REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere –
Dott. TRIPICCIONE Debora – Consigliere –
Dott. DI GERONIMO Paolo – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza emessa l’8/7/2022 dalla Corte di appello di Lecce – Sez. dist. Taranto;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Paolo Di Geronimo;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Raffaele Gargiulo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;
lette le conclusioni dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS) (OMISSIS), la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello confermava la condanna dell’imputata in ordine al reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p., commesso in data (OMISSIS), allorquando avrebbe negato al (OMISSIS) (OMISSIS) di incontrare la figlia, in tal modo eludendo il provvedimento adottato dal giudice civile e contenente la disciplina dell’esercizio del diritto di visita.
La sentenza si fondava sull’assunto secondo cui il reato in oggetto è integrato anche per effetto del mero rifiuto di ottemperare all’ordine del giudice.
2. Avverso tale pronuncia, la ricorrente ha formulato tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in relazione all’art. 388 c.p., eccependo che la condotta elusiva richiesta dalla norma incriminatrice non è integrata dal mero inadempimento all’obbligo, occorrendo un quid pluris.
Nel caso di specie, peraltro, l’imputata non si era opposta all’esercizio del diritto di visita, limitandosi a chiedere al padre della minore un semplice spostamento del giorno in cui avrebbe tenuto con sé la minore, al fine di venire incontro alle sue esigenze lavorative.
2.2. Con il secondo motivo, deduce l’errata interpretazione dell’art. 388 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo.
2.3. Con il terzo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Con riguardo alle attenuanti generiche, peraltro, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che le stesse erano state già riconosciute dal giudice di primo grado (pur errando nel non operare la riduzione nella determinazione della pena).
In sede di appello, anziché procedersi alla correzione dell’errore materiale commesso dal giudice di prime cure, è stata negata la sussistenza delle generiche, ma in tal modo la sentenza è incorsa nel divieto di reformatio in peius.
3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, e D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Il primo motivo di ricorso pone la questione di stabilire quale sia la condotta integrante il reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p., con specifico riferimento alla “elusione” dei provvedimenti del giudice civile relativi all’affidamento dei minori ed alla conseguente disciplina del diritto di visita in favore del genitore non affidatario.
Nel caso di specie, il fatto è stato compiutamente ricostruito, essendo emerso che il provvedimento adottato dal giudice civile non prevedeva giorni fissi in cui il padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questi potesse esercitare il diritto di visita allorché era libero dal lavoro. Si tratta, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori.
Nell’ambito di tale generica regolamentazione, l’imputata ha riferito – e sul punto la sua ricostruzione in fatto è stata avallata dai giudici di merito – che il padre aveva chiesto di vedere la figlia il (OMISSIS), ma che lei aveva chiesto di differire l’incontro ad altra data, in quanto per proprie esigenze lavorative non poteva essere presente nel momento in cui il padre avrebbe riaccompagnato la minore presso l’abitazione materna.
In buona sostanza, quindi, il fatto è stato cristallizzato nel “rifiuto” dell’imputata di far vedere la figlia al padre nel giorno da quest’ultimo richiesto, proponendo una diversa data.
2.1 A fronte del dato fattuale sopra richiamato, la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato applicando il principio secondo cui integra la condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388, comma 2, c.p., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione (Sez.6, n. 12391 del 18/3/2016, Rv. 266675; in senso conforme si veda anche Sez.6, n. 37433 del 23/9/2020, n. m.; Sez.6, n. 29882 dell’8/1/2019, n. m.).
Si è precisato che il mero rifiuto integra una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, quando l’attuazione del provvedimento richieda la necessaria collaborazione del genitore affidatario (Sez.6, n. 27995 del 5/3/2009, Fichera, Rv. 244521).
2.2. La giurisprudenza più recente si è discostata dalla tesi secondo cui l’elusione richiesta dall’art. 388 c.p. sarebbe integrata anche dal mero rifiuto di ottemperare.
Questa Corte, pronunciando specificamente in tema di elusione dei provvedimenti del giudice civile relativi all’affidamento di minori, ha affermato che il mero inadempimento non integra il reato di cui art. 388, comma 2, c.p., occorrendo che il genitore affidatario si sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all’obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell’obbligo (Sez.6, n. 12976 del 19/2/2020, Rv. 278756).
Quest’ultima soluzione pare preferibile, nella misura in cui valorizza il dato letterale lì dove si richiede una condotta di “elusione” che, evidentemente, non può equipararsi a quella di rifiuto dell’adempimento, occorrendo che il genitore affidatario si sottragga all’obbligo di consentire l’esercizio del diritto di visita con condotte pretestuose, fraudolente o simulate, nonché con l’adozione di comportamenti in concreto volti a rendere immotivatamente più difficoltose le occasioni di incontro.
Si tratta di un’impostazione che, peraltro, trova l’avallo nell’autorevole precedente costituito dalla sentenza “Vuocolo” delle Sezioni unite, lì dove la Corte ha chiarito che le due previsioni incriminatrici descritte all’art. 388 commi primo e secondo c.p., tutelano non già l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali – nel qual caso il reato sarebbe integrato per effetto del mero rifiuto di adempiere – bensì introducono un presidio penale a tutela della effettività della tutela giurisdizionale.
Proprio per tale ragione, si è ritenuto che anche la previsione di cui all’art. 388, comma 2, c.p., lì dove richiedere una condotta “elusiva”, fa riferimento alle medesime condotte fraudolente o simulate che vengono espressamente richiamate al comma 1 (così, in motivazione, Sez. U, n. 36692 del 27/9/2007, Vuocolo, Rv. 236937).
Sottolineano inoltre le Sezioni unite che se il Legislatore avesse inteso incriminare la mera condotta di inadempimento, sarebbe stato sufficiente descrivere il fatto in termini di “inosservanza” del provvedimento del giudice, ricorrendo ad una dizione normativa ampiamente utilizzata in altre fattispecie (quali l’art. 389 c.p. relativo all’inosservanza di pene accessorie; l’art. 509 che sanziona l’inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro; l’art. 650 che punisce l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità).
Il fatto che la norma incriminatrice richiami la nozione di “elusione”, di per sè implicante una condotta non assimilabile al mero inadempimento, dimostra la necessità che la mancata esecuzione del provvedimento concernente l’affidamento dei minori sia accompagnata dal compimento di atti fraudolenti o simulati, finalizzati ad evitare l’adempimento.
Nè tale conclusione trova ostacolo nel principio secondo cui il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388, comma 2, c.p. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato (Sez.U, n. 36692 del 27/9/2007, Vuocolo, Rv. 236937). Invero, i provvedimenti concernenti l’esercizio del diritto di visita non presuppongono affatto un facere infungibile da parte del genitore affidatario, bensì richiedono al più la mera “non opposizione” alla frequentazione del minore con il genitore non affidatario.
3. L’insussistenza della condotta penalmente rilevante deve essere affermata anche sotto un altro profilo.
La nozione di elusione va coniugata con la specificità dei provvedimenti in tema di affidamento dei minori, dovendosi precisare che l’adempimento delle modalità di esercizio del diritto di visita sono funzionali a garantire il mantenimento di un rapporto continuativo tra genitore non affidatario e figli.
Valorizzando tale aspetto, si ritiene che l’elusione del “diritto di visita” non possa configurarsi nel caso di un’unica occasione in cui non è stato consentito al genitore non affidatario di tenere con sé il figlio minore, occorrendo una più complessa condotta di ostacolo rispetto agli incontri previsti, per effetto della quale viene impedito l’ordinario esercizio delle modalità di frequentazione tra genitore e figlio disciplinate nel provvedimento giurisdizionale.
3.1. Tale principio è stato recepito, sia pur implicitamente, da alcune pronunce rese con riferimento a fattispecie in cui veniva evidenziata la rilevanza ostativa di reiterate condotte elusive (Sez.6, n. 33719 dell’11/05/2010, Rv. 248157, ha ritenuto la sussistenza del reato in un caso in cui il genitore affidatario, cambiando continuamente il luogo di dimora senza darne preavviso al marito separato, gli aveva di fatto impedito l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione dei figli; nello stesso senso si è pronunciata Sez.6, n. 43292 9/10/2013, Rv. 257450, in relazione ad una fattispecie in cui il genitore affidatario, dopo aver sistematicamente violato le disposizioni presidenziali sul diritto di visita del coniuge separato, si era trasferito con il minore a grandissima distanza, senza addurre nessuna spiegazione di tale scelta).
Occorre anche dare atto di una risalente pronuncia secondo cui il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice concernente l’affidamento dei minori o di altre persone incapaci è un reato istantaneo, potendo realizzarsi anche con un solo atto elusivo degli obblighi dallo stesso imposti (Sez. 6, n. 13101 del 25/02/2009, Rv. 243696).
Si tratta, tuttavia, di un’affermazione non condivisibile nella sua assolutezza e che necessita di un ulteriore approfondimento.
3.2. In linea generale, il reato di cui all’art. 388, comma 2, p.c. ha natura istantanea, deve tuttavia considerarsi che la norma incriminatrice fa riferimento ad una pluralità di fattispecie non del tutto omogenee tra di loro, contemplando non solo l’elusione di un provvedimento concernente l’affidamento dei minori, ma anche degli ordini di protezione ex art. 342-ter c.p.c., nonché l’inosservanza dei provvedimenti concernente misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.
E’ di tutta evidenza come, all’interno di un’unica previsione incriminatrice, siano racchiuse una molteplicità di fattispecie, anche notevolmente diverse tra di loro, con la conseguenza che mentre in alcuni casi la natura istantanea del reato è insita nella finalità di assicurare l’esecuzione di un adempimento unitario e circoscritto nel tempo (Sez.6, n. 17212 12/04/2007, Rv. 236615, relativa al mancato ripristino di una servitù di passaggio), nei confronti dei provvedimenti concernenti l’affidamento dei minori deve necessariamente tenersi conto della natura continuativa e stabile del rapporto personale.
Un primo riconoscimento di tale aspetto è evincibile in una recente pronuncia, secondo cui il delitto di cui all’art. 388, comma 2, c.p., concernente l’elusione di un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di minori, ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui si verifica il primo fatto con il quale il genitore affidatario elude l’esecuzione del provvedimento, potendo tuttavia assumere il carattere di reato permanente qualora la condotta elusiva delle prescrizioni abbia determinato una situazione perdurante, tale da poter cessare solo per volontà dell’agente (Sez. 6, n. 14172 del 29/01/2020, Rv. 278845).
3.3. Si tratta di un principio che deve essere ulteriormente specificato, proprio al fine di stabilire quando l’elusione del provvedimento in tema di affidamento, assurga al grado minimo di offensività richiesto dalla norma incriminatrice.
Se la ratio della norma incriminatrice risiede nell’esigenza di garantire effettività, anche sul piano penale, all’attuazione della disciplina concernente l’affidamento dei minori, ne consegue che le condotte penalmente rilevanti non potranno che essere quelle che vanno ad inficiare il “diritto di visita” considerato nella sua continuativa attuazione, non potendo assumere rilevanza singole, isolate e del tutto occasionali violazioni delle modalità indicate nel provvedimento che dispone l’affidamento del minore.
Del resto, data la natura di tali provvedimenti, che forniscono un’indicazione di tempi e modalità destinate a disciplinare gli incontri per un lasso temporale molto ampio, deve ammettersi una sia pur minima tolleranza rispetto alla possibilità che vi possano essere delle occasioni in cui gli incontri non si svolgano così come programmati.
Applicando il principio di offensività e tenendo conto della peculiarità del diritto che nel caso di specie viene leso, consistente non già in un mero diritto reale o di credito, bensì nel diritto al pieno esplicarsi del rapporto genitoriale, il reato va circoscritto a quelle ipotesi in cui la condotta è idonea ad incidere negativamente sul diritto-dovere di genitore e prole di mantenere adeguati rapporti interpersonali.
Per converso, singole e circoscritte violazioni, limitate nel tempo ed inidonee ad incidere sulla disciplina dell’affidamento considerata nel suo complessivo esplicarsi, potranno rilevare solo in sede civile, dando luogo ad una graduata risposta dell’ordinamento a fronte della diversa gravità delle violazioni.
A fronte dell’inadempimento da parte del genitore affidatario, si potrà procedere, ove possibile, con l’esecuzione in forma specifica, nonché con l’ammonimento o con l’ampia gamma di forme di tutela risarcitoria prevista dall’art. 709-ter c.p.c., fino a giungere alla modifica dell’affidamento.
Si tratta, in tal caso, di rimedi azionabili anche a fronte di singoli inadempimenti, tant’è che l’art. 709-ter c.p.c. contempla espressamente la possibilità di disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell’altro, anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice.
Ben diversa è la condotta elusiva che assume rilevanza in ambito penale che, per le ragioni anzidette, non potrà – di norma – condurre a sanzionare occasionali e marginali violazioni dei provvedimenti assunti dal giudice, di per sé prive di offensività rispetto al bene tutelato dalla norma.
In conclusione, quindi, deve ritenersi che la condotta penalmente rilevante non è integrata di per sé da una singola ed occasionale violazione dei provvedimenti in tema di affidamento dei minori, ma richieda un atteggiamento elusivo che, in un lasso temporale apprezzabile, risulti idoneo ad impedire la corretta attuazione della disciplina dei rapporti del genitore non affidatario con il figlio.
Applicando tale principio al caso di specie, è agevole osservare come all’imputata si contesti un unico episodio nel quale non avrebbe consentito l’incontro tra il padre e il figlio, di per sé inidoneo a determinare una violazione penalmente rilevante della disciplina dettata in sede civile in ordine alle modalità di svolgimento del diritto di visita.
4. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnava deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023.