REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
DANILO SESTINI -Presidente
CHIARA GRAZIOSI -Consigliere
MARCO DELL’UTRI -Consigliere
STEFANIA TASSONE -Consigliere
GIUSEPPE CRICENTI -Consigliere – Rel.
ORDINANZA
sul ricorso 19772/2020 proposto da:
(omissis) (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis);
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1122/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2023 dal dott. CRICENTI GIUSEPPE;
RITENUTO CHE
1.- Il notaio (omissis) (omissis) ha redatto un atto di costituzione di fondo patrimoniale costituito da due coniugi: (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) in data (omissis).
1.2.- In data 22 maggio 2009 l’atto è stato trascritto.
1.3.- In data 25 maggio 2009 il notaio ha inviato l’atto costituivo all’Ufficiale dello stato civile del Comune di (omissis) (omissis) per l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, che però, per un ritardo della amministrazione comunale, è avvenuta solo nel 2014, dopo ulteriore sollecito da parte del notaio.
1.4.- E’ tuttavia accaduto che, durante questo ritardo nella annotazione, l’Erario, che era creditore del (omissis) ha proceduto ad esecuzione sul bene conferito nel fondo patrimoniale (una unità immobiliare sita nel Comune di (omissis) (omissis) da tale esecuzione i due coniugi non hanno potuto opporre la destinazione del bene nel fondo patrimoniale e dunque ai bisogni della famiglia, in quanto non era stata effettuata l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
2.- I due coniugi hanno dunque ritenuto il notaio responsabile della perdita del bene, o meglio della esecuzione subita, ed hanno agito nei confronti del professionista per ottenere il risarcimento dei danni.
3.- Il Tribunale di Lodi ha accolto la domanda ritenendo il notaio responsabile della omissione della annotazione e, di conseguenza, del danno subito a causa della inopponibilità del fondo patrimoniale.
3.1.- Questa decisione, fatta oggetto di appello principale da parte del notaio ed incidentale da parte dei coniugi (sul risarcimento del danno), è stata confermata in appello, con il rigetto di entrambe le impugnazioni.
4.- Ricorre il notaio con due motivi e memoria. Si oppone il solo (omissis) (omissis) con controricorso.
CONSIDERATO CHE
5.- Le rationes decidendi sono due.
La prima è che è obbligo del notaio non solo inviare l’atto al Comune per l’annotazione, ma altresì accertarsi che questa avvenga effettivamente, e dunque controllare presso l’ente locale che l’annotazione sia effettivamente eseguita, e, ciò premesso, che se il notaio ha adempiuto alla prima obbligazione (l’inoltro dell’atto per l’annotazione) non ha adempiuto alla seconda (accertarsi che l’annotazione sia effettivamente eseguita).
In secondo luogo, la prova che il fondo patrimoniale, se annotato, avrebbe potuto utilmente essere opposto all’Erario creditore, è ricavabile per presunzioni. Ossia: è da presumere, data l’entità della somma, che il credito per cui l’Erario procedeva non era stato contratto nell’interesse della famiglia, e dunque il fondo non poteva costituirne garanzia.
6.- Queste due rationes sono censurate con due diversi motivi.
7.- Il primo motivo prospetta violazione dell’articolo 1176 c.c. e 34 bis disp. att. cod. civ., nonché dell’articolo 2 l. 241 del 1990 e 14 della legge 267 del 2000.
La tesi è la seguente.
Obbligo del notaio è solo quello di richiedere al Comune l’annotazione del fondo nell’atto di matrimonio, ma non quello di vigilare sull’ente locale per assicurarsi che l’annotazione sia effettivamente fatta e lo sia tempestivamente.
Non è previsto alcun obbligo di controllo del notaio sulla pubblica amministrazione, la quale ha invece un’obbligazione autonoma di provvedere tempestivamente alla annotazione.
Il motivo è fondato.
Intanto, va sgomberato il campo dall’equivoco in cui è incorsa la Corte di Appello nel citare il precedente di questa Corte n. 20995 del 2012, dal quale non si deduce affatto che l’obbligo del notaio si estende alla verifica del risultato, ossia a controllare che il Comune faccia effettivamente e tempestivamente l’annotazione: quella decisione ha piuttosto reso responsabile il notaio per non avere tempestivamente richiesto l’annotazione, non già per non avere verificato, una volta fatta tempestiva richiesta, che la pubblica amministrazione provvedesse: che è invece ciò di cui si discute qui.
A smentire la tesi dei giudici di merito porta sia il tenore dell’articolo 34 bis disp. att. cod civ. che la natura dell’obbligazione del notaio.
Quanto alla prima, la norma prevede che il notaio debba, entro trenta giorni, richiedere l’annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale. Non prevede che debba altresì controllare che il Comune dia seguito tempestivamente alla richiesta.
In deroga a tale disposizione, una obbligazione di controllo deve avere fonte nel contratto: se il notaio vuole assumere ad esempio l’obbligazione di far di tutto per ottenere la cancellazione della ipoteca, deve stipulare con i clienti apposito mandato distinto dal contratto professionale (Cass. 1504/ 1972).
La tesi della Corte di Appello è basata su una interpretazione estensiva della obbligazione imposta per legge al notaio di limitarsi ad inoltrare l’atto.
Ma questa interpretazione estensiva è impedita dal correlativo obbligo della pubblica amministrazione che ha ricevuto la richiesta di provvedere tempestivamente alla annotazione (il ricorrente cita la circolare n. 12/2018 del Ministero degli Interni che impone all’ufficiale di stato civile, ricevuta la richiesta del notaio, di provvedere tempestivamente, effettuate le verifiche, alla annotazione).
In secondo luogo, l’obbligazione del notaio, che è obbligazione di mezzi, in questo ambito, non potendo egli rispondere delle negligenze altrui, diverrebbe una obbligazione di risultato peraltro difficile da adempiere, posto che al notaio sarebbe richiesto di imporre alla pubblica amministrazione un atto del suo ufficio: non si vede diversamente quale sarebbe l’obbligo di “accertare che l’annotazione sia andata a buon fine” (p. 11 della sentenza).
Se si vuole dire che il notaio ha solo l’obbligo di assumere informazioni sullo stato della annotazione, allora si tratta di un obbligo irrilevante ai fini del risultato (l’annotazione continua a difettare ed il fondo rimane inopponibile); se invece si vuole dire che il notaio deve procurare il risultato (“in modo che il proprio cliente persegua gli scopi connessi all’atto”, sempre p. 11 della sentenza), allora dovrebbe dirsi che al notaio è richiesto di indurre in qualche modo la pubblica amministrazione ad adottare un atto del suo ufficio.
Ma è obbligazione eccessiva, posto che il né il notaio può sostituirsi alla pubblica amministrazione nel compimento di un atto di competenza di quest’ultima, né gli può essere imposto di rimediare alla inerzia dell’ufficio comunale con ricorsi o altri simili strumenti.
8.- Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c.
Il notaio aveva eccepito che, a prescindere dal suo obbligo di garantire il risultato della annotazione, i clienti avrebbero dovuto dimostrare che, ove tempestivamente effettuata tale annotazione, essi avrebbero potuto opporre il fondo patrimoniale al creditore procedente, che era l’Erario.
Il giudice di primo grado, della cui soluzione quello di secondo si limita a prendere atto (p. 12 della sentenza, in quattro righe), aveva ritenuto che, pur non avendo parte attrice dimostrato che il debito era estraneo ai bisogni della famiglia, e dunque non consentiva di aggredire il fondo, tuttavia che lo fosse si poteva ricavare dalla entità della somma.
Questa presunzione è contestata dal ricorrente che assume tra l’altro una violazione dell’onere della prova.
Il motivo è fondato.
Infatti, la richiesta di risarcimento al notaio presuppone che, se annotato, il fondo sarebbe stato opponibile al creditore, per via del fatto che il debito nei confronti di costui era estraneo ai bisogni della famiglia.
I giudici di merito ammettono che non v’è alcuna prova sulla natura di tale credito, e che peraltro non v’è alcuna indicazione su quale era l’oggetto sociale della società che aveva assunto il debito (società di cui era socio il controricorrente ed i cui debiti erano garantiti dal coniuge di costui).
E tuttavia, nonostante l’incertezza su tutti questi elementi, che avrebbero dovuto essere provati da chi agiva in giudizio, i giudici di merito hanno ritenuto che dalla entità della somma (non è detto neanche quale fosse) si può dedurre che il debito era contratto per bisogni estranei alla famiglia.
Questa induzione è errata.
Ossia: dalla sola entità del debito non si può indurre la sua origine o la sua finalità, ben potendo anche debiti di elevata entità essere contratti nell’interesse della famiglia.
E ciò senza tacere del fatto che il ragionamento presuntivo è del tutto privo di elementi di riferimento nella motivazione: non si dice a quanto ammontava il debito, non si dice perché un debito di una tale entità debba essere per forza estraneo ai bisogni della famiglia. Con la conseguenza che non può dirsi neanche dimostrato che, se tempestivamente fatta l’annotazione, i due coniugi avrebbero potuto validamente opporre il fondo patrimoniale al creditore procedente.
Il ricorso va dunque accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto della domanda proposta nei confronti del notaio.
Le peculiarità della vicenda integrano gravi ragioni per la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata, decide nel merito e rigetta la domanda.
Compensa le spese.
Roma 12.7.2023.
Depositato in Cancelleria il 1° settembre 2023.