Per la riduzione dell’Ici occorre la condizione di inagibilità e inabilità dell’immobile (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 22 giugno 2023, n. 18005).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Liberato PAOLITTO                                     -Presidente-

Dott.ssa Stefania BILLI                                         -Consigliere-

Dott. Giuseppe LO SARDO                                  -Consigliere-

Dott. Antonio MONDINI                                      -Consigliere-

Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO               -Rel. Consigliere-

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 31933-2020 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) S.r.L., in persona del legale rappresentante, pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

ricorrente

contro

COMUNE DI (OMISSIS) in persona del Sindaco, pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato  (OMISSIS) (OMISSIS) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale estesa a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 761/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LIGURIA, depositata il 17/6/2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata – tenutasi in modalità da remoto previo decreto di autorizzazione del Presidente del Collegio – del 17/5/2023 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO CHE

la Commissione tributaria regionale della Liguria, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello proposto da (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) S.r.L. (di seguito la (omissis)) avverso la pronuncia n. 1040/2017 della Commissione tributaria provinciale di Genova in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento IMU 2012-2015, emessi dal Comune di (omissis) ed ingiunzione di pagamento relativa ad ICI 2010;

avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale la (omissis) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

il Comune resiste con controricorso ed ha da ultimo depositato memoria difensiva.

CONSIDERATO CHE

1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, secondo comma, proc. civ. e lamenta vizio assoluto di motivazione della sentenza impugnata sul motivo di gravame relativo all’inesistenza ed illegittimità della notificazione dell’intimazione di pagamento ICI 2010 («la notificazione dell’ingiunzione fiscale per l’accertamento dell’ICI 2010 sarebbe stata comprovata dal Comune a mezzo di produzione della fotocopia dell’avviso di ricevimento …, la quale attesta che un “atto” … sarebbe stato notificato a tal (omissis) (omissis) … anziché alla ricorrente (omissis) …, laddove l’effettivo destinatario sig. (omissis) nessun rapporto intrattiene con la (omissis) non essendo né socio, né amministratore della stessa»; cfr. pag. 9 ricorso);

1.2. la doglianza va disattesa;

1.3. va in primo luogo richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010);

1.4. la questione posta con il primo motivo dell’odierno ricorso va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi asseritamente non esaminati dal Giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinché il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità;

1.5. nella specie, la questione va risolta nel primo dei due sensi sulla base delle considerazioni che seguono;

1.6. secondo principi consolidati della giurisprudenza di questa Corte in tema di processo tributario, sia per l’art. 16 del P.R. n. 636 del 1972, che per l’art. 19 del D.Lgs n. 546 del 1992, i vizi dell’atto di accertamento dell’imposta, non fatti valere dal contribuente con tempestivo ricorso, rendono definitivo l’atto impositivo e, pertanto, non si trasmettono agli atti successivamente adottati, che restano impugnabili esclusivamente per vizi propri (cfr. Cass. n. 11610 del 11/05/2017; n. 16641 del 29/07/2011; n. 6029 del 24/04/2002);

1.7. nel caso in esame, la ricorrente, come dianzi illustrato e trascritto, non lamenta omessa pronuncia circa l’eccezione relativa a mancata o invalida notifica dell’avviso di accertamento presupposto all’intimazione di pagamento;

1.8. l’intimazione di pagamento che abbia fatto seguito ad un avviso di accertamento (avendo la contribuente specificamente contestato nel merito, con riguardo all’intimazione di pagamento, unicamente la sua «illegittimità … in quanto inviata a persona estranea alla (omissis) – cfr. pag. 1 sentenza impugnata – ed avendo inoltre omesso la ricorrente, in violazione del principio di specificità del ricorso ex art. 366 cod. proc. civ., di trascrivere in parte qua, ed allegare al ricorso, l’atto di gravame ed il ricorso introduttivo) non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo per cui essa resta sindacabile solo per vizi propri (nel caso in esame non dedotti, tale non potendo ritenersi la doglianza circa la pretesa inesistenza della notifica dell’intimazione di pagamento, non essendo stata proposta questione concernente il decorso del termine di decadenza o di prescrizione relativo alla sua notifica);

1.9. ne consegue che risulta comunque conforme a diritto la statuizione impugnata circa il mancato accoglimento della censura relativa all’intimazione di pagamento in questione;

2.1. con il secondo motivo la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto» in riferimento all’art. 7 del Regolamento Comunale di (omissis) dall’art. 7 d.l. 30 dicembre 1992, n. 504, avendo la Commissione tributaria regionale erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione, in favore della (omissis) dell’agevolazione prevista per i fabbricati inagibili ed inutilizzati, lamentando la contribuente che il Comune avesse applicato l’imposta IMU «non agevolata conteggiata sul valore catastale rivalutato» e non, come richiesto, «sul valore dell’area fabbricabile» pur trattandosi non di lavori di «semplice manutenzione» ma di «ristrutturazione» degli immobili;

2.2. al riguardo la Commissione tributaria regionale ha motivato come segue: « Nel merito l’appellante lamenta che i Primi Giudici abbiano omesso di distinguere i lavori di ristrutturazione dei due diversi cantieri e di non aver correttamente considerato il valore delle aree fabbricabili.

L’affermazione non è corretta.

La Commissione Provinciale, dopo aver rilevato che il Comune ha utilizzato, per determinare la base imponibile, i valori dichiarati dalla parte con la dichiarazione IMU per l’anno 2013, e che non risulta essere mai stata effettuata alcuna denuncia di variazione, ha evidenziato che nel caso di specie è stata presentata dalla contribuente istanza di inagibilità solo per l’immobile di via (omissis), peraltro respinta dal Comune.

I Primi Giudici dimostrano di aver ben compreso la situazione sottoposta al loro giudizio:

– richiamando l’art. 7 comma 7 del Regolamento IMU del Comune di (omissis) il quale stabilisce che “non sono considerati inagibili o inabitabili – e quindi non sono soggetti alla riduzione – gli immobili il cui mancato utilizzo sia dovuto a lavori di qualsiasi tipo diretti alla conservazione, ammodernamento o miglioramento dell’immobile e che non siano collegati e/o derivanti dall’eliminazione della pericolosità”;

– rilevando l’incongruente comportamento della ricorrente che ha pagato regolarmente l’imposta nel 2011, non ha effettuato versamenti nel 2012, ha versato somme insufficienti negli anni 2013, 2014 e 2015.

Sottolinea il Collegio che il regolamento comunale risulta del tutto conforme a legge, essendo l’IMU un’imposta patrimoniale, che colpisce la proprietà degli immobili a prescindere dal loro utilizzo, che invece rileva ai fini della tassa rifiuti.

Dunque, se l’abitazione è sfornita di allacci ai servizi ed è quindi oggettivamente inutilizzabile, la Tari non è dovuta. Ma è invece applicabile l’IMU, non essendo possibile – in caso di semplice manutenzione straordinaria – fruire della riduzione del 50% prevista per gli immobili inagibili o inabitabili e, men che meno, pagare l’imposta in relazione ad un’area fabbricabile»;

2.3. in questi termini, pertanto, le censure della (omissis) non possono trovare accoglimento atteso che la sentenza impugnata si sottrae sul punto alle censure in diritto, in quanto conforme ai principi già affermati da questa Corte in tema ICI/IMU, secondo cui: in tema di ICI, costituisce presupposto indispensabile per la riduzione dell’imposta ex art. 8, comma 1, d.lgs. n. 504 del 1992, la condizione di inagibilità e inabitabilità in cui versi l’immobile, da intendersi come obiettiva inidoneità alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o cattiva manutenzione dello stesso o della presenza di carenze intrinseche (cfr.  Cass. n. 29966 del 19/11/2019); nell’ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l’imposta va ridotta al 50 per cento, ai sensi dell’art. 8, primo comma, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità – accertabili dall’ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente – permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto (cfr. Cass. n. 13230 del 20/06/2005);

in tema di IMU, ai fini dell’applicazione della riduzione prevista dall’art. 13, comma 3, lett. b, del d.l. n. 201 del 2011 (conv. con modif. dalla l. n. 214 del 2011), devono considerarsi inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, i fabbricati per i quali vengano a mancare i requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e quindi, nello specifico, gli immobili che presentino un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica, non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023);

2.4. quanto alle doglianze circa la dedotta omessa considerazione di circostanze di fatto relative allo stato degli immobili, che si assumono oggetto di «profonda ristrutturazione edilizia» ed alla richiesta di riduzione dell’imponibile, che si assume presentata per l’annualità 2013, come attestato dalla documentazione prodotta nel merito, è assorbente il rilievo che il motivo in parte qua è inammissibile, poiché si verte in ipotesi di doppia conforme ex 348-ter, comma 5, c.p.c., rispetto alla quale il ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. nn. 26774/2016, 5528/2014);

3. sulla scorta di quanto sin qui osservato, il ricorso va integralmente respinto;

4. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore del Comune controricorrente, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, nonché spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 17.5.2023.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.