Preesistente intollerabilità della vita coniugale: a chi spetta l’addebito? (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 8 febbraio 2019, n. 3877).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1859-2017 proposto da:

M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 36,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GOZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato BENEDETTA COLLERONE RUSSO;

– ricorrente –

contro

T.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 98, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GIOVANNI POLLARI MAGLIETTA, rappresentata e difesa dall’avvocato TIZIANA DA ROS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2071/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO IN FATTO

che:

La Corte di appello di Venezia, ritenuta la nullità della sentenza di primo grado in controversia concernente la separazione personale dei coniugi T.P. e M.U. e le domande accessorie, pronunciava la separazione con addebito al marito, in ragione dell’unilaterale abbandono del domicilio coniugale connesso alla interruzione della erogazione dei contributi economici per la famiglia, e poneva a carico del M. un assegno di mantenimento per la moglie di Euro 400,00 mensili e per le due figlie di Euro 800,00, somme tutte rivalutabili, oltre la partecipazione al 50% delle spese straordinarie riguardanti le figlie.

Il ricorso per cassazione è stato proposto con quattro mezzi dal M.; la moglie ha replicato con controricorso.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale non sono state mosse osservazioni critiche, nei termini di seguito precisati.

2. Il primo motivo – con il quale si denuncia la violazione delle disposizioni che disciplinano la pronuncia di addebito, per avere erroneamente ritenuto, la Corte di appello, ammissibile la domanda di addebito, da qualificarsi come domanda riconvenzionale, senza considerare che la stessa era stata proposta tardivamente solo nelle note di precisazione delle conclusioni e che non erano state nemmeno articolati mezzi probatori con le memorie istruttorie è infondato.

Invero, il motivo prospetta circostanze – relative al momento della proposizione della domanda di addebito – che contrastano con quanto accertato dalla Corte di appello in merito all’epoca della sua tempestiva formulazione, avvenuta con la memoria depositata il 13/4/2012, oltre venti giorni prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c. fissata dal Presidente avanti al giudice istruttore: questa Corte ha riscontrato, quale giudice del fatto processuale, tali esatte circostanze di fatto mediante il diretto esame degli atti di parte e dei verbali di udienza del primo grado, rilevando che la originaria prima udienza fissata davanti all’istruttore per l’8/3/2012 venne rinviata d’ufficio, per questioni connesse alla notifica dell’ordinanza presidenziale, al 10.5.2012 con concessione di nuovi termini, fissati al 29/3/2012 per il ricorrente ed al 14/4/2012 per la contro ricorrente, che risultano rispettati anche per la proposizione della domanda di addebito.

3. Il secondo motivo – con il quale si lamenta che la non esatta valutazione del nesso di causalità tra l’abbandono del tetto coniugale e l’irreversibile crisi coniugale (a dire del ricorrente effetto, e non già causa, in ragione della preesistente intollerabilità della vita coniugale) – è inammissibile perchè non coglie la ratio conseguente alla congiunta valutazione dell’abbandono della casa coniugale da parte del M. e della contestuale interruzione del mantenimento familiare, circostanza quest’ultima che il ricorrente trascura totalmente nel motivo.

4. Il terzo motivo – con il quale si censura la statuizione di nullità della prima decisione pronunciata dalla Corte di appello – è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi.

La tesi sostenuta dal ricorrente, circa la ricorrenza di un mero errore materiale nell’indicazione dell’organo giudicante quale giudice unico, invece che come collegio di primo grado, non considera che la Corte di appello ha appositamente sottolineato che dalla sentenza non era evincibile l’indicazione dei componenti del collegio e su questo specifico profilo – non intercettato dalla doglianza – ha fondato la sua pronuncia.

Tale statuizione peraltro è immune da vizi in quanto conforme al principio secondo il quale “Con riguardo al contenuto della sentenza civile, l’art. 132 c.p.c., comma 2, lett. a), che prescrive l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, comporta che, dalla formulazione dell’atto, si possa individuare con certezza il giudice decidente (monocratico o collegiale), per desumerne sia l’esatta collocazione gerarchica e territoriale nella struttura organizzativa dell’autorità giudiziaria ordinaria, sia il nome delle persone fisiche in concreto deliberanti.” (Cass. n.9625 de120/09/1993).

Infine le considerazioni svolte dal ricorrente circa la partecipazione del PM al primo grado risultano irrilevanti in quanto la questione non appare affrontata dalla Corte di appello.

5. Il quarto motivo – con il quale si lamenta la illogicità e la contraddittorietà della motivazione in merito alla determinazione dell’ammontare degli assegni di mantenimento – è inammissibile perchè prospetta, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, un vizio revocatorio, relativo alla errata attribuzione della effettiva proprietà di un appartamento in Bibione e non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì l’errata valutazione, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (ex plurimis, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053).

6. In conclusione il ricorso va rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

8. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

9. Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.100,00=, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria l’8 febbraio 2019.