Per la violazione dell’obbligo di rintracciabilità dei prodotti alimentari risponde il responsabile del singolo punto vendita (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 5 dicembre 2022, n. 35685).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 

ciato la seguente ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15903/2019R.G. proposto da:

(OMISSIS) SERVICE SRL,

(OMISSIS) (OMISSIS),

   elettivamente domiciliati in ROMA VIA (OMISSIS), 44, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE (OMISSIS) rappresentati e difesi dall’avvocato OTELLO (OMISSIS)

–ricorrenti–

contro

UNIONE DEI COMUNI PATRIARCATI POLIZIA LOCALE DISTRETTO PD3A, domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO (OMISSIS)

–controricorrente-

avverso la SENTENZA del TRIBUNALE PADOVA n. 2268/2018 depositata il 04/12/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 9 novembre2022 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) SERVICE SRL e (OMISSIS) (OMISSIS) proposero opposizione, innanzi il Giudice di Pace di Padova, avverso l’ordinanza – ingiunzione n. 06/2017 con la quale era stato loro ingiunto, in solido, il pagamento dell’importo di € 1.516,60 a titolo di sanzione per la violazione dell’art. 18, Reg. CE 178/2002, relativa al mancato rispetto dell’obbligo di garantire la rintracciabilità dei prodotti alimentari (nello specifico del prodotto “form Casatella Dop Lovato”).

2. Respinta dal Giudice di Pace l’opposizione, gli opponenti proposero gravame innanzi il Tribunale di Padova il quale – nella regolare costituzione della UNIONE DEI COMUNI PRATIARCATI – disattese tutti i motivi di appello con sentenza n. 2268/2018, osservando che:

− infondate erano le deduzioni circa l’assenza di responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS) -basate sulla struttura complessa di (OMISSIS) SERVICE SRL (operante nel settore della grande distribuzione con oltre 200 punti vendita)- in quanto, pur risultando che l’azienda era munita di un sistema per la gestione delle tematiche relative alla sicurezza alimentare con un ufficio situato a Mestrino, da un lato, il sistema in questione si era rivelato carente nell’assicurare la tracciabilità dei prodotti, dall’altro, non era stato prodotto valido documento che attestasse la delega delle funzioni in questione, con conseguente possibilità di affermare in capo ad (OMISSIS) (OMISSIS) una responsabilità “quanto meno nella forma omissiva”;

− il secondo motivo di appello – con il quale era dedotta l’assenza di un obbligo di conservare la confezione originale nella quale era contenuto originariamente per il prodotto poi venduto sfuso- deduceva un pro filo non contenuto nella contestazione, la quale aveva ad oggetto l’inosservanza dell’obbligo di garantire il tracciamento dei prodotti -quale che fosse il sistema adottato- e non la violazione di uno specifico obbligo di conservare la confezione originaria, di cui il Tribunale escludeva la specifica esistenza;

− il terzo motivo muoveva in modo infondato contestazioni in ordine alla valenza di pubblica fede dei fatti percepiti direttamente dai verbalizzanti;

− non vi era motivo – come sollecitato nel quarto motivo – di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizie UE in quanto tale sollecitazione concerneva, ancora una volta, la verifica dell’obbligo di conservare le confezioni originali dei prodotti che, tuttavia, non era oggetto della contestazione.

3. Avvero la suddetta sentenza del Tribunale di Padova propongono ora ricorso per cassazione (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) SERVICE SRL.

Resiste con controricorso l’UNIONE DEI COMUNI PRATIARCATI

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380-bis.1, c.p.c. 5.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1, c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1-3, L. 689/1981.

In relazione alla posizione di (OMISSIS) (OMISSIS) il ricorso contesta la possibilità di addebitare al ricorrente la responsabilità per la violazione contestata, alla luce sia dell’ampiezza ed articolazione della struttura aziendale della (OMISSIS) SERVICE SRL, sia della circostanza della creazione, da parte della società, di un sistema per la gestione delle tematiche relative alla sicurezza alimentare con un “Ufficio Sicurezza Alimentare” situato a Mestrino.

Il ricorso, ulteriormente, imputa alla decisione impugnata di aver rilevato un profilo -la responsabilità omissiva di (OMISSIS) (OMISSIS) – che non era stato oggetto dell’originaria contestazione dell’illecito amministrativo, e che peraltro si fondava su una valutazione – la inadeguatezza della suddetta struttura di gestione – del tutto indimostrata. Risulterebbe, quindi, violato – argomenta sempre il ricorso – il principio di personalità della responsabilità amministrativa.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18 Reg. CE, 178/2002 e dell’art. 2, D. Lgs. 190/2006.

Deduce il ricorso di avere dato, già in sede di istruttoria amministrativa, ampia prova della tracciabilità dei prodotti alimentari e contesta che il disposto dell’art. 18 Reg. CE, 178/2002 imponga di consentire l’immediata individuazione del lotto, esigendo unicamente la tracciabilità dell’alimento, nella specie pienamente sussistente, proprio alla luce della documentazione prodotta in fase istruttoria.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa valutazione delle prove documentali prodotte e delle prove testimoniali assunte, dalle quali sarebbe emersa la circostanza che era stata pienamente assicurata la tracciabilità dei prodotti.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione “di norme di diritto in relazione al rigetto dell’istanza di rimessione alla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE”.

Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui non ha ritenuto di procedere a rinvio pregiudiziale alla CGUE, rinnovando in questa sede la sollecitazione.

2. Il primo motivo è fondato.

Giova rammentare che, mentre l’art. 6, terzo comma, L. 689/1981 stabilisce, al proprio terzo comma, che “se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligata in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta”, il precedente art. 3, nel dettare uno dei principi generali in materia di sanzioni amministrative, ricollega in ogni caso la responsabilità ad una “azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Nella specifica materia della responsabilità per illeciti amministrativi ricollegabili all’operato di società, questa Corte ha chiarito che, financo nel caso di illecito ascrivibile in astratto ad una società di persone, dell’illecito stesso non possono essere automaticamente chiamati a rispondere i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 30766 del 28/11/2018 -Rv. 651534 – 01).

Il principio è stato ulteriormente declinato con riferimento alle società commerciali di notevoli dimensioni – quale è, nel caso in esame, (OMISSIS) SERVICE SRL – chiarendo che, allorquando una società con tali caratteristiche sia articolata in molteplici punti vendita, diffusi sul territorio, dell’illecito amministrativo consumato in uno di essi non può essere chiamato a rispondere il legale rappresentante della società, ma il responsabile preposto alla singola unità ove è stato commesso il fatto, il quale ne risponderà in solido con la società medesima, la responsabilità della quale rimarrà ferma anche nel caso in cui non sia stato possibile, in concreto individuare la persona fisica autrice materiale dell’illecito (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11481 del 25/05/2011, in caso, peraltro, in cui l’illecito contestato consisteva nell’esposizione in vendita di alimenti privi dei prescritti dati identificativi).

Nell’affermare la responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS) la sentenza del Tribunale di Padova non si è conformata a tali principi.

La decisione, infatti, pur riconoscendo che la (OMISSIS) SERVICE SRL aveva istituito “un sistema complesso per la gestione delle tematiche attinenti alla sicurezza alimentare”, ha poi negato che tale circostanza valesse a fondare la responsabilità del ricorrente sulla scorta della mera “carenza” che tale struttura avrebbe evidenziato nel rispettare gli obblighi di tracciabilità dei prodotti.

Fermo quanto si osserverà -in sede di esame del secondo motivo- riguardo a quest’ultima affermazione, si deve rilevare che, in questo modo, il Tribunale patavino ha adottato un ragionamento tautologico, postulando che l’inadeguatezza della struttura delegata evidenziasse di per sé la responsabilità, “quanto meno nella forma omissiva”, del ricorrente (OMISSIS) (OMISSIS).

È agevole osservare, tuttavia, che il ragionamento seguito dal Tribunale viene in tal modo a configurare una vera e propria responsabilità oggettiva “per posizione” del legale rappresentante della società, di fatto imputando al medesimo qualunque forma di illecito commesso anche dalle strutture periferiche della compagine sociale, in virtù della sola circostanza della consumazione dell’illecito medesimo, in quanto detta circostanza -nel ragionamento seguito dal Tribunale- varrebbe di per sé ad evidenziare una responsabilità per inadeguata predisposizione delle strutture medesime.

L’affermazione del Tribunale, in realtà, collide con il principio, affermato da questa Corte, per cui in tema di illeciti amministrativi, posto che è configurabile un apporto esterno alla consumazione dell’illecito anche mediante azioni od omissioni, che, pur senza integrare la condotta tipica di esso, ne rendano possibile o ne agevolino la consumazione, la condotta omissiva può assumere rilevanza quale elemento concorrente nell’illecito altrui solo nel caso in cui si ponga in violazione di uno specifico obbligo di garanzia (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28929 del 27/12/2011).

Tale principio, letto in modo coerente con i principi precedentemente richiamati in tema di società a struttura complessa, impone di ritenere astrattamente configurabile una responsabilità omissiva dell’amministratore solo allorquando all’omissione stessa possa ricollegarsi uno specifico contributo causale di agevolazione della commissione dell’illecito in violazione – come posto in risalto – di uno specifico obbligo di garanzia.

Un simile contributo, tuttavia, non può essere affermato sulla scorta della mera, generica, “carenza” sia dei responsabili preposti alla singola unità ove è stato commesso il fatto sia della struttura che sia stata appositamente costituita per l’osservanza degli obblighi la cui violazione sia oggetto della sanzione amministrativa, quando tale carenza sia dedotta -come è avvenuto nel caso di specie- puramente e semplicemente dalla commissione dell’illecito, in quanto l’insieme dei passaggi logici in virtù dei quali si verrebbe ad affermare la responsabilità dell’amministratore (commissione dell’illecito, ergo carenza della singola unità e della struttura di controllo, ergo responsabilità dell’amministratore) si tradurrebbe di fatto nella creazione di una forma di responsabilità oggettiva, a ben vedere sostanzialmente ancorata alla sola commissione in sé dell’illecito.

Per contro, va chiarito che la responsabilità omissiva del legale rappresentante di una società di notevoli dimensioni, pur non potendo essere esclusa in linea astratta, può essere affermata soltanto allorquando, non solo venga verificata una specifica inadeguatezza sia dei responsabili della singola unità ove è stato commesso il fatto sia della struttura eventualmente costituita per l’apposta osservanza degli obblighi la cui violazione sia oggetto della sanzione amministrativa, ma anche questa inadeguatezza – che non può essere desunta dalla mera commissione dell’illecito in sé ma deve trovare fondamento nella constatazione di autonome e specifiche carenze (di mezzi o di competenze)- sia riconducibile ad azioni od omissioni, altrettanto determinate, del legale rappresentante della società, in violazione di parimenti specifici obblighi di garanzia, sempre che tali azioni o omissioni abbiano fornito un contributo – ancora una volta specifico – alla causazione dell’illecito.

I principi sinora enunciati valgono ad evidenziare anche la fallacia della ratio parzialmente alternativa adottata nella motivazione del Tribunale di Padova, e cioè l’assenza di prova formale della delega delle funzioni relative all’osservanza degli obblighi di legge in tema di tracciabilità degli alimenti.

Tale ratio -oggetto di impugnazione a parte dei ricorrenti tramite il secondo motivo di ricorso – oltre a riproporre il tema della responsabilità omissiva -ed oltre a non essere del tutto coerente con il riconoscimento, nella decisione stessa, dell’avvenuta creazione della struttura di sicurezza alimentare- non viene in alcun modo ad esplicare le ragioni sulla cui scorta affermare la responsabilità del legale rappresentante della società e non invece, in primis, dei responsabili della singola unità ove risulterebbe commesso il fatto, mentre sono proprio questi che dovevano ritenersi i soggetti cui primariamente muovere la contestazione, sulla scorta dei principi in precedenza richiamati.

3. Fondato è, parimenti, il secondo motivo di ricorso.

Giova rammentare che l’art. 18, paragrafo 1, del Regolamento del Parlamento Europeo Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE stabilisce che

“1. È disposta in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime”.

Il successivo paragrafo 2 – rilevante anch’esso ai fini della decisione – stabilisce che

“2. Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime.

A tal fine detti operatori devono disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo”.

La disciplina eurounitaria trova, poi, attuazione sanzionatoria nel D.Lgs. 05/04/2006, n. 190, il cui art. 2, stabilisce, appunto che “Salvo che il fatto costituisca reato, gli operatori del settore alimentare e dei mangimi che non adempiono agli obblighi di cui all’articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002 sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da settecentocinquanta euro a quattromilacinquecento euro”.

Delineato, in tali termini, il quadro normativo, il tema che viene a porsi è quello della ricostruzione concreta della fattispecie , rammentando che, sulla scorta degli atti, la violazione che risulta essere stata contestata ai ricorrenti è quella dell’art. 18, paragrafo 1 – sulla base della incapacità dei responsabili del punto vendita di porre immediatamente a disposizione dell’autorità accertatrice gli elementi utili ad operare un completo tracciamento dei prodotti- mentre non risulta essere contestata la violazione di cui all’art. 18, paragrafo 6 (che concerne, invece, l’etichettatura).

A tal fine, elementi significativi possono tuttavia essere dedotti dallo stesso Reg. n. 178/2002/CE, ed in particolare:

• dal “considerando ” 2 9 del Reg. n. 178/2002/CE il quale afferma che “(29) Occorre fare in modo che le imprese alimentari e del settore dei mangimi, comprese le imprese importatrici, siano in grado di individuare almeno l’azienda che ha fornito loro l’alimento, il mangime, l’animale o la sostanza che può entrare a far parte di un dato alimento o di un dato mangime, per fare in modo che la rintracciabilità possa essere garantita in ciascuna fase in caso di indagine”;

• dalla definizione di “rintracciabilità” di cui al l’art. 3 , n. 15), definita come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”.

L’esame complessivo del dato normativo, quindi, induce a ritenere che l’obbligo imposto dalla previsione eurounitaria sia quello di “disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo”, senza che tale obbligo specifico si traduca nell’obbligo di immediata disponibilità di tali informazioni (semmai riconducibile alle previsioni in tema di etichettatura, in questo caso non invocate), essendo, semmai, obbligo della parte quello di adottare quei sistemi e procedure idonei a conservare i dati sulla tracciabilità dei prodotti in modo da metterli a disposizione dell’autorità.

Tornando, a questo punto, al caso di specie, appare pienamente condivisibile l’affermazione del Tribunale di Padova in ordine alla irrilevanza del profilo della conservazione delle confezioni originali dalle quali erano stati poi estratti gli alimenti posti in vendita “sfusi” negli scaffali del supermercato.

Come osservato dal Tribunale, infatti, a rilevare è la tracciabilità in sé dell’alimento, quale che sia il metodo adottato, e non uno specifico metodo di tracciabilità, risultando quindi del tutto inconferenti le deduzioni -reiterate anche nel ricorso- circa la sussistenza o meno di un obbligo di conservazione delle confezioni originali: va, per contro, ribadito che la contestazione mossa agli opponenti concerneva il mancato rispetto degli obblighi di tracciabilità in senso generale , e non la mancata adozione di quello che può costituire uno fra i tanti criteri di tracciabilità, e cioè la conservazione delle confezioni originali.

Condivisibile tale affermazione, non altrettanto condivisibile risulta l’affermazione del Tribunale patavino, nel momento in cui ha ritenuto che la violazione contestata derivasse dalla mera incapacità dei responsabili del punto vendita a fornire in modo immediato all’autorità di verifica le informazioni sulla tracciabilità.

Se, infatti, le previsioni in rilievo vengono ad imporre l’obbligo di disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni riguardanti la tracciabilità dei prodotti, è da ritenersi che -ferme eventuali diverse ipotesi contemplate in altre previsioni di legge- l’illecito amministrativo di cui agli artt. 18 Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE e 2, D.Lgs. 05/04/2006, n. 190 venga a configurarsi allorquando il soggetto tenuto all’osservanza dell’obbligo risulti incapace -anche per la inadeguatezza dei sistemi e delle procedure contemplati al paragrafo 2 del medesimo art. 18, Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE- di fornire alle autorità competenti le dovute informazioni entro un lasso temporale non immediato ma comunque ragionevole, in tal modo dando prova di aver rispettato l’obbligo di tracciabilità, non potendosi invece ritenere sussistente la violazione in virtù della semplice incapacità di ottemperare alla richiesta di informazioni in immediato riscontro alla medesima, e dovendosi, anzi, escludere la sussistenza dell’illecito quando dette informazioni vengano comunque messe a disposizione entro tempi ragionevolmente solleciti.

Deve, quindi, ritenersi che l’impugnata sentenza del Tribunale di Padova si sia fondata su una non corretta interpretazione del riportato complesso normativo, avendo il Tribunale ritenuto sussistente la violazione solo in virtù dell’incapacità dei responsabili del punto vendita della (OMISSIS) SERVICE SRL di porre immediatamente a disposizione delle autorità le informazioni sulla tracciabilità, senza verificare – anche valutando in modo non apodittico, ma concreto, la capacità della struttura a tal scopo dedicata di assolvere al proprio compito- se la società ricorrente fosse comunque in grado di porre le informazioni a disposizione dell’autorità competente in tempi, seppur non immediati, comunque adeguatamente solleciti, in tal modo soddisfacendo quella che è la finalità della previsione eurounitaria.

4. Fondato è anche il terzo motivo di ricorso.

La fondatezza del motivo – formulato nel rispetto del canone di cui all’art. 366 c.p.c., e quindi pienamente ammissibile, avendo la parte anche indicato gli specifici mezzi istruttori richiesti ed argomentato in ordine alla loro rilevanza (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017) – discende anche dall’accoglimento del secondo motivo, in quanto, alla luce delle considerazioni sinora svolte, il Tribunale effettivamente avrebbe dovuto adeguatamente procedere al vaglio di rilevanza e di ammissibilità delle istanze istruttorie che miravano a fornire la prova dell’ottemperanza agli obblighi di conservazione della tracciabilità del prodotto indicato nell’atto di contestazione.

L’eventuale conferma delle circostanze oggetto delle sollecitazioni istruttorie, infatti, in quanto idonea a fornire la prova dell’effettiva ottemperanza all’obbligo di legge e della conseguente insussistenza della violazione contestata avrebbe concretamente inciso sulla decisione finale che di tali prove avesse tenuto conto.

5. L’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso comporta l’assorbimento del quarto, risultando a questo punto perfino ultroneo il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.

6. Il ricorso va pertanto accolto in relazione al primo, secondo e terzo motivo, con assorbimento del quarto.

La decisione impugnata deve quindi essere cassata con rinvio al Tribunale monocratico di Padova, in persona di altro magistrato, il quale si uniformerà ai seguenti principi di diritto:

Allorché una società commerciale di notevoli dimensioni sia articolata in molteplici punti vendita, diffusi sul territorio, dell’illecito amministrativo consumato in uno di essi (consistente, nel caso di specie, nel non consentire la tracciabilità di uno più prodotti alimentari) non può essere chiamato a rispondere il legale rappresentante della società, ma il responsabile preposto alla singola unità ove è stato commesso il fatto, il quale ne risponderà in solido con la società medesima.

La mera, generica, carenza sia dei responsabili preposti alla singola unità ove è stato commesso il fatto sia della struttura che sia stata appositamente costituita per l’osservanza degli obblighi la cui violazione sia oggetto della sanzione amministrativa, non può valere a fondare una responsabilità del legale rappresentante della società quando tale carenza sia dedotta puramente e semplicemente dalla commissione dell’illecito, potendo tale responsabilità essere affermata allorquando, non solo venga verificata una specifica inadeguatezza sia dei responsabili della singola unità ove è stato commesso il fatto sia della struttura appositamente costituita, ma anche questa inadeguatezza – che non può essere desunta dalla mera commissione dell’illecito in sé ma deve trovare fondamento nella constatazione di autonome e specifiche carenze (di mezzi o di competenze)- sia riconducibile ad azioni od omissioni, parimenti determinate, del legale rappresentante della società, in violazione di altrettanto specifici obblighi di garanzia, sempre che tali azioni o omissioni abbiano fornito un contributo – pur sempre specifico -alla causazione dell’illecito”.

“Ferme eventuali diverse ipotesi contemplate in altre previsioni di legge, l’illecito amministrativo di cui agli artt. 18, paragrafo 1, Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE, e 2, D.Lgs. 05/04/2006, n. 190 viene a configurarsi allorquando il soggetto tenuto all’osservanza dell’obbligo prescritto risulti – anche per la inadeguatezza dei sistemi e delle procedure contemplati al paragrafo 2 del medesimo art. 18, Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE, da valutare in modo specifico- incapace di fornire alle autorità competenti le dovute informazioni entro un lasso temporale comunque ragionevole, non potendosi invece ritenere sussistente la violazione in virtù della semplice incapacità di ottemperare alla richiesta in immediato riscontro alla medesima e dovendosi, anzi, escludere la sussistenza dell’illecito quando dette informazioni vengano comunque messe a disposizione entro tempi seppur non immediati comunque adeguatamente solleciti”.

Il giudice di rinvio provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale in composizione monocratica di Padova, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione, il giorno 9 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.