Omesso versamento Iva – Reato commesso dall’amministratore di diritto come autore principale in quanto direttamente obbligato (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 ottobre 2023, n. 40490).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. VITO DI NICOLA -Presidente

Dott. ANGELO MATTEO SOCCI -Relatore

Dott. ALDO ACETO -Consigliere

Dott. EMANUELA GAI -Consigliere

Dott. GIUSEPPE NOVIELLO -Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 29/09/2022 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. STEFANO TOCCI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

l’Avv. (omissis) (omissis) ha chiesto, con memoria, l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza del 29 settembre 2022 ha confermato la decisione del Tribunale di Avezzano del 17 settembre 2021 che aveva condannato (omissis) (omissis) alla pena di anni 1 di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74 del 2000 perché quale legale rappresentante della S.r.l. (omissis) omesso di presentare la dichiarazione IVA per l’anno di imposta 2012, con imposta evasa di euro 59.241,00. Reato accertato il (omissis).

2. L’imputato propone ricorso in cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.

2.1. Violazione di legge (art. 5, d. lgs. 74/2000 e 533 cod. proc. pen. ). Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’accertamento del dolo.

Il ricorrente era solo l’amministratore di diritto in quanto il dominus della società era suo padre, (omissis).

Il padre intratteneva i rapporti con i fornitori, i dipendenti e con i consulenti fiscali. In assenza di segnali di allarme il ricorrente non poteva fare nulla, anche perché amministratore di fatto era il padre. Nessun profitto ha mai tratto il ricorrente dalle condotte illecite del padre.

Manca la prova del dolo del reato; non può ritenersi l’amministratore di diritto responsabile per omessa vigilanza, senza l’accertamento del dolo del reato in capo all’amministratore di diritto. La sentenza utilizza meccanismi di automatismo tipici dell’accertamento della colpa e non del dolo.

Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

2.2. Il ricorrente ha presentato memoria di replica alle conclusioni di inammissibilità del ricorso della Procura generale della Corte di Cassazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato e deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La sentenza impugnata, con motivazione immune da contraddizioni e senza manifeste illogicità, ritiene che comunque l’amministratore di diritto deve ritenersi responsabile per la sua posizione dii garanzia di cui all’art. 2932 cod. civ.

Il ricorrente sul punto contesta solo genericamente l’assenza di dolo, in relazione alla sua qualità di amministratore di diritto (testa di legno), ma non fornisce elementi concreti (solo prospettazioni teoriche soggettive) di prova per la ricostruzione alternativa. Ovvero non indica atti del processo di merito (fonti probatorie) idonee a dimostrare la sua assoluta estraneità agli illeciti della società, in quanto la sua semplice nomina ad amministratore di diritto, testa di legno, è idonea a ritenere lo stesso corresponsabile degli illeciti della società, altrimenti la nomina sarebbe senza scopi.

La regola dell’ <<al di là di ogni ragionevole dubbio>>, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 – dep. 08/05/2014, e e altro, Rv. 260409).

3.1. Accertata la qualità di amministratore di diritto (come motivato adeguatamente nella sentenza impugnata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità e non contestato neanche dal ricorrente) deve analizzarsi la responsabilità dello stesso nei reati propri, quale quello in analisi, in relazione alla responsabilità dell’amministratore di fatto.

In linea generale il concorso dell’extraneus nel reato proprio è configurabile, quando vi è volontarietà (dolo) della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 – dep. 23/03/2016, Morosi e altri, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879).

La configurazione dell’amministratore di fatto inoltre è legislativamente prevista nell’art. 2639, comma 1, del Codice civile: “Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

L’amministratore di fatto oltre ai reati societari, di cui all’art. 2639 cod. civ., risponde anche di altri reati commessi in tale veste (vedi Sez. 5, n. 39535 del 20/06/201:2 – dep. 08/10/2012, Antonucci, Rv. 253363, per i reati fallimentari, e Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 – dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962, per i reati finanziari del d. lgs. n. 74 del 2000).

In giurisprudenza quindi si è giustamente posto l’accento non sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome) ma sul criterio funzionalistico, o dell’effettività, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale.

3.2. Conseguentemente in base ai principi esposti, il vero soggetto qualificato (e responsabile) non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in condizione di compiere l’azione dovuta (la presentazione della dichiarazione) mentre l’estraneo è il prestanome.

A quest’ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.

Nelle occasioni in cui questa Corte si è occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della società, ha individuato nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire (Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 – dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962; Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016 – dep. 18/04/2016, Gagliotta, 266757; “Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento – artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ. -, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice”, Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015 – dep. 24/09/2015, Biffi, Rv. 264971; vedi da ultimo Sez. 2 -, Sentenza n. 8632 del 22/12/2020 Cc. (dep. 03/03/2021) Rv. 280723-0).

Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica (Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015 – dep. 18/02/2015, Fasola, Rv. 262767; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014 – dep. 27/10/2014, Regoli ed altri, Rv. 261814 ).

4. Tuttavia, sul punto, ultimamente, la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha evidenziato come il reato di omessa dichiarazione risulta commesso dall’amministratore di diritto quale autore principale, in quanto direttamente obbligato: “In tema di omessa dichiarazione, il legale rappresentante di un ente che non abbia dello stesso l’effettiva gestione non risponde ex art. 40, comma secondo, cod. pen. per violazione dei doveri di vigilanza e controllo derivanti dalla carica rivestita, ma quale autore principale della condotta, in quanto direttamente obbligato “ex lege” a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di soggetti diversi dalle persone fisiche, che devono essere da lui sottoscritte e, solo in sua assenza, da chi abbia l’amministrazione, anche di fatto” (Sez. 3 -, Sentenza n. 20050 del 16/03/2022 Ud. (dep. 23/05/2022) Rv. 283201 – 01).

Nel caso di specie, infatti, si tratta di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell’ente secondo quanto dispongono gli artt. 1, comma 4, e 8, comma 6, d.P.R. n. 322 del 1988, a mente dei quali le dichiarazioni relative alle imposte dirette e sul valore aggiunto dei soggetti diversi dalle persone fisiche devono essere sottoscritte da chi ne ha la legale ré1ppresentanza e solo in assenza di questi da chi ne ha l’amministrazione, anche di fatto.

La responsabilità omissiva del legale rappresentante dell’ente, dunque, non deriva dall’applicazione dell’art. 40, cod. pen. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensì dalla violazione dell’obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, selezionandone l’autore e qualificando il reato stesso come a “soggettività ristretta” che può essere commesso solo da chi sia obbligato, per legge, a presentare la dichiarazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 9/06/2023.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023.

SENTENZA