Patrocinio a spese dello Stato e reati fiscali: la presunzione non può essere vinta dall’autocertificazione (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 6 febbraio 2025, n. 4816).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. SALVATORE DOVERE – Presidente –

Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –

Dott. GABRIELLA CAPPELLO – Consigliere –

Dott. LOREDANA MICCICHÉ – Consigliere –

Dott. ANNA LUISA ANGELA RICCI – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del TRIBUNALE di TERAMO;

udita la relazione svolta dal Consigliere, dr.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto, dr.ssa Mariella De Masellis che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Teramo, con ordinanza del 13/06/2024, ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 99 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, avverso il decreto del giudice dell’esecuzione del 23/10/2020 con il quale era stata rigettata, nel procedimento n. 194/2020 SIGE, un’istanza di ammissione del condannato (omissis) (omissis) al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.

Il Tribunale ha rilevato che il richiedente aveva riportato condanna definitiva in ordine al reato di cui all’art. 8 del d.lgs 10 marzo 2000 n. 74 per il quale, a norma dell’art. 76 comma 4-bis del medesimo d.P.R., il superamento del limite reddituale è presunto e ha ritenuto che (omissis) non avesse allegato elementi idonei a vincere la presunzione.

2. Avverso detta ordinanza, (omissis) ha proposto ricorso con proprio difensore, formulando due motivi.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione e erronea applicazione degli art. 76, 79, 91, 96, 98 d.P.R. n. 115/2002 per avere escluso dal beneficio in quanto condannato con sentenza definitiva per il reato di cui all’art. 8 del d.lgs n.74/2000 in ossequio a quanto statuito dall’art. 91 lett. a) d.P.R. n. 115/2002.

Lamenta il ricorrente che il giudice adito con opposizione non avrebbe tenuto conto che l’autocertificazione prodotta ed acquisita era elemento di per sé preliminarmente sufficiente a vincere la presunzione relativa di cui all’art. 76 comma 4 bis d.P.R. n. 115/2002: la normativa, infatti, affida la concreta valutazione di quanto autocertificato dal soggetto non già al giudice, ma ad altro soggetto, ovvero la Guardia di finanza, affinché possa e debba in concreto, ma in un momento successivo all’istanza, verificare se ricorrano o meno i parametri di concessione del beneficio.

La Suprema Corte ha già stabilito che ai fini della ammissione al patrocinio a spese dello Stato il diniego non può basarsi sul mero richiamo dei precedenti penali per indicare i redditi presuntivi.

D’altronde, la normativa vigente offre all’autorità giudiziaria procedente strumenti idonei a verificare le effettive condizioni reddituali patrimoniali e familiari dell’interessato, non solo a posteriori, attraverso le verifiche di cui all’art. 98 demandate all’ufficio finanziario competente per territorio, ma anche prima di provvedere, esercitando la facoltà conferita al giudicante dall’art. 96 comma 2, ossia trasmettendo l’istanza alla Guardia di Finanza.

Ragionando – al contrario – argomenta il ricorrente- non si vede quale altro elemento avrebbe potuto fornire e allegare il richiedente in modo da vincere la presunzione di cui all’art. 76 comma 4 bis d.P.R. n. 115/2002.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge per avere il Tribunale ritenuto che la condanna ex art. 8 d.lgs 74/2000 comportasse la automatica esclusione della ammissione al beneficio. Il difensore osserva che il reato su indicato, per il quale gli era stata applicata la pena, doveva ritenersi estinto in conseguenza del verificarsi delle condizioni ex art. 445, comma 2, cod. proc. pen, sicchè dovevano ritenersi estinti anche tutti gli effetti penali, ivi compreso quello della preclusione all’ammissione al beneficio. L’estinzione – osserva il ricorrente- opera ipso iure e non richiede alcuna pronuncia formale da parte del giudice della esecuzione.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto, dr.ssa Mariella De Masellis, ha rassegnato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. In data 30/12/2024 il difensore del ricorrente ha depositato una memoria con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

5. Il Ministero della Giustizia, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ha depositato una memoria con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso e condannarsi alle spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

2.1. Il giudice ha rigettato l’opposizione, fondando la motivazione, non già sulla esclusione, ai sensi dell’art. 91 DPR 30 maggio 2002 n.115, dell’ammissione al patrocinio per il condannato con sentenza definitiva di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, bensì sul ritenuto superamento dei limiti di reddito, ai sensi dell’art. 76, comma 4 bis, del medesimo d.P.R, in capo ai soggetti già condannati per determinate categorie di reati.

L’art. 76, comma 4 bis, d.P.R. n.115 del 2002 prevede una presunzione di superamento dei limiti di reddito per coloro che siano stati condannati in via definitiva in ordine ad .una serie di reati fra cui, a seguito della modifica introdotta all’art. 3 del d. 1gs 7 marzo 2019 n. 34 di recepimento della direttiva (UE) 2016/1919 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2016 recante norme “sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo”, anche quelli commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

La Corte Costituzionale, con sentenza 16 aprile 2010 n. 130, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4 bis, d.P.R. n. 115/2002, stabilendo che detta presunzione deve essere intesa come relativa, ossia superabile con prova contraria.

L’art. 91 del medesimo d.P.R, invece, prevede, una esclusione dell’ammissione per i condannati con sentenza definitiva in ordine ai reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: nella originaria formulazione l’esclusione era estata anche agli “indagati” ed agli “imputati”, ma, a seguito della entrata in vigore del d. Igs 7 marzo 2019 n. 34 che ha soppresso dette parole (ed ha introdotto- come detto- nell’art. 76 comma 4 bis, nella categoria dei reati per i quali vale la presunzione di superamento dei limiti di reddito anche quelli c.d fiscali), permane per il solo condannato in via definitiva.

Già la Corte di Cassazione aveva interpretato tale norma nel senso che l’ammissione al patrocinio doveva ritenersi preclusa nei soli procedimenti relativi a tale categoria di reati (Sez 4 n. 22065 del 12.4.2012, Avigliano, Rv 252969).

Tale interpretazione, oggi, è imposta dalla citata modifica legislativa: dalla lettura coordinata degli artt. 76 comma 4 bis e 91 d.P.R. n. 115/2002, così come modificati dal d.lgs 7 marzo 2019 n. 24, si ricava che la condanna riportata dal richiedente il beneficio in ordine a reati c.d. fiscali determina una presunzione di superamento dei limiti di reddito, vincibile con prova contraria, quando l’ammissione è richiesta in procedimento relativi a reati diversi da quelli in esame, e una preclusione assoluta alla ammissione al beneficio, quando questa è richiesta nel procedimento avente ad oggetto proprio tale condanna (in termini analoghi Sez. 4, n. 13742 del 22/03/2022, Falduto, Rv. 283021 – 01).

Nella relazione illustrativa del d.lgs 7 marzo 2019 n. 24, infatti, si legge che “I ‘intervento di cui all’art. 3 deve ritenersi, inoltre, originato da un’esigenza di coordinamento con il principio introdotto con l’art. 2 che, come detto, limita l’esclusione dell’ammissione al patrocinio prevista dall’art. 91 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 al solo condannato con sentenza definitiva per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

La limitazione dell’esclusione dal patrocinio gratuito, in quanto ora consentita per la sola fase esecutiva del procedimento penale in cui sia intervenuta una condanna definitiva (e non più per la fase delle indagini e per quella processuale) ha indotto, per ragioni di riequilibrio e di coordinamento del complessivo sistema normativo, all’inserimento dei reati di evasione fiscale nel novero di quelli per cui il reddito si debba presumere superiore ai limiti previsti, disposizione quest’ultima riferibile all’intero spettro dei giudizi potenzialmente riferibili al soggetto che abbia subito la condanna penale definitiva per i reati in discorso”.

2.2. Nel caso in esame, il giudice dell’opposizione ha correttamente rilevato che il ricorrente aveva riportato condanna definitiva in ordine al reato di cui all’art. 8 d.lgs n. 74/2000 (per avere emesso o rilasciato fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto), tale da far presumere, per dettato normativo, il superamento dei limiti di reddito ai fini della ammissione.

La presunzione di superamento, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non può essere vinta dalla autocertificazione, dovendo al contrario ritenersi che sia proprio il valore di tale ultimo atto a dovere recedere a fronte della presunzione di superamento dei limiti di reddito derivante dalla condanna passata in giudicato per determinati reati.

Questa Corte ha, infatti, stabilito che “in tema di patrocinio dei non abbienti, il compito del giudice di condurre accertamenti in merito alle condizioni economico-patrimoniali dell’istante, anche ai sensi dell’art. 96, comma terzo, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è escluso qualora il richiedente versi nella condizione prevista dall’art. 76, comma 4 bis, del medesimo d.P.R. e non abbia allegato concreti elementi di fatto, idonei a consentire il superamento della presunzione stabilita dal citato art. 76, comma quarto bis” (Sez. 4, n. 30499 del 17/06/2014, Nave, Rv. 262242).

In casi di tal fatta il valore dell’autocertificazione è superato dalla presunzione di legge e, in assenza di idonee allegazioni, atte a vincere la presunzione, nessun accertamento ulteriore deve essere compiuto dall’organo decidente.

3. Il secondo motivo, con cui si censura la valutazione del precedente penale come ostativo alla ammissione al patrocinio, nonostante sia maturata la estinzione del reato, è infondato.

3.1. A norma dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. nel caso sia stata pronunciata sentenza di applicazione pena, il reato è estinto ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a 2 anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, se nel termine di 5 anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di 2 anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e, se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non è, comunque, di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale.

Questa Corte, come rilevato dal ricorrente, ha già avuto modo di affermare che l’estinzione del reato oggetto di una sentenza di patteggiamento, in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., opera “ipso iure” e non richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione (Sez. 2 n. 994 del 25/11/2021, dep. 2022, Raccuia, Rv. 282515 – 02; Sez. 3, n. 19954 del 21/09/2016, dep. 2017, Dessi, Rv. 269765; Sez. 6, n. 6673 del 29/01/2016, Mandri, Rv. 266120; Sez. 5, n. 20068 del 22/12/2014, dep. 2015, Valente, Rv. 263503).

Quanto alla nozione di effetti penali della condanna, le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 20.4.94, P.M. in proc. Volpe, Rv. 197537 hanno affermato che: “gli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione, né indica il criterio generale che valga a distinguerli dai diversi effetti di natura non penale che pure sono in rapporto di effetto a causa con la pronuncia di condanna, si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale”.

Sul solco di tale pronuncia, si è sostenuto che fra gli effetti penali che si estinguono, ex art. 445, comma 2, cod. proc. pen., devono essere ricompresi:

(i) la valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale ex art. 131-bis, comma terzo, cod. pen., in quanto l’estinzione del reato elide ogni effetto penale della sentenza (Sez. 5 n. 24089 del 05/05/2022, Cupo, Rv. 283222 – 01);

(ii) la valutazione del precedente ai fini della applicazione della recidiva (Sez. 2 n. 994 del 25/11/2021, dep.2022, Raccuia, Rv. 282515);

(iii) l’obbligo di comunicazione al nucleo di polizia tributaria delle variazioni patrimoniali ex art. 30 della legge 13 settembre 1982, n. 646, rientrando detto obbligo nella categoria degli effetti penali della condanna (Sez. 6 n. 39820 del 30/05/2019, Laghi, Rv. 277064).

Si è sostenuto, invece, che fra gli effetti penali travolti dalla disposizione di cui all’art. 445 comma 2, cod. proc. pen. non rientra l’iscrizione della sentenza di condanna nel casellario giudiziale (Sez. 1, n. 18233 del 26/03/2019, Colavita, Rv. 275469 – 01), né la valutazione di pericolosità sociale utilizzabile ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione (Sez. 6, n. 37472 del 20/06/2017, La Terra, Rv. 271370; Sez. 1, n. 1063 del 17/12/2008, dep. 2009, Fraticelli, Rv. 243929).

3.2. Il collegio ritiene, in ragione di tale ricognizione, che la preclusione all’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato connessa alla condanna definitiva in ordine a determinati reati non sia effetto penale soggetto all’ estinzione ai sensi dell’art. 445 comma 2 cod. proc. pen., e che, pertanto, della precedente condanna, sia pure estinta, il giudice chiamato a decidere sull’istanza debba tenere conto. Detta preclusione, invero, trova la sua ratio giustificatrice nella presunzione di accumulo di ricchezze illecite collegato alla commissione di reati ai quali, nella generalità dei casi, corrispondono profitti rilevanti.

La stessa Corte Costituzione, nel dichiarare con la sentenza n. 139 del 2010, la illegittimità costituzionale dell’art. 76 comma 4 bis d.P.R. n. 115/2002 nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa norma il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocino a spese dello Stato, non ammette la prova contraria, ha affermato: “L’intento del legislatore è quello di evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con le attività delittuose appena indicate, possano paradossalmente fruire del beneficio dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato, riservato, per dettato costituzionale (art. 24, terzo comma), ai non abbienti”.

Nella stessa sentenza, la Corte Costituzionale, nel ricordare che l’art. 178 cod. pen. stabilisce che la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna e che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che componente essenziale dell’effetto penale è la natura sanzionatoria dello stesso, ha ribadito che tale componente non sussiste nell’esclusione dal patrocinio, che trova la sua ratio nella presunzione che il soggetto condannato abbia lucrato dalla sua attività delittuosa in misura tale da renderlo privo del requisito del reddito inferiore al minimo stabilito dalla legge.

3.3. Pur essendosi nel caso in esame il reato estinto per essersi verificate le condizioni previste dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. (la sentenza di applicazione pena è del 4 novembre 2009 e nei cinque anni successivi il ricorrente non ha commesso ulteriori reati), ciò nondimeno la condanna, ai fini dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato, continua a esplicare i suoi effetti, non potendo essere ricompresa fra gli effetti penali ad essa ricollegabili la preclusione individuata dall’art. 76 comma 4 bis, d.P.R. n. 115/2002.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore del Minstero resistente, che appare congruo liquidare in euro 1000,00.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità a favore del Ministero resistente, liquidate in euro 1000,00.

Deciso il 15 gennaio 2025

Il Consigliere estensore                                                                                           Il Presidente

Anna Ricci                                                                                                              Salvatore Dovere

Depositato in Cancelleria, oggi 6 febbraio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

Il Funzionario Giudiziario

Dr. Gianfranco Catenazzo