REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. PATRIZIA PICCIALLI -Presidente
Dott. LUCIA VIGNALE -Consigliere
Dott. EUGENIA SERRAO -Consigliere
Dott. ATTILIO MARI -Consigliere
Dott. ALESSANDRO D’ANDREA -Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 04/04/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CAMPOBASSO
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO D’ANDREA;
lette/sentite le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4 aprile 2023 il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto ai sensi dell’art. 99 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, da (omissis) (omissis) (omissis) avverso il provvedimento pronunciato dallo stesso Tribunale di Sorveglianza in data 18 ottobre 2022, con cui gli era stata negata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sul presupposto che il richiedente, condannato per reati ex art. 4-bis 26 luglio 1975, n. 354, non avesse dimostrato, con allegazioni adeguate, il suo stato di non abbienza, così da superare la presunzione posta a suo carico dall’art. 76, comma 4-bis, D.P.R. n. 115 del 2002.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) a mezzo del suo difensore, deducendo un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente ha eccepito, sotto vari profili, violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando di aver superato la presunzione relativa prevista dall’art. 76, comma 4-bis, D.P.R. n. 115 del 2002, per avere allegato alla sua istanza tutta la documentazione che era nella sua possibilità produrre, e cioè un’autocertificazione attestante di essere l’unico componente del proprio nucleo familiare e di essere detenuto da oltre venti anni, oltre al CUD relativo agli unici redditi da lui percepiti, per il lavoro espletato in carcere, ed a visure immobiliari e del P.R.A. comprovanti l’impossidenza, da parte sua, di beni immobili o mobili registrati.
Il (omissis) ha, inoltre, evidenziato come, in ragione del suo stato detentivo, non potesse produrre alcun reddito ulteriore, altresì precisando di aver collaborato con la giustizia e di non essere, tuttavia, stato ammesso al programma di protezione, che gli avrebbe consentito, per espressa volontà legislativa, di poter fruire del patrocinio a spese dello Stato.
Lamenta, poi, il ricorrente che né il Tribunale di Sorveglianza, né il giudice dell’opposizione si sono avvalsi dei poteri officiosi previsti dall’art. 96, comma 3, D.P.R. n. 115 del 2002, chiedendo informazioni alla D.I.A. o alla D.N.A., ovvero disponendo accertamenti tramite la Guardia di Finanza.
Ciò sarebbe stato tanto più grave considerato che, avendo il (omissis) adempiuto – per come possibile, in quanto detenuto – ai propri obblighi di allegazione, sarebbe stato doveroso da parte del Tribunale di Sorveglianza e del giudice dell’opposizione verificare l’attendibilità delle sue allegazioni, avvalendosi degli strumenti di indagine previsti dalla legge, attivando gli specifici poteri officiasi loro spettanti.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, per cui deve essere disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
2. In primo luogo, deve essere osservato come, ai sensi dell’art. 99, comma 4, D.P.R. n. 115 del 2002, il ricorso contro l’ordinanza che decide il giudizio di opposizione in caso di rigetto di un’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia consentito solo per violazione di legge e non per vizio di motivazione a meno di assoluto difetto di essa (Sez. 4, 22637 del 21/03/2017, Attanasio, Rv. 270000-01; Sez. 4, n. 16908 del 07/02/2012, Grando, Rv. 252372-01).
Il ricorso è, pertanto, inammissibile nella parte in cui lamenta violazioni dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., tuttavia risultando fondato per ciò che attiene alla dedotta violazione di legge.
3. Ed infatti, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4- bis, P.R. n. 115 del 2002, la Corte costituzionale ha chiarito che la presunzione secondo cui l’appartenente a organizzazioni criminali trae dalla attività delittuosa profitti sufficienti ad escluderlo dal patrocinio a spese dello Stato, contrasta con i principi costituzionali soltanto per il suo carattere assoluto e che l’introduzione, costituzionalmente obbligata, della prova contraria, non elimina dall’ordinamento tale presunzione.
Ne consegue un’inversione dell’onere di documentare la ricorrenza dei presupposti reddituali per l’accesso al patrocinio, per cui spetta al richiedente dimostrare, con allegazioni adeguate, il suo stato di «non abbienza» e spetta al giudice verificare l’attendibilità di tali allegazioni. In motivazione, la Corte costituzionale ha precisato che la prova contraria necessaria a far cadere la presunzione non può essere costituita da una semplice auto-certificazione dell’interessato (peraltro richiesta a tutti coloro che formulano istanza di accesso al beneficio), ma è necessario «che vengano indicati e documentati concreti elementi di fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro e univoco l’effettiva situazione economico-patrimoniale dell’imputato».
Si tratta di elementi di prova rispetto ai quali il giudice «avrà l’obbligo di condurre una valutazione avvalendosi degli strumenti di verifica che la legge mette a sua disposizione, «anche di quelli, particolarmente penetranti, indicati all’art. 96, comma 3, del D.P.R. n. 115 del 2002».
Analoghe considerazioni sono state espresse pure dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che ha, ad esempio, affermato che spetta al richiedente dimostrare la sussistenza dello stato di «non abbienza», «non già con una semplice autocertificazione, ma con l’adeguata allegazione di concreti elementi di fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro ed univoco la [ … ] effettiva situazione economica, che il giudice deve rigorosamente vagliare» (Sez. 4, n. 21230 del 14/03/2012, Villano, Rv. 252962-01).
4. Orbene, nel caso di specie il (omissis) ha documentato di essere detenuto da oltre venti anni – come, peraltro, noto all’Autorità giudiziaria procedente-; ha certificato i redditi percepiti nell’anno 2020; ha prodotto documentazione comprovante l’impossidenza di beni immobili o mobili registrati; ha riferito di essere l’unico componente del proprio nucleo familiare, rappresentando come, in ragione del suo prolungato stato detentivo, non potesse produrre nessuna specifica documentazione a sostegno; ha ricordato di avere collaborato con la giustizia, ma di non essere stato ammesso al programma di protezione, ragion per cui sarebbe venuta meno la presunzione per cui, quale appartenente ad organizzazioni criminali, avrebbe acquisito profitti illeciti sufficienti ad escluderlo dal patrocinio a spese dello Stato.
Tale presunzione, inoltre, non può trovare adeguato fondamento nel fatto che il (omissis) abbia riportato condanna per un’estorsione commessa nel mentre era detenuto, atteso che nella motivazione del provvedimento impugnato non vi è alcun riferimento alle modalità e circostanze del fatto e ai profitti che potrebbero esserne conseguiti, neppure venendo chiarito se quel reato fosse stato significativo di un persistente collegamento tra (omissis) e le organizzazioni criminali per la partecipazione alle quali è stato condannato.
A fronte di una simile situazione, appare corretta la doglianza con cui il ricorrente ha osservato che il giudice avrebbe potuto attivare i poteri officiasi riconosciutigli dall’art. 96, comma 3, D.P.R. n. 115 del 2002.
Il provvedimento impugnato, invece, si è limitato a constatare che, attesa la natura associativa dei reati per i quali (omissis) ha riportato condanna, il CUD relativo ai redditi prodotti in carcere non assumerebbe rilevanza dimostrativa di una situazione di sofferenza finanziaria, poi aggiungendosi che l’istante non ha comunque dimostrato una sua effettiva situazione di non abbienza, «tenuto conto che l’istante nulla ha documentato e/o autocertificato con riferimento alla eventuale titolarità di altre utilità economiche, quali ad esempio beni finanziari (conti correnti, titoli, ecc.)».
Trattasi di considerazioni che ignorano l’autocertificazione allegata all’istanza, non valutano adeguatamente la produzione documentale dell’istante, finendo per chiedere a costui un quid pluris probatorio che, invero, rasenta l’imposizione nei suoi confronti di una “probatio diabolica” – come, in particolare, si verifica laddove gli si richiede la prova di fatti negativi -.
5. Ne consegue, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Campobasso, competente ai sensi dell’art. 99, comma 1, D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Campobasso.
Così deciso in Roma il 27 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023.