Marciapiede sconnesso, il bambino corre e finisce per cadere: colpevole il nonno a cui era stato affidato (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 11 novembre 2022, n. 33390).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n.15154/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS) RICCARDO, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) PIERLUIGI;

-ricorrente-

contro

COMUNE SAN DONATO LECCE, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ANTONIO

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 1036/2019 depositata il 30/09/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/10/2022 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. Fabio (OMISSIS) e Stefania (OMISSIS) convennero in giudizio il Comune di San Donato di Lecce, davanti al Tribunale di Lecce, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patiti dal loro figlio minore Riccardo (OMISSIS) a seguito di una caduta avvenuta a causa delle cattive condizioni di manutenzione del marciapiede di una via cittadina.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata prova per testi e fatta svolgere una c.t.u. medico-legale, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata impugnata dagli attori soccombenti e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 30 settembre 2019, ha rigettato l’appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce ricorre Riccardo (OMISSIS), nel frattempo divenuto maggiorenne, con atto affidato a cinque motivi.

Resiste il Comune di San Donato di Lecce con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 2051 cod. civ., rilevando che dalle deposizioni testimoniali risulterebbe che l’allora minore cadde per le sconnessioni del marciapiede, non potendo tale causa considerarsi come abnorme e tale da escludere la responsabilità del custode.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello posto a base della decisione circostanze non allegate dal Comune di San Donato di Lecce e per aver anche violato le regole sulle presunzioni.

La censura osserva che la circostanza, riportata in sentenza, secondo cui il bambino stava correndo sul marciapiede quando si verificò la caduta non sarebbe stata mai dedotta dal Comune.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., per avere la sentenza erroneamente dedotto dal fatto che la caduta si era verificata presso la casa del nonno del (OMISSIS) la conseguenza che il bambino fosse anche a conoscenza dello stato di dissesto del marciapiede.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per non avere il giudice tenuto conto dei fatti decisivi provati dall’attore danneggiato (cioè che il marciapiede fosse coperto da fogliame e che l’evento si fosse verificato di sera, quindi in condizioni di scarsa visibilità).

5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2051 cod. civ., perché il comportamento anche imprudente della vittima non poteva costituire esimente per il Comune tenuto alla manutenzione del marciapiede.

6. I motivi, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistenti, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

6.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.

Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno.

6.2. Tanto premesso, il Collegio rileva che la Corte d’appello, con un accertamento in fatto non rivisitabile in questa sede, è pervenuta alla conclusione di dover attribuire l’intera responsabilità dell’accaduto al minore ed al nonno che in quel momento era tenuto alla sua sorveglianza.

Tale convincimento è stato raggiunto sulla base di una serie di considerazioni.

La sentenza impugnata ha infatti osservato:

– che la caduta era avvenuta in un luogo ben noto al bambino, posto che si era nei pressi della casa del nonno;

– che lo stato di sconnessione del marciapiede era noto sia ai genitori che al minore;

– che gli effetti della caduta deponevano nel senso che il bambino stesse correndo, il che avrebbe obbligato il nonno ad un’adeguata sorveglianza;

– che il comportamento colposo di chi era tenuto alla sorveglianza era tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa e il danno, escludendo in questo modo la responsabilità del Comune ai sensi sia dell’art. 2051 che dell’art. 2043 del codice civile.

6.3. A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente oppone la propria (diversa) valutazione dei fatti di causa, sostenendo che la sentenza avrebbe fatto un uso errato delle presunzioni, non considerando l’ora buia in cui la caduta era avvenuta e la mancanza di pubblica illuminazione.

Rileva la Corte, innanzitutto, che lo stesso ricorrente riferisce che la caduta avvenne intorno alle ore 20.30 del 12 luglio 2010 e che può ritenersi nozione di comune esperienza che nel mese di luglio vi sia a quell’ora una piena visibilità, tanto più rilevante in considerazione della notorietà dei luoghi.

La circostanza, evidenziata dalla Corte d’appello, secondo cui il bambino stava correndo è solo di contorno, nel senso che la sentenza, correttamente applicando la giurisprudenza di questa Corte, ha affermato che la caduta era da ricondurre ad un’omessa vigilanza da parte di chi era tenuto alla custodia del minore, interrompendosi in tal modo il nesso di causalità.

Le censure, in sostanza, da un lato ipotizzano violazioni di legge che non sussistono e dall’altro finiscono col tradursi nella riproposizione del vizio di motivazione secondo il precedente testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), cit., sollecitando in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito.

6.4. Da ultimo, laddove si afferma nel secondo motivo che la circostanza rilevata dal giudice non sarebbe mai stata dedotta dalla parte, va osservato che trattandosi del profilo del nesso di causalità, e dunque di un fatto costitutivo, ricorre il potere/dovere di accertamento del giudice sulla base delle circostanze acquisite al processo.

7. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.000 per compensi, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte di cassazione, il giorno 19 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il giorno 11 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.