REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. Luca Ramacci – Presidente –
Dott. Cinzia Vergine – Consigliere –
Dott. Antonella Di Stasi – Consigliere –
Dott. Lorenzo Bucca – Consigliere –
Dott. Giuseppe Noviello – Relatore –
la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Santa Maria Capua a Vetere;
nel procedimento a carico di:
(omissis) (omissis) nata a (omissis) il xx/xx/19xx;
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
(omissis) (omissis) nata a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la ordinanza del 07/03/2024 del tribunale di Santa Maria Capua a Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Noviello;
letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. Gaspare Sturzo che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato avv.to (omissis) (omissis) che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere revocava l’ordine di demolizione di cui alla sentenza del Pretore di Santa Maria Capua a Vetere del 13.10.1997, relativo ad opere abusive riportate nella stessa.
2. Avverso la predetta ordinanza II Procuratore della Repubblica del tribunale di Santa Maria Capua ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di impugnazione.
3. Si rappresenta il vizio di violazione di legge, evidenziandosi la avvenuta acquisizione al patrimonio Comunale, a seguito della mancata ottemperanza entro 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione comunale, delle opere abusive qui rilevanti, con la conseguenza che il permesso di costruire in sanatoria che sarebbe stato rilasciato in ordine alle stesse sarebbe illegittimo, siccome rilasciato dopo la intervenuta acquisizione di cui sopra.
Si osserva altresì, che il giudice penale dell’esecuzione ha comunque il compito di verificare la conformità agli strumenti urbanistici dei titoli edilizi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso nei termini sopra esposti è fondato.
Il dato storico, rappresentato dal ricorrente, appare sussistente, con le precisazioni di seguito riportate, alla luce in particolare di quanto si evince dal resoconto dei fatti e del complesso iter procedimentale verificatosi, rispetto alle opere abusive di cui alla sentenza sopra citata, come illustrato nel provvedimento di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, del Comune di Curti, recante data del 6 luglio 2021.
In particolare, emerge che con la sentenza del Pretore di Santa Maria Capua a Vetere del 13.10.1997 si accertavano, in data 10.1.1995, talune opere abusive, in particolare realizzate in difformità da titoli edilizi, quale una CE rilasciata il 6.5.1994 quale CE in variante ad altre CE precedenti.
Ad essa seguiva ordinanza sindacale di demolizione n. 4 del 17.01.1995, rispetto alla quale sopravveniva istanza di condono del 27.2.1995, ovvero prima del maturare dei 90 giorni rispetto al provvedimento demolitorio del 1995.
Condono poi intervenuto ai sensi della L. 724/94 nel 1998, ma, si noti bene, solo limitatamente all’intervento di cambio di uso da garages a locale commerciale realizzato al piano terra della palazzina abusiva.
Si tratta solo di una parte delle opere abusive, atteso che pare evincersi che gli interventi abusivi accertati giudizialmente e oggetto dell’ordine di demolizione del 1995, per vero, comprendevano anche un cambio d’uso del sottotetto e altri interventi su facciata e solaio rispetto ad un immobile articolato su più livelli. Il 20.3.2001 poi, si accertava che le opere abusive realizzate e accertate come in difformità da titoli edilizi non erano state demolite.
E quindi si notificava al proprietario la distinta ingiunzione a demolire della Procura della Repubblica rispetto alle opere abusive di cui alla già citata sentenza. Il 23.4.2001 il proprietario avanzava per le opere di recupero a uso abitativo del sottotetto e per altre opere edilizie riportate a pagina 3 del citato atto di annullamento in autotutela, non comprensive, pare, del cambio di uso da garage a piano residenziale (come detto già oggetto di condono ex L. 724/94 del 1998), istanza di sanatoria ex art. 13 della L. 47/85 e L.R. 15/2000.
Seguiva concessione edilizia di sanatoria, che riporta in rubrica il riferimento solo al cambio di uso del sottotetto (cfr. pag. 3 citata) n. 43/s. del 23.9.2001.
Seguiva l’avviso di avvio di un procedimento di annullamento in autotutela della concessione citata 43/s., osservandosi (pag. 4) che il rilascio della stessa sarebbe intervenuto dopo 90 giorni dalla notifica della ordinanza n. 4 del 17.1.1994 (rectius del 1995) oltre che successiva alla ingiunzione a demolire o ripristinare della Procura, del 2001. E quindi si procedeva ad annullamento in autotutela della concessione 43/s
2. Deve quindi riconoscersi che, a fronte di un ordine di demolizione del gennaio 1995, non ottemperato, salve comunque le opere oggetto di condono del 1998 ( locale garage mutato in appartamento) che non paiono qui venire in contestazione (salve eventuali verifiche del provvedimento di condono in sede di rinvio), siano decorsi oltre 90 giorni dalla notifica del predetto ordine senza alcuna ottemperanza.
In proposito, occorre precisare che il regime della acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’opera abusiva, decorsi 90 giorni dalla notifica della ordinanza di demolizione, attiene al provvedimento comunale di tale tipo, per cui non rileva, ai predetti fini, la distinta ingiunzione a demolire emessa dalla Procura (nel 2001) per portare ad esecuzione l’ordine di demolizione contenuto in sentenza, trattandosi di un provvedimento incidentale all’interno della distinta procedura giudiziale di esecuzione.
Va precisato che la predetta acquisizione ex art. 31 comma 4 del DPR 380/011 opera solo in rapporto ad interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, quali sono quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
In proposito, correttamente si rileva, nel provvedimento di annullamento in autotutela citato, che la realizzazione del cambio di uso per il sottotetto integrò la creazione di un organismo integralmente diverso ai sensi dell’art. 31 comma 1 del DPR 380/01, così da potersi connettere al regime acquisitivo in favore del comune prima citato.
Salvo facendo comunque, la estraneità a tale acquisizione del piano oggetto di tempestivo condono del 1998 atteso che la relativa domanda appare proposta già nel febbraio del 1995 ovvero prima del decorso dei predetti 90 giorni (ma salva comunque l’onere di controllo del giudice di esecuzione per il caso di specie in sede di rinvio).
3. Riconosciuta quindi la non conformità alle regole urbanistiche della concessione 43/s., e sottolineato, come pure richiamato in ricorso, il dovere del giudice della esecuzione di valutare la eventuale legittimità di titoli edilizi, anche in sanatoria, sopravvenuti, si tratta di precisare i rapporti tra la demolizione effettuata in via giurisdizionale e altri atti amministrativi o giurisdizionali.
Va innanzitutto affermato il principio generale per cui il giudice dell’esecuzione, proprio perché la competenza ad eseguire l’ordine di demolizione stabilito con sentenza spetta all’Autorità Giudiziaria procedente, in quanto espressione di un potere autonomo rispetto a quello analogo alla P.A., deve risolvere tutte le questioni afferenti la eseguibilità di qualsiasi pronuncia ed in particolare la compatibilità dell’ordine adottato con i provvedimenti assunti dall’autorità o dalla giurisdizione amministrativa o da quella penale (Cass. 11/11/2010, n. 39768; Cass. 20/4/2009, n. 16686; Cass.30/3/2000, n. 1388).
Altro principio è quello per cui l’ordine di demolizione delle opere abusive, emesso con la sentenza passata in giudicato, può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione (Sez. 3, Sentenza n. 42978 del 17/10/2007 Rv. 238145 – 01).
Da tale affermazione, consegue la necessità di precisare quali siano i profili dell’ordine di demolizione giudiziale, quale è l’atto che viene qui in esame e che risulta revocato, che possano entrare in contrasto con atti di altra autorità, così che occorre specificare innanzitutto i presupposti sulla base dei quali interviene l’ordine di demolizione disposto dal giudice,
Va preliminarmente evidenziato, allora, che tale ordine di demolizione è adottato dal giudice penale ai sensi dell’art. 31 comma 9 del DPR 380/01 secondo il quale “per le opere abusive di cui al presente articolo.
Il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”. Appare evidente che l’ordine di demolizione in parola consegue alla avvenuta rilevazione della sussistenza di un abuso per cui intervenga condanna. In altri termini, esso presuppone che un intervento edilizio sia stato accertato giudizialmente come abusivo.
Con l’ulteriore delimitazione discendente dal riferimento, con l’art. 31 comma 9 citato, alle “opere abusive di cui al presente articolo”, per cui la demolizione non può essere ordinata dal giudice in rapporto a qualsiasi tipo di abuso, ma solo per quelli “eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile” ( art. 31 comma 1 cit.).
In tale quadro, appare pertinente evidenziare la natura e la funzione dell’ordine di demolizione. Come più volte precisato da questa Suprema Corte, in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’imposizione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso e non ha finalità punitive, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso (Sez. 3, n. 51044 del 03/10/2018 Rv. 274128 – 01).
In linea con questo consolidato indirizzo è utile evidenziare come, di recente, la Corte Edu (Corte EDU, Sez. I, 12 settembre 2024, n. 35780/18 – L. c. Italia) abbia ritenuto – rispetto ad una vicenda riguardante la legittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo di proprietà, ordine disposto dall’autorità giudiziaria, in cui si faceva valere dal privato la violazione sia degli artt. 6 § 1 (diritto a un giusto processo) e 7 (nulla poena sine lege) che dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – che, nonostante l’ordine di demolizione in questo caso fosse stato emesso dal giudice penale, lo scopo era da ritenersi funzionale al ripristino, ovvero diretto a ricondurre il sito al suo stato precedente, così che l’ordine di demolizione non assume scopo punitivo. Dato ciò, non si era pertanto in presenza di una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione e l’ordine di demolizione non poteva essere soggetto al termine di prescrizione.
Si è quindi respinto il reclamo.
Di utilità rispetto alle presenti considerazione, è anche l’evidenziare il dato per cui con la citata sentenza la Corte Edu, quanto alla dedotta violazione dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, ha rilevato che lo scopo di un ordine di demolizione è di ripristinare un sito alle sue condizioni precedenti, e tale ordine non è soggetto a un termine di prescrizione. Ciò è necessario per garantire l’efficacia delle normative edilizie e scoraggiare altri potenziali trasgressori. Il tempo trascorso non può modificare tale conclusione.
Dalle suesposte considerazioni discende che, atteso che l’ordine di demolizione ex art. 31 comma 9 citato e qui in esame, ha il suo fulcro essenziale nell’ accertamento giurisdizionale di un abuso edilizio, e la sua funzione nella necessaria sua eliminazione per il ripristino della legalità violata – tanto che tale ordine persiste, come più volte sottolineato da questa Corte, nonostante l’intervenuta morte del reo, trattandosi di misura ad rem, e senza alcuna rilevanza, lo si ripete, della decorrenza di alcun termine di prescrizione (cfr., tra le altre, sentenze della Corte di cassazione n. 9949 del 20 gennaio 2016; n.21198 del 18 maggio 2023) -, le preclusioni alla sua esecuzione non possono che provenire da circostanze, anche sopravvenute, incidenti sull’abusività stessa dell’opera, oppure sulla sua destinazione a fini leciti.
In tale ultimo senso depone la previsione di cui all’art. 31 comma 5 del DPR 380/01, come di recente anche novellato con Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69 convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2024, n. 105, secondo cui “l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico ((previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati)) delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Nei casi in cui l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il comune, ((previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati)) delle amministrazioni competenti ai sensi ‘dell’articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione ((delle opere abusive da parte dell’acquirente)). È preclusa la partecipazione del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione…”
Quanto invece, in particolare, alle preclusioni derivanti da circostanze incidenti sul profilo dell’abusività dell’opera, questa Corte ha più volte sottolineato che l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività, fermo restando il potere- dovere del giudice dell’esecuzione di verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio ( Sez. 3 n. 3456 del 21/11/2012 (dep. 23/01/2013 ) Rv. 254426 – 01).
Ancora, la approvazione di un piano urbanistico comunale non costituisce atto idoneo ad impedire la demolizione dell’opera abusiva disposta ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che gli atti tipici della Pubblica amministrazione idonei ad evitare la esecuzione di tale parte della sentenza sono, oltre alla già intervenuta demolizione ad opera della P.A., la concessione in sanatoria e la delibera del Consiglio comunale che abbia dichiarato la conformità del manufatto con gli interessi pubblici urbanistici ed ambientali (Sez. 3, n.34428 del 09/07/2001 Rv. 219991 – 01).
In tale ultima prospettiva si è comunque precisato che, sottraendo l’opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto per legge, la delibera comunale che dichiara l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato. (Fattispecie nella quale la Corte ha reputato legittimo il rigetto, da parte del giudice dell’esecuzione, di istanza di sospensione dell’ordine di demolizione, in presenza di due delibere comunali aventi per oggetto i criteri per individuare l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive e i criteri per locare gli immobili già acquisiti al patrimonio comunale) (Sez. 3, n. 25824 del 22/05/2013 Rv. 257140 – 01).
Il tema in esame, impone, poi, una specifica analisi circa i rapporti tra l’esecuzione dell’ordine di demolizione e decisioni giurisdizionali, in particolare, per quanto qui di interesse, dell’autorità giurisdizionale amministrativa, e va affrontato ancora una volta tenendo conto delle suesposte “ontologiche” caratteristiche dell’ordine di demolizione in esame, considerate sul piano strutturale (ordine conseguente all’accertamento di un’opera abusiva) e funzionale (finalità di ripristino del rispetto delle disposizioni urbanistiche).
Consegue, allora, che la problematica può rinvenirsi nei limiti in cui le determinazioni dell’A.G. amministrativa possano incidere, per l’oggetto della relativa decisione, sui presupposti dell’ordine di demolizione, così da emergere una incompatibilità. In altri termini, viene in rilievo il rapporto tra il giudicato penale e il giudicato amministrativo, nella misura in cui involga, in particolare, il tema della abusività della medesima opera.
Rapporto che questa Corte ha precisato e delimitato, laddove, dopo avere rilevato, in via generale, che in materia edilizia il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia, e conseguentemente di valutare la legittimità di eventuali provvedimenti amministrativi concessori o autorizzatori, trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato, che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera (Sez. 3, n. 39707 del 05/06/2003 Rv. 226592 – 01), ha precisato che la valutazione del giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, costituente il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta, o comunque fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o addirittura non veritiero, sempre che tali criticità risultino da dati obiettivi preesistenti e sconosciuti al giudice amministrativo, ovvero sopravvenuti alla formazione del giudicato. (Sez. 3, Sentenza n. 31282 del 24/05/2017 Rv. 270276 – 01) ed ha altresì aggiunto, tra l’altro, che al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, non dedotti ed effettivamente decisi dal giudice amministrativo (Sez. 6, n. 17991 del 20/03/2018 Rv. 272890 – 01).
Quanto sinora da ultimo osservato, circa il rapporto con il giudicato amministrativo, lascia comprendere che non ogni tipo di decisione del giudice amministrativo può incidere sull’ordine di demolizione adottato dal giudice penale, con sentenza di condanna irrevocabile.
Ma solo quelle che abbiano esaminato il profilo di abusività di un intervento. In tale ottica, non possono certo rilevare, ai fini in parola, quelle decisioni che, pur riguardanti abusi edilizi, non ne abbiano scandagliato il merito, ma siano conseguite solo a valutazioni di tipo procedurale.
E tale appare quella che, con l’ordinanza impugnata, il giudice dell’esecuzione ha valorizzato, per revocare l’ordine di demolizione, laddove ha preso in considerazione la decisione con cui il Tar, con due pronunce, in ragione del lungo lasso di tempo intercorso dalla sanatoria all’autoannullamento della stessa e della assente esplicazione di un interesse pubblico prevalente a base dell’autoannullamento esercitato dal Comune, ha annullato i provvedimenti di annullamento in autotutela adottati dal Comune di Santa Maria Capua a Vetere, in relazione alle opere interessate dal predetto ordine ex art. 31 cit. qui in esame.
Si è trattato, infatti, di una decisione estranea ad ogni profilo di merito degli abusi in questione, come tale inidonea a sancire un contrasto che, nei termini finora illustrati, possa giustificare la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione ex art. 31 citato.
Invero, la valorizzazione, in sede giurisdizionale amministrativa, del decorso del tempo e della omessa motivazione dell’interesse pubblico all’annullamento in autotutela di un provvedimento di sanatoria, all’evidenza non solo non attiene alla sostanza dell’abusività delle opere ma, per quanto osservato sulla funzione e natura dell’ordine di demolizione in questione, verrebbe inammissibilmente e ingiustificatamente e trascurare la natura ripristinatoria dell’ordine, che giustifica l’irrilevanza – come sopra evidenziato – di ogni termine di prescrizione e la necessità di assicurare l’ordine urbanistico violato in ossequio ad un interesse pubblico che appare indiscusso e immanente, per scelta Legislativa, nelle stesse disposizioni a ciò deputate.
Peraltro, questa Suprema Corte ha anche già espressamente affermato che la persistenza dell’interesse pubblico alla demolizione del manufatto abusivo riguarda la legittimità dell’ordine di demolizione impartito dalla pubblica amministrazione, non quello disposto dal giudice con la sentenza di condanna che, come noto, non costituisce provvedimento amministrativo ed è impermeabile ai vizi tipici dei provvedimenti amministrativi.
Peraltro, per comprendere il più ampio quadro, anche sancito a livello convenzionale, della rilevanza della demolizione di opere abusive, va in questa sede anche ricordato che con sentenza del 17 ottobre 2017, n. 9, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ribadito la validità del principio, maggioritario nella giurisprudenza amministrativa, per cui il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (Sez. 3, n. 41269 del 15/05/2018 Rv. 274114 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, emergendo la mancata valutazione, in piena autonomia, da parte del giudice, della validità della concessione 43/s, anche, ma non solo, alla luce dell’art. 31 comma 4 del DPR 380/01, la Corte ritiene pertanto che l’ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, da svolgersi alla luce dei principi sopra esposti e nel contesto del generale onere del giudice penale di scandagliare in concreto la legittimità dei singoli eventuali provvedimenti di condono o sanatoria in senso stretto che assumano rilievo nel caso concreto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Giuseppe Noviello Luca Ramacci
Depositato in Cancelleria, oggi 16 ottobre 2024.