REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Geppino RAGO – Presidente –
Dott. Luciano IMPERIALI – Consigliere –
Dott. luigi AGOSTINACCHIO – Consigliere –
Dott. Andrea PELLEGRINO – Rel. Consigliere –
Dott. Giuseppe SGADARI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx, rappresentato ed assistito dall’avv. (OMISSIS) (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 546/22 in data 10/10/2022 della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
rilevato che non è stata richiesta dalle parti la discussione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato da ultimo in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199;
preso atto che il procedimento viene, pertanto, trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020, convertito nella L. 18/12/2020, 176, prorogato da ultimo in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, Dott.. Alessandro Cirnmino, ha concluso chiedendo di dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10/10/2022, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia resa in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Taranto all’esito di giudizio abbreviato in data 07/03/2022 che aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) alla pena dli anni sei, mesi due, giorni dieci di reclusione ed euro 2.300 di multa per i delitti di rapina aggravata in concorso e porto d’arma (capi 1 e 2).
2. Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di (OMISSIS) (OMISSIS) è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 88, 89 e 95 cod. pen., 530, 546, 533 e 192 cod. proc. pen. V’è totale mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta condizione del ricorrente che non coinciderebbe con quella del tossicodipendente in senso stretto. Inoltre, lo stato di soggezione definito “dipendenza” può influire in due modi sulla volontà: facendo perdere il controllo al soggetto che non risponde più per i comportamenti tenuti, oppure, più comunemente, come nel caso di specie, spingendolo a compiere l’azione criminosa per procurarsi la dose o i mezzi per comprarla.
Secondo motivo: violazione di legge. Il giudice di secondo grado si è rifiutato di appurare l’imputabilità o meno di (OMISSIS) non avendo dato spazio allo svolgimento della già evocata perizia psichiatrica ritualmente richiesta in sede di gravame.
Terzo motivo: vizio di motivazione in relazione alla contestata aggravante di cui all’art. 628, comma 2, n. 1 cod. pen. relativo al travisamento con mascherina chirurgica anticovid.
La circostanza che la mascherina fosse obbligatoria all’epoca (novembre 2021) suggerisce che lo scopo del (OMISSIS) non era quello di travisarsi bensì semplicemente quello di non attirare l’attenzione generale, in un periodo in cui transitare in un luogo chiuso col volto scoperto sarebbe risultato inusuale e avrebbe suscitato l’attenzione delle persone circostanti. Depone a favore di ciò il fatto che il ricorrente avesse sul collo vistosissimi tatuaggi che né la mascherina né il berretto sono stati in grado di coprire come invece afferma illogicamente la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Manifestamente infondati sono i primi due collegati motivi.
Va premesso che, in tema di imputabilità, sebbene l’accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da sostanze stupefacenti spetti al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell’imputato, grava, tuttavia, su quest’ultimo l’onere di allegazione della documentazione attestante la sua tossicodipendenza cronica (Sez. 5, n. 12896 del 30/01/2020, Mauro, Rv. 279039).
Nel caso di specie, come correttamente evidenziato dalla Procura generale, a fronte della valutazione operata dalla Corte territoriale, attraverso il solo richiamo alla produzione della documentazione del SERT, non appaiono emergere gli elementi comprovanti la sussistenza di cronica intossicazione, di uno stato patologico permanente e non più dipendente dall’assunzione di sostanze stupefacenti, tale da configurare una malattia psichica incidente sull’imputabilità, e comunque la circostanza che tale condizione fosse presente al momento di commissione del fatto-reato.
La ritenuta assenza di una condizione di cronica intossicazione appare consentire di ritenere conseguenziale il mancato accoglimento della richiesta di perizia.
Invero, si afferma in giurisprudenza che l’obbligo di motivare il giudizio sulla sussistenza della capacità d’intendere e di volere, e specularmente quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l’integrità, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che nella singola fattispecie detta presunzione sia superata da risultanze di segno contrario, per l’incidenza di una vera e propria infermità, e cioè di uno stato morboso caratterizzato da inequivocabili connotazioni patologiche (cfr., Sez. 1, n. 5347 del 06/04/1993, Olivieri, Rv. 194213; Sez. 1, n. 1298 del 11/01/1993, Fechino, Rv. 193021; Sez. 3, n. 7222 del 15/12/2015, dep. 2016, Paninolo, non mass.).
3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
Si afferma condivisibilmente in giurisprudenza che, in tema di rapina, ricorrono gli estremi dell’aggravante del travisamento, ai sensi dell’art. 628, comma terzo, n. 1), cod. pen., nel caso in cui – come nella fattispecie – l’agente indossi una mascherina, non rilevando, in contrario, che l’uso della stessa sia prescritto dalla normativa di contrasto alla pandemia da Covid-19, atteso che la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell’azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile (Sez. 2, n. 1712 del 03/11/2021, dep. 2022, Perfetti, Rv. 282517).
4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 06/04/2023.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023.