L’interdizione legale e dai pubblici uffici sono nulle se la pena è inferiore a cinque anni (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 22 maggio 2024, n. 20246).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. VITO DI NICOLA – Presidente –

Dott. PAOLA MASI – Relatore –

Dott. BARBARA CALASELICE – Consigliere –

Dott. MICAELA SERENA – Consigliere –

Dott. CURAMI CARMINE RUSSO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 12/06/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa PAOLA MASI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale, Dott.ssa Assunta Cocomello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

lette le conclusioni scritte dei difensori delle parti civili (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 12 giugno 2023 la Corte di appello di Cagliari, parzialmente riformando la sentenza emessa in data 15 luglio 2022 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, ha condannato in applicazione dell’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 599-bis cod.proc.pen., alla pena di anni sei, mesi due e giorni venti di reclusione, e ha confermato la condanna di (omissis) (omissis) alla medesima pena di anni sei, mesi due e giorni venti di reclusione, già irrogata dal giudice di primo grado, per i reati di cui agli artt. 56-575 cod.pen., 582 cod.pen. e 4 legge n. 110/1975, commessi in data 22/09/2021, il primo delitto in danno di (omissis) (omissis) e il secondo delitto in danno di (omissis) (omissis). Entrambi sono stati condannati anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

La Corte di appello ha ritenuto provati i fatti dalla visione del filmato della telecamera pasta presso l’officina dove le tre vittime lavoravano, dall’immediato rinvenimento di (omissis) ancora sporco di sangue, dalle indicazioni fornite dalle vittime circa l’identità di entrambi gli aggressori e i motivi dell’aggressione, e dalle parziali ammissioni di entrambi gli imputati.

(omissis) (omissis) é stato ritenuto l’autore materiale degli accoltellamenti, ed é stata ritenuta smentita la sua affermazione di avere agito per legittima difesa, anche solo putativa, mentre e risultata accertata, dalle consulenze svolte, una sua ridotta capacita di intendere e volere.

(omissis) (omissis) secondo la Corte, ha concorso con il coimputato sia aiutandolo nell’azione con l’accompagnarlo ad incontrare le vittime, sia rafforzando moralmente il suo proposito, come dimostrato dal suo atteggiamento passivo durante la prolungata aggressione, dal suo rifiuto di aiutare le vittime, nonostante la loro richiesta, nonché dall’avere omesso di allertare i soccorsi o le forze dell’ordine.

La Corte ha respinto i motivi di appello di (omissis) relativi alla ricostruzione del fatto, alla sussistenza dell’aggravante dell’avere agito per futili motivi, e all’eccessività della sanzione.

In particolare ha respinto la richiesta di applicare l’art. 116 cod.pen., ribadendo la sussistenza del suo concorso materiale, per avere accompagnato sul posto (omissis) e per averlo atteso mentre colpiva le tre vittime, pur rendendosi conto della sua azione, e infine conducendolo via dal luogo del crimine, cosi consentendogli di allontanarsene velocemente: questa  condotta ha rafforzato il proposito criminoso di (omissis) certo di poter contare sull’appoggio del complice.

La tesi difensiva, del timore di (omissis) di essere colpito a sua volta se si fosse opposto a (omissis) é stata respinta dal giudice di primo grado, con argomentazione che la sentenza impugnata ha ribadito, anche in tema di prevedibilità dell’azione aggressiva da parte del correo.

Ha invece accolto il motivo di appello relativo alla insussistenza dell’aggravante della recidiva, che ha escluso senza però ridurre la pena irrogata, confermando la valutazione di mera equivalenza delle attenuanti generiche già concesse dal giudice di primo grado.

Quanto all’appello proposto da (omissis) la Corte di appello ha preso atto dell’intervenuta rinuncia ai motivi di merito e dell’accordo raggiunto con il pubblico ministero circa l’entità della pena, che ha perciò accolto.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso (omissis) (omissis) mezzo del proprio difensore avv. (omissis) (omissis) con un unico motivo e, (omissis) (omissis) per mezzo del proprio difensore avv. (omissis) (omissis) articolando due motivi.

3. Con l’unico motivo, ii ricorrente (omissis) deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in merito al trattamento sanzionatorio.

La Corte ha accolto la richiesta di concedere le attenuanti generiche, riducendo la pena irrogata dal giudice di primo grado, ma ha confermato tutte le altre statuizioni. Invece, avendo ritenuto il fatto meno grave, avrebbe dovuto ridurre o annullare anche le ulteriori sanzioni irrogate, cioè l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni uno e la condanna al risarcimento in favore delle parti civili.

L’accordo raggiunto con il pubblico ministero non prevede alcuna sanzione accessoria, e quindi la Corte non avrebbe dovuto applicarne alcuna, o in subordine avrebbe dovuto motivare le ragioni della loro conferma.

4. Il ricorrente (omissis) (omissis) con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), proc.pen., in relazione all’aggravante dell’avere agito per futili motivi.

La Corte di appello ha confermato la sussistenza a suo carico di tale aggravante solo richiamando il parametro della proporzionalità, ma in questo caso deve tenersi conto del fatto che il correo é affetto da un vizio parziale di mente, che lo rende incapace di controllare i suoi impulsi e di avere coscienza della sua aggressività, per cui egli non era in grado di apprezzare correttamente la realtà di fatto, potendo ritenere il motivo scatenante della sua reazione più grave di quanto fosse oggettivamente vero.

4.1. Con il secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, quanto all’incidenza della recidiva.

La sentenza da un lato esclude l’applicazione della recidiva, per la risalenza nel tempo dei reati commessi in precedenza, ma poi afferma che l’esclusione della recidiva non comporta una riduzione della pena, riportandosi alle valutazioni del giudice di primo grado, che invece aveva applicato tale aggravante ritenendo questo ricorrente incline a commettere reati contra la persona. L’applicazione della recidiva ha portato all’aumento di un terzo della pena, che non é stato motivato.

5. II Procuratore generate, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

6. I difensori delle parti civili (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) hanno depositato conclusioni scritte, allegando il secondo la propria nota spese.

7. II difensore del ricorrente (omissis) (omissis) ha depositato una breve memoria difensiva, con cui ripete le richieste contenute nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. 

Deve procedersi, però, alla modifica delle sanzioni accessorie applicate da entrambi i giudici di merito, in quanto illegali, nella loro tipologia o durata.

2. Il ricorso proposto dal ricorrente (omissis) (omissis) é manifestamente infondato.

2.1. Egli sostiene che la Corte di appello non avrebbe dovuto applicare le sanzioni accessorie e la misura di sicurezza, ne confermare la condanna al risarcimento delle parti civili, perché tali statuizioni non hanno fatto parte dell’accordo raggiunto con il pubblico ministero ai sensi dell’art. 599-bis cod.proc.pen.

L’argomentazione del ricorrente e palesemente fallace: egli non risulta avere impugnato le statuizioni relative all’applicazione delle sanzioni accessorie e della misura di sicurezza, e quelle relative alla condanna in favore delle parti civili, per cui le disposizioni sostenute, su tali punti, nella sentenza di primo grado sono divenute irrevocabili.

In ogni caso, poiché l’accordo da lui raggiunto prevede la rinuncia a tutti i motivi di appello diversi da quello relativo al trattamento sanzionatorio, é evidente che se egli avesse impugnato anche tali punti, i relativi motivi dovrebbero intendersi rinunciati, con conseguente definitività delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado.

L’applicazione delle sanzioni accessorie di cui agli artt. 29 e 32 cod.pen., inoltre, é prevista come una conseguenza obbligatoria della condanna alle pene indicate dalle norme stesse, ed é in ogni caso sottratta alla negoziazione delle parti, nel cosiddetto patteggiamento in appello, al punto che se tale applicazione non é stata disposta, o é stata esclusa dalle parti, il giudice é tenuto a provvedere d’ufficio all’integrazione della sentenza, anche in assenza di impugnazione del pubblico ministero (Sez. 1, n. 42284 del 24/10/2007, Rv. 237963; Sez. 6, n.29898 del 10/01/2019, Rv. 276228). All’istituto del patteggiamento in appello, infatti, «non si applica la disposizione di cui all’art. 445 cod. proc. pen., prevista esclusivamente per ii patteggiamento concordato in primo grado» (Sez. 4, n. 2988 del 22/11/2007, dep. 2008, Rv. 238746).

Quanto alla condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili, peraltro non appellata, é evidente che nessun potere di “patteggiamento” ha il pubblico ministero su tale statuizione, che é estraneo agli interessi dello Stato tutelati dalla parte pubblica (si veda, in merito ai limiti al potere di impugnazione del pubblico ministero, Sez. 1, n. 14174 del 20/03/2018, Rv. 272568). Pertanto, correttamente il giudice di secondo grado ha preso atto della mancanza di impugnazione di tale condanna, il cui motivo, peraltro, se presentato sarebbe stato ricompreso nella rinuncia espressa ai sensi dell’art. 599-bis cod.proc.pen., e ha confermato la relativa statuizione.

2.2. La decisione del giudice di appello, di confermare anche la statuizione relativa all’applicazione delle sanzioni accessorie della interdizione dai pubblici uffici e della interdizione legale, previste dagli artt. 29 e 32 cod.pen., é però errata.

II giudice di primo grado aveva applicato a questo ricorrente le sanzioni della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale durante l’esecuzione della pena perché lo aveva condannato, per il delitto di cui al capo A), alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione, ridotta poi di un terzo, a quella di cinque anni di reclusione, stante la trattazione del procedimento nella forma del rito abbreviato.

Erano, pertanto, rispettati i limiti stabiliti dagli artt. 29 e 32 cod.pen., che prescrivono l’applicazione delle predette sanzioni solo quando venga pronunciata una condanna alla pena della reclusione «per un tempo non inferiore a cinque anni». II giudice di appello, accogliendo la richiesta concordata delle parti, ha ridotto la pena-base, per il delitto di cui al capo A), ad anni sette di reclusione, poi ridotta ai sensi dell’art. 438 cod.proc.pen.: la pena applicata, pertanto, é pari ad anni quattro e mesi otto di reclusione, inferiore al limite indicato dalle predette norme.

Deve, infatti, ribadirsi il consolidato principio di questa Corte, secondo cui «Ai fini dell’applicazione all’esito del giudizio abbreviato della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, deve sempre aversi riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito» (Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998, Ishaka, Rv. 210980), in quanto conforme alla lettera della norma, che fa riferimento alla condanna concretamente irrogata.

La presenza di condanne per ulteriori delitti uniti per continuazione, che comporta l’aumento della pena-base oltre il limite dei cinque anni di reclusione sopra indicato, é irrilevante, in quanto «Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione legale, nel caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena determinata in concreto per il reato più grave, nell’eventualità ulteriormente ridotta per la scelta del rito, e non a quella complessiva risultante dall’aumento della continuazione» (Sez. 1, n. 8126 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272408).

Tale principio é stato costantemente affermato, sia con riguardo alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici (si vedano anche Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Rv. 270240; Sez. 1, n. 14375 del 05/03/2013, Rv. 255407), sia con riguardo a quella della interdizione legale (Sez. 1, n. 2560 del 21/11/1985, dep. 1986, Rv.172279), stante la predeterminazione della loro durata, diversamente da quelle previste dall’art. 37 cod.pen., per le quali vi é un orientamento diverso, che prevede debba tenersi conto anche della pena irrogata in continuazione tra reati omogenei (vedi Sez. 6, n. 17564 del 06/04/2023, Rv. 284593; Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Rv. 263045).

L’irrogazione al ricorrente, in concreto, di una pena-base inferiore ai cinque anni di reclusione, ma superiore ai tre anni di reclusione, comporta che la sanzione della interdizione legale durante l’esecuzione della pena, prevista dall’art. 32 cod.pen., non é applicabile, e quella della interdizione dai pubblici uffici, prevista dall’art. 29 cod.pen., é applicabile non in modo perpetuo, ma per la durata di anni cinque.

Tale misura non può essere ridotta per effetto del rito abbreviato, in quanto «In tema di giudizio abbreviato, la diminuente speciale di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. va applicata soltanto alla pena principale e non alle pene accessorie, sia per la chiara lettera della norma citata sia per la natura e la funzione delle pene accessorie, diverse rispetto all’assetto ordinamentale delta pena principale» (Sez. 1, n. 21906 del 18/05/2021, Rv. 281390).

Essa non può neppure essere ridotta per la ritenuta minore gravita del reato, come richiesto dal ricorrente, essendo la durata di questa sanzione predeterminata dalla legge in una misura fissa, sottratta alla valutazione del giudice; la durata della misura di sicurezza applicata, invece, non potrebbe comunque essere ridotta, perché già contenuta nel minima stabilito dall’art. 228, quinto comma, cod.pen.

2.3. Le sanzioni accessorie concretamente applicate a questo ricorrente, a seguito della generica conferma, sul punto, della sentenza di primo grado, sono pertanto illegali, in quanto applicate in assenza di una previsione di legge o in insanabile contrasto con essa, perché maggiori, per durata, di quella stabilita dal legislatore (vedi, Sez. U, n.38809 del 31/03/2022, Rv. 283689, quanto alla distinzione tra illegalità e illegittimità della pena).

II giudice di appello, pertanto, avrebbe dovuto procedere alla modifica delle sanzioni accessorie applicate dal giudice di primo grado, in virtù del principio secondo cui egli «in caso di accoglimento dell’accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, é tenuto alla sostituzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata con la sentenza di condanna a pena detentiva non inferiore a cinque anni, con quella dell’interdizione temporanea, ove la pena irrogata sia complessivamente inferiore ad anni cinque di reclusione, anche se la sostituzione non sia stata prevista nell’accordo tra le parti» (Sez. 5, n. 11940 del 13/02/2020, Rv. 278806).

In mancanza di tale intervento, la modifica deve essere disposta dal giudice di legittimità, in quanta «L’illegalità della pena accessoria, erroneamente applicata, e rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile (Fattispecie relativa ad interdizione temporanea dai pubblici uffici, applicata sulla base della pena individuata dopa aver praticato gli aumenti per la continuazione, anziché sulla base della pena principale indicata per il reato più grave, inferiore nel caso di specie al limite di tre anni di reclusione)» (Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, Rv. 276320; vedi anche, con riferimento alle pene illegali, Sez. U, n.38809 del 31/03/2022, Rv. 283689).

2.4. La sentenza emessa nei confronti di (omissis) pertanto, deve essere annullata senza rinvio, nonostante l’inammissibilità del ricorso, disponendo l’eliminazione della sanzione accessoria della interdizione legale e la sostituzione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione solo temporanea.

3. II ricorso proposto da (omissis) (omissis) é manifestamente infondato in entrambi i suoi motivi.

3.1. II primo motivo del suo ricorso é del tutto generico. Esso si limita a ripetere i motivi di appello, che il giudice di secondo grado ha valutato e respinto con motivazione logica e non contraddittoria, e non si confronta con le relative argomentazioni.

L’affermazione della insussistenza dell’aggravante dei futili motivi é fondata, infatti, sul fatto che ii coimputato, in quanta parzialmente incapace di intendere e volere, può non avere capita che le ragioni che lo spingevano ad aggredire le tre vittime erano tali.

La sentenza di appello ha respinto tale affermazione sottolineando che questo imputato era consapevole che la rabbia del (omissis) (omissis) era scatenata esclusivamente dal ritardo nella consegna dell’auto, ma non ha mosso alcun rilievo in relazione alla sua intenzione di aggredire i (omissis) (omissis) per dirimere quel contrasto, secondo quanto risulta sin dal primo interrogatorio da lui reso.

Per tale motivo, i giudici di appello hanno ritenuto di dover escludere che sulla causale dell’aggressione abbia inciso il disturbo di personalità diagnosticato al coimputato, perché tale causale é stata, di fatto, condivisa da questo ricorrente.

Nel ricorso, egli ripete l’affermazione già respinta dalla sentenza di secondo grado, peraltro esprimendola in termini di mera possibilità e senza individuare alcun elemento oggettivo che la supporti, senza spiegare perché il possibile errore valutativo commesso dal soggetto incapace, circa la futilità del motivo scatenante della sua aggressione, dovrebbe estendersi a lui stesso che, essendo pienamente capace di intendere e volere, era in grado di comprendere tale futilità, per la sua evidente banalità e la notevole sproporzione rispetto alla risposta che il correo intendeva portare.

Devono, pertanto, ribadirsi i consolidati principi di questa Corte, secondo cui «É inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione» (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970) ed «É inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso» (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Rv. 230634).

3.2. II secondo motivo di ricorso lamenta «la mancanza di motivazione in ordine all’aumento di 1/3 della pena base», senza rilevare che nessun aumento di pena e stato disposto neppure dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto sussistente l’aggravante della recidiva bilanciandola però con le attenuanti generiche, e che tanto meno un simile aumento e stato disposto dal giudice di secondo grado, che ha escluso detta aggravante. II ricorrente denuncia, pertanto, un vizio di motivazione manifestamente insussistente.

Quanto all’asserita contraddittorietà della motivazione, perché all’esclusione della recidiva non fa seguito una riduzione del trattamento sanzionatorio, il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che pure viene richiamata, nella parte in cui i giudici hanno confermato il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti, pur limitando queste alla sola aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 1 cod.pen., «in virtù di quanto emerso sulla gravita dei fatti, sul danno cagionato alle persone offese e sulla spiccata inclinazione di (omissis) a commettere reati contro la persona».

Anche questo motivo di ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile per la sua aspecificità.

3.3. Anche con riferimento a questo imputato, peraltro, deve rilevarsi l’erroneità della sentenza impugnata, laddove ha confermato le sanzioni accessorie applicate dal giudice di primo grado, della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

Tali sanzioni, applicate al ricorrente (omissis) (omissis) sono illegali ab origine, perché egli é stato condannato, dal giudice di primo grado, alla pena-base di sette anni di reclusione che, con la riduzione per il rito abbreviato, comporta la irrogazione, in concreto, di una pena inferiore a cinque anni di reclusione.

Pertanto, non poteva essergli applicata la sanzione della interdizione legale durante l’esecuzione della pena, che l’art. 32 cod.pen. prevede solo nel caso di condanna ad una pena non inferiore a cinque anni di reclusione, e la sanzione della interdizione temporanea dai pubblici uffici doveva essere solo temporanea.

Si richiamano, sul punto, tutte le valutazioni già espresse nel superiore paragrafo 2.2., quanto alla pena a cui fare riferimento in caso di reato continuato, e al calcolo del suo quantum.

In merito alla qualificazione delle sanzioni applicate come “illegali”, e alla rilevabilità d’ufficio di tale illegalità da parte del giudice di legittimità, si richiamano le considerazioni esposte nel paragrafo 2.3.: il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare tale illegalità anche in assenza di una specifica impugnazione, e correggere la statuizione; in assenza del suo intervento, la correzione deve essere disposta da questa Corte, nonostante la inammissibilità del ricorso.

3.4. Anche la sentenza emessa nei confronti di (omissis) (omissis) pertanto, deve essere annullata senza rinvio, adottando le medesime disposizioni già indicate per il correo.

4. Per i motivi esposti, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, ma la sentenza deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al punto relativo all’applicazione delle sanzioni accessorie, che deve essere modificato come precisato in dispositivo.

Le statuizioni civili non sono state oggetto di uno specifico motivo di ricorso, e la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta la loro conferma, e la condanna dei ricorrenti al rimborso delle ulteriori spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi separatamente, in applicazione dell’art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002.

La sussistenza di una condizione personale incidente sulla salute di uno degli imputati impone l’oscuramento dei dati identificativi di tutte le parti di questo procedimento, a tutela del suo diritto alla riservatezza.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente le pene accessorie dell’interdizione legale, che elimina, e dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici che sostituisce con quella temporanea per la durata di anni cinque.

Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.

Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (omissis) (omissis), e (omissis) (omissis) ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo ii pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 21 marzo 2024

Il Consigliere estensore                                                                               Il Presidente

Paola Masi                                                                                                     Vito Di Nicola

Depositato in Cancelleria, oggi 22 maggio 2024.

SENTENZA