Arsizio.

2. Il lavoratore dipendente dell’Agenzia delle Entrate, in servizio presso l’Ufficio di (OMISSIS), era stato destinatario, da parte dell’Agenzia fiscale datrice di lavoro, della sanzione della sospensione dal servizio per mesi sei e della privazione della retribuzione fino al decimo giorno, con successiva corresponsione al dipendente di una indennità pari al 50% della retribuzione, sanzione irrogata per la violazione degli obblighi di svolgimento delle attività istituzionali.

La Corte d’Appello ha affermato che i fatti posti alla base della sanzione, quali violazione delle norme disciplinari, addebitata al (OMISSIS) non risultavano in contestazione, avendo l’appellante censurato solo la loro valutazione per come effettuata dal datore di lavoro, e dal Tribunale per la conferma della sanzione irrogata.

Tali dati emergevano:

1. dalla partecipazione del lavoratore ad una attività accertativa nei confronti della società in sostituzione ed in rappresentanza del socio accomandatario;

2. dall’esame di un ricorso presentato dalla società in cui si descriveva l’apporto lavorativo del medesimo;

3. dal contenuto dell’atto costitutivo della società in cui al (OMISSIS) in veste di accomandante, erano però riservati poteri autorizzatori dell’operato dell’accomandatario in ordine al compimento di atti di straordinaria amministrazione nelle forme della preventiva autorizzazione scritta.

Affermava la Corte d’Appello che la lettura offerta dall’appellante di tali circostanze non era basata su alcuna valida ragione logica e/o giuridica, presentando, peraltro, anche profili di contraddittorietà, ad esempio sul punto relativo all’asserito svolgimento di attività lavorative presso il bar gestito dalla società.

Pertanto, la Corte d’Appello ha condiviso la statuizione del Tribunale sulla gravità e sulla rilevanza disciplinare dei comportamenti ascritti al lavoratore da parte del datore di lavoro – in violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 1, comma 56, sseg., della legge n. 662 del 1996, nonché lesivi dei canoni di correttezza e buona fede nella conduzione del rapporto di lavoro, e delle norme contrattuali di cui agli artt. 65 e 67 del CCNL Comparto Agenzie fiscali – che giustificava l’irrogazione della sanzione applicata, tenuto conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sulla graduazione delle sanzioni.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre (OMISSIS) (OMISSIS) prospettando quattro motivi di ricorso.

4. L’Amministrazione si è costituita solo per la partecipazione alla discussione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di errata motivazione in riferimento ai fatti dedotti dal lavoratore con riferimento all’essersi reso disponibile a sottoscrivere per sola ricevuta i verbali.

La Corte d’Appello aveva basato la propria decisione sull’assunto della partecipazione del lavoratore alle operazioni di verifica compiute dai colleghi accertatori, i cui verbali risultavano sottoscritti dal lavoratore.

Tuttavia, in detta occasione, il lavoratore non aveva compiuto atti di gestione in favore della società, ma con comportamento collaborativo, aveva apposto la sottoscrizione in segno di ricevuta, consentendo la formalizzazione delle fasi preliminari dell’attività di accertamento. Invece, la propria correttezza e buona fede erano state fraintese dall’Ufficio e dal giudice di merito.

Tale comportamento avvenuto nel 2008 era stato posto a base della sanzione irrogata nel 2010, e non era stato immediatamente contestato.

1.1. Il motivo è inammissibile.

È applicabile alla fattispecie l’art. 360 n. 5, c.p.c., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U. n. 19881 del 2014, Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.

Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che non sono ravvisabili nella specie atteso la motivazione della decisione ad opera della Corte d’Appello, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

Si è inoltre affermato che il motivo di ricorso di cui all’art. 360, 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass., n. 10525 del 2022).

Inoltre, va rilevato che la questione della tempestività della contestazione si palesa nuova, atteso che della stessa non vi è menzione nella sentenza di appello e il ricorrente non indica di averla già ritualmente e tempestivamente proposta indicandone il luogo processuale e trascrivendo la relativa difesa.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta errata motivazione in riferimento ai fatti dedotti da esso lavoratore con riferimento alle competenze gestionali in capo al ricorrente come risultanti dall’atto costitutivo della società in accomandita.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente contesta il rilievo attribuito dalla corte d’Appello, alla riserva di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione in capo ad esso ricorrente, in ragione del contenuto dell’atto costitutivo.

Tuttavia, il ricorrente pur invocando l’atto costitutivo della società e denunciando una non corretta valutazione da parte della Corte d’Appello, da un lato non ne trascrive il contenuto rilevante, in violazione dell’art. 366, cod. proc. civ., dall’altro non contesta l’interpretazione dello stesso operata dalla Corte d’Appello attraverso la denuncia della violazione delle regole ermeneutiche, atteso che nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (si v., Cass., 29/03/2023 del 2022).

I requisiti imposti dall’art. 366, cod. proc. civ.. rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure (Cass., S.U., n. 5698 del 2012; n. 25038 del 2013).

Di talchè il motivo deve essere dichiarato inammissibile, e si richiamano in proposito anche i principi esposti nella trattazione del primo motivo di ricorso.

3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata l’errata motivazione in riferimento ai fatti dedotti dal lavoratore con riferimento allo svolgimento dell’attività nel bar (OMISSIS).

Assume il ricorrente che il riferimento fatto da esso lavoratore, nel ricorso in opposizione all’accertamento, alla compagine sociale ed alla partecipazione del ricorrente all’attività sociale, contrariamente a quanto ritenuto, non costituiva prova di un apporto prestazionale all’attività della società.

3.1. Il motivo è inammissibile, in ragione dei principi già enunciati nella trattazione del primo motivo di né nel presente motivo, in mancanza di qualsiasi riferimento a disposizioni di legge è ravvisabile la denuncia di un’errata o falsa applicazione di norme.

Peraltro, si osserva che questa Corte anche laddove ha escluso che alcune dichiarazioni sfavorevoli alla parte potessero avere valore di confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria nel rapporto processuale, ne ha affermato il valore di prova liberamente apprezzabile dal giudice (Cass., n. 17702 del 2015).

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto il vizi di omessa motivazione con riferimento ai danni patiti dal lavoratore.

Il ricorrente deduce che per effetto della sanzione si è visto privare della retribuzioni oltre che del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, che quindi, doveva essere restituito. A tale richiesta andava aggiunta quella di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale come illustrato nel prosieguo del motivo.

4.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di rilevanza in ragione dell’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso volti a contestare il rigetto della domanda di declaratoria di illegittimità della sanzione

5. Il ricorso è inammissibile.

6. Nulla spese in mancanza di difese dell’Amministrazione che ha depositato solo costituzione per la discussione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24/01/2023.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.