Per la Cassazione, il giudice che riconosce alla moglie l’assegno di mantenimento deve spiegare perché la stessa non può lavorare, se il marito è fallito, disoccupato e invalido (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 15 dicembre 2021, n. 40280).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17944/2018 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) Paola, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, Via (OMISSIS) n. 16, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) Alvaro, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) Laura, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 27/03/2018;

udita  la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Pordenone, nel pronunciare sentenza di separazione personale dei coniugi (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), ha assegnato a quest’ultima la casa familiare, ha posto a carico del primo un assegno per il mantenimento della figlia (OMISSIS) dell’importo di euro 400,00, ha gravato lo stesso dell’80% delle spese straordinarie, ha attribuito alla moglie un assegno di euro 1.000,00 mensili e ha condannato lo stesso (OMISSIS) (OMISSIS) al risarcimento del danno, a titolo di responsabilità aggravata, per la somma di euro 12..000,00.

2. – La pronuncia è stata impugnata da (OMISSIS) (OMISSIS).

Con sentenza pubblicata il 27 marzo 2018 la Corte di appello di Trieste ha respinto il gravame.

3. – Avverso quest’ultima decisione è stato proposto, da (OMISSIS) (OMISSIS) un ricorso per cassazione articolato in sette motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come:

Primo motivo: nullità della sentenza per omessa motivazione (svolta per relationem); Violazione dell’art. 111 Cost. 132, comma 2, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. con riferimento alla capacità economica del ricorrente e all’asserita attività lavorativa svolta dallo stesso nell’attività di impresa del figlio, nonché sull’assegnazione della casa familiare. Lamenta l’istante che la Corte di appello, lungi dall’effettuare un riesame del merito, si sia limitata a riportare la motivazione svolta dal giudice di primo grado.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. sull’applicazione delle presunzioni semplici, con riguardo all’individuazione della capacità economica dell’istante. Viene imputato ai giudici di merito di non aver precisato quali siano gli indizi gravi, precisi e concordanti da cui è stata desunta la capacità economica di (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS).

Terzo motivo: Violazione o falsa applicazione dell’art. 156 c.c..

Nella sentenza impugnata mancherebbe ogni riferimento all’inadeguatezza dei redditi della richiedente; il provvedimento, inoltre, non recherebbe traccia dell’apprezzamento circa il tenore di vita goduto dalla moglie in costanza di matrimonio e della comparazione delle condizioni economiche dei coniugi.

Quarto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 156 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla valutazione dell’onere probatorio, alla considerazione del materiale probatorio acquisito e in ordine ai presupposti per la statuizione di un contributo di mantenimento tra i coniugi.

Viene osservato, in particolare, che in tema di separazione personale tra coniugi l’insufficienza o la mancanza di adeguati redditi in capo al coniuge richiedente l’assegno è elemento costitutivo del diritto al mantenimento, con la conseguenza che grava su costui l’onere di dimostrare di non disporre di mezzi economici sufficienti, il deterioramento delle proprie condizioni rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e la capacità patrimoniale dell’altro coniuge.

Quinto motivo: nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di appello col quale si eccepiva la violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza stessa per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Viene lamentato che il giudice di appello non si sia pronunciato sul motivo di gravame avente ad oggetto «l’assegnazione giusta metà della casa familiare».

Sesto motivo: vizio di omessa pronuncia.

Ci si  duole che la Corte di merito abbia mancato di pronunciare sull’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel non ammettere le prove richieste; la stessa Corte, pur dando atto del motivo di doglianza circa l’operato del consulente tecnico d’ufficio, non avrebbe reso, poi, alcuna pronuncia al riguardo; si oppone, infine, che la pronuncia di condanna per lite temeraria si fondi su un travisamento dei fatti.

Settimo motivo: omesso esame di un fatto decisivo la cui considerazione avrebbe condotto il giudice di merito a una decisione di diverso segno.

La Corte di appello, al pari del Tribunale, non avrebbe preso in considerazione le mutate condizioni economiche  del ricorrente a seguito del fallimento e la sua situazione  di disoccupazione ed invalidità civile ai fini della riduzione dell’assegno di mantenimento da corrispondere alla moglie.

2. – Il primo e il sesto motivo sono fondati.

Il ricorrente, nel proprio atto di appello, aveva censurato la sentenza di primo grado, deducendo, tra l’altro:

che il Tribunale non aveva tenuto conto della reale situazione economica dei coniugi, e in particolare, del fallimento che aveva riguardato la sua impresa;

che non era stata apprezzata la situazione di invalidità civile dello stesso appellante, il dato della comproprietà di immobili in capo ad entrambi i coniugi e la possibilità della moglie di trovare una occupazione;

che il giudice di primo grado non aveva tenuto conto, nella commisurazione dell’assegno di mantenimento, dell’assegnazione della casa familiare alla moglie;

che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto  che  lo stesso appellante dopo il fallimento  della sua impresa aveva iniziato ad operare nel contesto dell’impresa di cui era titolare il figlio;

che a seguito del fallimento di (OMISSIS) era disoccupato e che provvedeva a se stesso, alla moglie e alla figlia utilizzando le polizze che aveva provveduto a smobilizzare;

che la sentenza di primo grado era viziata per non aver dato corso ai mezzi istruttori richiesti;

che la consulenza disposta in primo grado presentava plurime carenze.

La motivazione dell’impugnata sentenza, con riguardo al merito della vicenda controversa, è espressa in poche battute.

La Corte di appello ha anzitutto ritenuto doversi condividere le valutazioni, espresse dal Tribunale «in ordine alla presenza di indizi connotati dai canonici requisiti di concordanza, gravità e precisione che conducono ad evidenziare una capacità economica del (OMISSIS) ben diversa dalla versione minimalista che continua a contrapporre»; ha altresì ritenuto dovesse darsi atto «dell’oggettiva impossibilità di conseguire redditi per l’ultrasessantenne (OMISSIS), mai avviata in precedenza ad attività lavorative».

Ha aggiunto, poi, che, oltre a quanto «accertato da consulente in primo grado in ordine alla capacità di spesa (superiore nel 2015 ai 100.00 euro) e ad una liquidità che gli ha consentito di erogare cospicui finanziamenti alla fallenda società», dovesse essere «rimarcato come il (OMISSIS), titolare di una cassetta di sicurezza e smobilizzatore a singhiozzo di investimenti finanziari, continua in concreto di esercitare la medesima attività di impresa, formalmente intestata al giovane figlio».

L’indicata motivazione si rivela inidonea a sorreggere la sentenza della Corte triestina.

Infatti, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, ma sempre che il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata  ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 5 novembre 2018, n. 28139; Cass. 19 luglio 2016, n. 14786; in termini analoghi, da ultimo: Cass. 3 febbraio 2021, 2397).

Manca, nella pronuncia impugnata, un confronto della Corte di merito coi motivi di gravame: segnatamente coi rilievi  svolti dall’odierno  ricorrente  quanto  all’esercizio  dell’attività  di  impresa a seguito del fallimento che lo aveva colpito e quanto alla consulenza tecnica (evocata, tra l’altro, in  modo  non  comprensibile  a  proposito della capacità di spesa di B , che si dice superiore nel 2015 «a 100.00 euro»).

Il richiamo al ragionamento presuntivo (di cui, a quanto è dato di comprendere, avrebbe fatto uso anche il Tribunale) è poi totalmente incomprensibile nella sua laconicità: è impossibile avere contezza del ragionamento inferenziale che la Corte di merito  ha voluto porre a fondamento della decisione; e va ricordato, sul punto, che compete certamente al giudice del merito individuare i fatti da porre a fondamento del processo logico basato sulle presunzioni e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, ma che, al contempo, il relativo apprezzamento di fatto sfugge al sindacato di legittimità solo ove sia adeguatamente motivato (Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961; Cass. 13 novembre 2009, n. 24028).

La Corte di merito ha mancato altresì di spiegare la ragione per la quale non potevano avere ingresso le prove dedotte in primo grado (profilo, questo, che è oggetto di una doglianza espressamente richiamata nella sentenza impugnata, a pag. 2).

Anche  sul  punto viene in questione un vizio di motivazione, in tal senso andando riqualificato il contenuto della censura svolta: il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per  violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura, difatti,  esclusivamente  con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24830; Cass. 5 luglio 2016, n. 13716; Cass. 18 marzo 2013, n. 6715).

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, del terzo, del quarto e del settimo.

3. – Il quinto motivo è infine fondato.

La Corte di appello non si è difatti affatto pronunciata sulla censura vertente sull’assegnazione della casa coniugale, la quale è pure menzionata nel corpo del provvedimento impugnato in questa sede (sempre pag. 2).

4. – La sentenza impugnata è dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Trieste che, in diversa composizione, statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il quinto, e il sesto motivo; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione, si impone l’oscuramento dei dati personali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione civile in data 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.