REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. GIOVANNI LIBERATI – Presidente –
Dott. ANDREA GENTILI – Consigliere –
Dott. EMANUELA GAI – Relatore –
Dott. MARIA BEATRICE MAGRO – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE NOVIELLO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(omissis) (omissis), nata a (omissis) l’11/10/19xx;
avverso la sentenza del 06/10/2023 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio;
udito per l’imputato l’avv. (omissis) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 6 ottobre 2023, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Bologna, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di (omissis) (omissis) per vari reati di cui agli artt. 3, 4, 5 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000, per i fatti l commessi dal 2013 in poi, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati commessi in data precedente, e rideterminato la pena, riducendola, in due anni e otto mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo quanto accertato dai giudici di merito, all’esito della pronuncia di prescrizione, (omissis) (omissis), in relazione alla sua attività di chirurgo estetico, è stata condannata per avere:
1) presentato la dichiarazione annuale per le imposte sulle persone fisiche per l’anno 2012, in data 25 settembre 2013, sia omettendo di indicare compensi per prestazioni professionali percepiti da un albergo di (omissis), per un importo pari a 283.357,00 euro, con evasione IRPEF pari a 115.013,51 euro, così integrando il reato di cui all’art. 4 d.Igs. n. 74 del 2000 (capo unico), sia occultando compensi per prestazioni professionali ricevuti da altre strutture alberghiere per ulteriori 1.008.139,00 euro, con l’artificio di sostituire le fatture regolarmente emesse dai fruitori delle sue prestazioni per 1.067.091,00 euro con n. 38 fatture e n. 3 note di accredito completamente false nel contenuto e nella contabilità, recanti un importo complessivo di 58.952,00 euro, così integrando il reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché omettendo di indicare ulteriori compensi per prestazioni professionali per 1.172.911,00 euro, così integrando il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, con complessiva evasione IRPEF pari a 1.278.144,00 euro (capo A proc. n. 7434/18 rgdib.);
2) presentato la dichiarazione annuale per le imposte sulle persone fisiche per l’anno 2013, nel settembre 2014, omettendo di indicare compensi per prestazioni professionali per un importo pari a 283.357 euro, con evasione IRPEF pari a 903.644,00 euro, così integrando il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, con complessiva evasione IRPEF pari a 565.867,00 euro (capo B proc. n. 7434/18 rgdib.);
3) omesso di presentare la dichiarazione annuale per VIVA per gli anni 2012, 2013 e 2014, relativamente ad operazioni imponibili pari a 2.574.793,00 euro per il 2012, a 1.846.923,00 euro per il 2013, e a 1.326.081,00 euro per il 2014, così integrando il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo C proc. n. 7434/18 rgdib.);
4) occultato o distrutto numerose fatture specificamente indicate nell’imputazione, con condotta accertata il 22 novembre 2016, così integrando il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo D proc. n. 7434/18 rgdib.).
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, (omissis) (omissis), con atto sottoscritto dall’Avv. (omissis) (omissis), articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 10, n. 18, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 per l’omessa dichiarazione IVA. Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento alla mancata presentazione della dichiarazione per l’IVA.
Si premette che la conclusione della sentenza impugnata si fonda sull’assunto per cui le prestazioni fornite dall’attuale ricorrente fossero di medicina estetica non finalizzate a cura e riabilitazione, come tali non rientranti nell’esenzione dall’IVA prevista dall’art. 10, n. 18, d.P.R. n. 633 del 1972.
Si osserva che, per come evidenziato dal consulente tecnico della difesa, ma anche dalla polizia giudiziaria, le prestazioni fornite consistevano nel prelievo di sangue dalle cavità venose, nel passaggio del plasma in un dispositivo chiamato ossigenatore, e poi nella reintroduzione del liquido nell’organismo del paziente, con conseguente incremento del benessere fisico della persona sottoposta a trattamento, e, quindi, erano qualificabili come attività di cura.
Si rileva che la deduzione era stata formulata alla Corte d’appello, e che, però, questa non solo ha mantenuto ferma la tesi secondo cui le prestazioni fornite dall’attuale ricorrente fossero di medicina estetica non finalizzate a cura e riabilitazione, ma non ha nemmeno reso alcuna risposta in argomento.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 15 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo in ordine al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 per l’omessa dichiarazione IVA.
Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata avrebbe anche omesso di considerare come l’obbligo di pagare VIVA sulle prestazioni effettuate dall’attuale ricorrente fosse quanto meno dubbio.
Si aggiunge che è erronea la valorizzazione, da parte dei Giudici di merito, della “rifatturazione” delle prestazioni ai clienti effettuata dalla struttura alberghiera mediante applicazione dell’IVA con aliquota normale: questa nuova fattura era emessa da un imprenditore commerciale.
Si rileva, inoltre, che sono assertive le affermazioni concernenti la dimestichezza dell’attuale ricorrente con la normativa fiscale e l’ausilio fornitole da consulenti. Si segnala che l’obiettiva incertezza della normativa fiscale determina l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 15 d.lgs. n. 74 del 2000 e non di quella di cui all’art. 5 cod. pen., come riconosce la giurisprudenza di legittimità (si cita Sez. 3, n. 23810 de 08/04/2019, Rv. 275993).
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 3, 5 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000, 81 cpv. e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione.
Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ho conservato immutato il trattamento sanzionatorio per i reati satellite dopo aver ridotto la pena inflitta per il reato più grave, quello di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si segnala che la pena per il reato più grave è stata ridotta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, rilevanti anche per il trattamento sanzionatorio da apportare per i reati satellite, e che la sentenza impugnata ha omesso qualunque motivazione in proposito.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 132 e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo. Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha fissato per il reato più grave una pena superiore al minimo senza spiegarne le ragioni e senza considerare né la confessione dell’imputata, né il sopravvenuto pagamento, da parte della stessa, dei debiti tributari.
3. La ricorrente (omissis) (omissis), con atto sottoscritto dall’Avv. (omissis) (omissis), ha presentato memoria di replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Nell’atto, in particolare, si sviluppano le censure formulate nel terzo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
Il primo motivo di ricorso è, in parte, inammissibile perché orientato al merito e alla diversa qualificazione delle prestazioni effettuate dalla ricorrente, volto a chiedere una rivalutazione delle conclusioni dei giudici del merito secondo cui le prestazioni fornite dall’attuale ricorrente erano di medicina estetica, non finalizzate a cura e riabilitazione, e come tali soggette ad imposizione Iva, e, comunque, infondato nella parte in cui deduce la violazione di legge in riferimento all’art. 10, n. 18, d.P.R. n. 633 del 1972.
Va premesso che, in tema di imposta IVA, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti di imposta, ex art. 10, n. 18, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute, gravando sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi (Sez. 5 civ., n. 27947 del 13/10/2021, Rv. 662473; Sez. 5, civ. n. 21272 del 02/11/2005, Rv. 584576 — 01).
La pacifica giurisprudenza civile ha reiteratamente affermato che in tema di Iva, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi richiesti per godere dell’esenzione cui all’art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, grava sul contribuente, con la conseguenza che, se non viene fornita tale prova, i corrispettivi accertati devono ritenersi operazioni imponibili (da ultimo Sez. 5, n. 25440 del 12/10/2018, Rv. 650802 2,- 01; Sez. 5, n. 13138 del 24/06/2015; Sez. 5, n. 17656 del 06/08/2014).
E con riguardo alle prestazioni di natura puramente estetica, anche se rese da personale infermieristico o medico, una volta accertato che il trattamento non abbia contenuto intrinseco di prestazione sanitaria medica o paramedica, non spetta l’esenzione (da ultimo Sez. 5, n. 19178 del 17/07/2019).
Come richiamato anche dalla sentenza impugnata, anche mediante richiamo alle decisioni della Corte di Giustizia in tema (Corte di Giustizia, 21 marzo 2013, C-91/12), i trattamenti di carattere estetico, nei limiti in cui abbiano lo scopo di trattare o curare persone che a seguito di malattia o di handicap fisico congenito abbiano bisogno di intervento estetico, potrebbero rientrare nella nozione di “cure mediche” o di “prestazioni mediche” esente da Iva ai sensi degli art. 10 e 18 del D.P.R. n. 633 del 1972, ma che l’onere della destinazione del trattamento a cure mediche, ai fini dell’esenzione Iva, grava sul contribuente che effettua le prestazioni.
2. La Corte territoriale ha condiviso e fatto corretta applicazione di tale consolidato principio giurisprudenziale, rilevando l’assenza di puntuale allegazione di documentazione sanitaria (cartella clinica e prescrizione medica), attestante il carattere terapeutico in relazione alle singole prestazioni rese, implicitamente escludendo la possibilità di formulare ex post una valutazione globale delle medesime (cfr. pag. 12).
3. Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
La corte territoriale con motivazione congrua e corretta in diritto ha escluso l’obiettiva incertezza della norma extrapenale tributaria in punto esenzione Iva, ai sensi dell’art. 15 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale causa di non punibilità, rilevando, a pag. 12, che l’Hotel Palace, nel rifatturare ai propri clienti le prestazioni effettuata dalla ricorrente e da lei fatturati all’Hotel, esponeva l’Iva, elemento che elimina ogni dubbio interpretativo in un contesto nel quale, si rammenta, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile (Sez. 3, n. 23810 del 08/04/2019, Versaci, Rv. 275993 — 02; Sez. 7, n. 44293 del 13/07/2017, Hu, Rv. 271487 — 01; Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, Rv. 268120 – 01).
4. Il terzo motivo non è fondato.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, che il Collegio condivide, non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, avendo ridotto la pena per il reato più grave per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche per motivi soggettivi, non riduca, in maniera corrispondente, gli aumenti sanzionatori praticati, per i reati satellite, ex art. 81, comma secondo, cod. pen., sussistendo il solo obbligo di valutare globalmente gli elementi favorevoli, ai fini dell’individuazione del congruo aumento di pena conseguente alla riconosciuta continuazione (Sez. 3, n. 22091 del 09/03/2023, Albengo, Rv. 284663 – 01; Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107 – 01; Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703 – 01).
Prendendo le mosse dai principi affermati dalla recente sentenza S.U. Pizzone, secondo cui in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, ma il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269), e del conseguente principio secondo cui nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinta per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spannpinato, Rv. 284005), tanto più quando i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Radosavljevic, Rv. 279770), l’orientamento maggioritario ha argomentato, con riguardo all’incidenza delle, riconosciute circostanze attenuanti generiche sugli aumenti di pena praticati a titolo di continuazione, che il riconoscimento delle suddette nel caso di reato continuato non postula alcun automatismo nella riduzione della pena anche con riguardo ai reati satellite, come ritenuto da diverso orientamento (Sez. 1, n. 20945 del 25/02/2021, Casarano, Rv. 281562; Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, Perez Prado e a., Rv. 272375), potendosi invece, per ciascun reato, nell’ambito della globale applicazione dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., valutare diversamente l’eventuale incidenza del favorevole giudizio soggettivo che ha giustificato il riconoscimento delle menzionate attenuanti (Sez. 3, n. 22091 del 09/03/2023, Albengo, Rv. 284663 – 01; Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107- 02).
Ritiene il Collegio di aderire, condividendone le argomentazioni, all’orientamento maggioritario secondo cui laddove le circostanze attenuanti generiche siano state riconosciute (o diversamente bilanciate in favor rei) in grado di appello, con conseguente riduzione della pena per la violazione più grave, non debba necessariamente derivarne un’automatica riduzione degli aumenti di pena anche per i reati uniti nel vincolo della continuazione, potendosi invece, per ciascun reato, nell’ambito della globale applicazione dei criteri previsti dall’art. 133 cod.pen., valutare diversamente l’eventuale incidenza del favorevole giudizio soggettivo che ha giustificato il riconoscimento delle menzionate attenuanti (Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107-02).
Dunque, nel caso in cui, in grado di appello, la pena per il reato più grave sia stata diminuita per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per motivi soggettivi, non v’è alcun automatismo che imponga di ridurre, in modo corrispondente, gli aumenti di pena praticati a titolo di continuazione per i reati satelliti, sussistendo invece un obbligo del giudice di valutazione globale anche di quei favorevoli elementi nell’individuazione del congruo aumento di pena conseguente alla riconosciuta continuazione.
Ritiene il Collegio che i giudici territoriali abbiano reso una motivazione sul punto là dove, dopo avere riconosciuto le circostanze attenuanti generiche alla ricorrente per motivi soggettivi (incensuratezza e buon comportamento processuale), richiamando il dolo intenso, l’ingente danno, hanno ritenuto proporzionati gli aumenti di pena per i reati satellite (cfr. pag. 17) in un contesto di reati seriali e minimi aumenti.
4. Il quarto motivo che censura la motivazione sulla determinazione della pena base per il più grave reato di cui all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, è manifestamente infondato.
In disparte la considerazione che gli elementi positivi di valutazione indicati nel ricorso sono stati valutati per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale, ma attestata nella mediana, è stata congruamente argomentata (cfr. pag. 17) sulla scorta degli elementi di cui all’art. 133 cod.pen. (dolo intenso, articolazione della frode, ingente danno erariale).
Motivazione tutt’altro che omessa, dovendo ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art.133 cod. pen. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, Waychey e altri, Rv. 258410).
5. Il ricorso va rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuale.
A tale riguardo osserva, il Collegio, che i reati non sono a tutt’oggi prescritti tenuto conto dell’epoca di commissione degli, stessi e del periodo di sospensione del corso della prescrizione, per complessivi 269 giorni (di cui 135 in primo grado, 134 in grado di appello), a cui va aggiunto il periodo di sospensione del corso della prescrizione, nel giudizio di legittimità, a seguito di rinvio dell’udienza del 18 luglio 2024 per impedimento del difensore.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/07/2024.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2024.