REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
GIACINTO BISOGNI Presidente
CLOTILDE PARISE Consigliere
MARCO MARULLI Consigliere – Rel.
GIULIA IOFRIDA Consigliere
FRANCESCO TERRUSI Consigliere
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2656/2017 R.G. proposto da:
COMUNE DI (omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) SRL e (omissis) (omissis) elettivamente domiciliati in (omissis) presso (omissis) (omissis);
-controricorrenti-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 361/2013 depositata il 11/06/2013 e n. 1285/2015 depositata il 29/12/2015;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2023 dal Consigliere Dott. Marco Marulli.
FATTI DI CAUSA
1. Con le sentenze riportate in epigrafe la Corte d’Appello di Ancona – adita dal Comune di (omissis) per la riforma dell’impugnata decisione di primo grado che aveva accolto le domande risarcitorie di (omissis) s.r.l. e di (omissis) (omissis) per l’irreversibile trasformazione di un fondo di loro proprietà su cui il Comune aveva proceduto all’innalzamento di un muro di cinta a protezione dell’attuato ampliamento della sede cimiteriale, nonché per il deprezzamento subito dall’area rimasta in proprietà dei medesimi – ha rigettato il proposto atto di gravame ed ha confermato entrambe le determinazioni risarcitorie adottate con la sentenza impugnata.
In particolare la Corte distrettuale, in replica della tesi appellante secondo cui la liquidazione del danno da irreversibile trasformazione del bene andava operata considerando la destinazione urbanistica di esso, corrente al momento dell’occupazione, e, comunque, nella specie al tempo di edificazione della cinta muraria, ha ribadito invece il principio che la liquidazione debba considerare la destinazione urbanistica che il bene ha al momento del completamento dell’opera, di modo che, essendo intervenuta nella specie, di seguito alla disposta occupazione, l’approvazione del nuovo PRG, in ragione del quale l’area era stata inserita nella zona di espansione edilizia denominata (omissis) risultandone in tal modo mutata l’originaria destinazione a verde pubblico attrezzato, la liquidazione del danno andava operata tenendo conto della nuova destinazione urbanistica impressa al bene.
Parimenti andava liquidato anche il danno da deprezzamento costituendo esso diretta conseguenza dell’illecita realizzazione dell’attuato ampliamento cimiteriale.
La cassazione di detta sentenza è ora impugnata per cassazione dal Comune soccombente con due motivi di ricorso, ai quali resistono gli intimati con controricorso.
Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bis1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso, per mezzo del quale si deduce l’erroneità dell’impugnata sentenza per aver essa liquidato il danno da irreversibile trasformazione del fondo correlandone il relativo ammontare al valore del bene al tempo del completamento dell’opera e, quindi, in conformità alla mutata destinazione urbanistica di esso, piuttosto che al tempo dell’occupazione ovvero dell’avvenuta erezione del muro, è fondato e merita perciò adesione, con conseguente assorbimento del secondo motivo di ricorso, posto che la liquidazione del danno da deprezzamento è stata effettuata utilizzando il medesimo parametro censurato con il motivo qui accolto.
3. Come visto la Corte d’Appello, una volta riconosciuta la natura di illecito permanente nell’occupazione e nell’irreversibile trasformazione del fondo cui il Comune di (omissis) aveva sottoposto l’area di proprietà degli odierni intimati, ha proceduto alla liquidazione del relativo danno in ragione della destinazione urbanistica acquisita dal bene in corso di procedura, ritenendo che l’irreversibile trasformazione del fondo fosse intervenuta non con l’occupazione di esso ovvero con l’erezione del muro di cinta, bensì con l’intervenuta esecuzione dell’ampliamento del cimitero terminata nel 1999.
4. Il criterio in tal guisa denunciato dal decidente non trova il consenso di questa Corte.
Con una massima consolidatamente enunciata quando, prima dell’intervento nomofilattico attuato dalle Sezioni Unite con l’arresto 735/2015, era discussa, quantomeno con riferimento alla figura dell’occupazione acquisitiva, la decorrenza del termine di prescrizione entro cui esercitare l’azione risarcitoria per responsabilità da fatto illecito, si è più volte chiarito da questa Corte, che ai fini della decorrenza del termine in parola, non è sufficiente la mera consapevolezza di avere subito un’occupazione o una manipolazione senza titolo dell’immobile, ma occorre che il danneggiato si trovi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive per il suo diritto dominicale e possa percepire l’avvenuto spossessamento come danno ingiusto ed irreversibile (Cass., Sez. I, 17/04/2014, n. 8965).
Più in dettaglio si era già precisato, in questa stessa linea di pensiero, che il “dies a quo” del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria coincide con la consumazione dell’illecito in cui si sostanzia l’acquisizione pubblica della proprietà e va individuato nel momento in cui il bene occupato subisce un’irreversibile trasformazione che ne riveli la destinazione ad opera pubblica, il che si verifica quando l’opera assume di fatto le caratteristiche proprie della categoria dei beni cui appartiene (Cass., Sez. I, 30/01/2002, n. 1232).
Tale, irreversibile trasformazione dell’immobile (che integra gli estremi dell’illecito per distruzione dell’identità originaria della “res“) non coincide, “quoad tempus“, né con l’inizio né con la ultimazione dei lavori, ma si colloca in un momento intermedio, quello, cioè, in cui l’opera venga a delinearsi nei suoi connotati ormai definitivi e nelle sue previste caratteristiche, evidenziando, per l’effetto, la non ripristinabilità dello “status quo ante” se non attraverso nuovi interventi (altrettanto) eversivi della fisionomia attualmente assunta dal bene (Cass., Sez. i, 27/11/1998, n. 12041).
5. Ora, osservato che il principio in parola si veste di un’ultrattività che va oltre il contesto di riferimento, è evidente l’erroneità del diverso convincimento espresso dal giudice d’appello, non già perché non sia logico far discendere l’irreversibile trasformazione del fondo al momento dell’ultimazione dei lavori piuttosto che a quello dell’occupazione o, meglio, a quello dell’erezione della cinta muraria, ma perché esso non si è dato cura di accertare quando l’azione manipolativa posta in essere dalla pubblica amministrazione abbia impresso al bene quei caratteri di definitività che ne attestino, da un lato, la sicura acquisizione al patrimonio pubblico e, dall’altro, l’altrettanta sicura irreversibilità dell’operata trasformazione se non a mezzo di nuovi interventi eversivi della fisionomia attualmente assunta dal bene.
6. Accogliendosi, dunque il primo motivo di ricorso e cassandosi di conseguenza in parte qua l’impugnata decisione, con l’effetto, come detto, pure dell’assorbimento del secondo motivo di ricorso, va comunque ricordato al giudice del rinvio che, allorché scrutinerà ex novo la fattispecie in applicazione dell’enunciato principio di diritto, dovrà darsi premura anche di esaminare la doglianza fatta valere con il detto secondo motivo di ricorso con cui si adombra il dubbio che alla liquidazione del danno da deprezzamento, pur se nella specie non si verta in materia di espropriazione, ma di risarcimento del danno da fatto illecito, si debba procedere in applicazione dei criteri enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di espropriazione
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo;
cassa l’impugnate sentenze nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Ancona che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 31.1.2023.
Il Presidente
Dott. Giacinto Bisogni
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2023.