Riconosciuta l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede nel furto di biciclette (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 23 settembre 2022, n. 35997).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Consigliere

Dott. CANANZI Francesco – Rel. Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MONSEN nato il 10/04/19xx;

avverso la sentenza del 20/09/2021 della CORTE APPELLO di ANCONA;

letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO CANANZI;

lette la requisitoria e le conclusioni scritte depositate — ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 — in data 21 aprile 2022, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

lette le conclusioni depositate in data 5 maggio 2022 dal difensore del ricorrente avv. ALESSANDRO (OMISSIS), con le quali chiedeva accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza emessa il 20 settembre 2021, confermava la sentenza del Tribunale di Macerata, che aveva accertato la responsabilità penale di Mohsen (OMISSIS), condannandolo alla pena di giustizia, esclusa la recidiva e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante dell’art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen. in relazione al furto di una bicicletta ritenuta esposta alla pubblica fede in quanto posteggiata dalla persona offesa, Sonia (OMISSIS), all’esterno della pizzeria “Da (OMISSIS)” e sottratta alla stessa mentre stava lavorando nell’esercizio commerciale.

2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di Mohsen (OMISSIS) consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante dell’art. 625 n. 7 cod. pen.

Lamenta il ricorrente carenza di motivazione della sentenza impugnata, che si sarebbe limitata ad affermare la sussistenza dell’aggravante per così dire ‘a contrario’, e cioè in riferimento all’esistenza del sistema di videosorveglianza esterno alla pizzeria, richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ritiene la circostanza aggravante sussistente anche in presenza di un sistema videosorveglianza.

Il motivo censura la sentenza in quanto l’esposizione alla pubblica fede implica la necessità della stessa, che nel caso in esame difetterebbe per la natura non temporanea del parcheggio, come pure difetterebbe la consuetudine alla esposizione sulla pubblica via in assenza di catena antifurto.

4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con l’aggravante contestata e al trattamento sanzionatorio, lamentando l’illogicità della motivazione che aveva valorizzato le precedenti condanne sia per il diniego della prevalenza delle attenuanti nel giudizio di bilanciamento, sia per la determinazione della pena al di sopra del minimo edittale con una dosimetria sproporzionata al fatto.

5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte — ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 — in data 21 aprile 2022, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, quanto al primo motivo in quanto manifestamente infondato avendo la Corte territoriale fatto buon governo del principio di diritto relativo all’aggravante in contestazione, quanto al secando data la non sindacabilità della delibazione della Corte territoriale immune da difetti motivazionali.

6. In data 5 maggio 2022 il difensore del ricorrente depositava conclusioni ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis d.l. 137/2020, con le quali insisteva nell’escludere che il parcheggio sulla pubblica via fosse corredato dal requisito della necessità, data la non temporaneità della sosta e l’assenza di meccanismi di chiusura, integrandosi in tal caso l’abbandono che esclude la circostanza aggravante in contestazione.

7. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto dell’art. 7, comma 1, di. n. 105 del 2021.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto al primo motivo rileva il Collegio come la sentenza impugnata dia conto con motivazione congrua della sussistenza della circostanza aggravante della esposizione della bicicletta alla pubblica fede, parcheggiata dal detentore sulla pubblica via, individuandone la causale della esposizione nella necessità.

2.1 La Corte territoriale chiarisce come non vi fosse stata una vigilanza continua da parte della (OMISSIS), proprietaria della ‘pizzetteria’, che si accorgeva del furto solo alle 22,15 del 13 ottobre 2017, all’atto della chiusura del locale, mentre il furto era avvenuto, come emergeva dal sistema di video sorveglianza, alle 18,35.

Inoltre la sentenza del Tribunale di Macerata dava atto che la Ippoliti nel pomeriggio aveva parcheggiato la propria bicicletta all’esterno del locale.

La Corte di appello richiamava poi l’orientamento giurisprudenziale che ritiene sussistente l’aggravante contestata anche in presenza di sistema di videosorveglianza, se non idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa, essendo solo una sorveglianza specifica ed efficace a impedire la sottrazione del bene e tale, quindi, da escludere la configurabilità dell’aggravante contestata.

2.2 La sentenza impugnata fa buon governo dell’orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide e che qualifica l’aggravante contestata come esposizione alla pubblica fede per necessità, e non per consuetudine.

Va premesso che la necessità di una maggiore tutela, che giustifica l’aggravante, consegue alla maggior garanzia di cui debbono essere circondate tutte le cose che, in quanto sottratte a una vigilanza continua e diretta del proprietario, si trovino esposte alla fede pubblica, che è da intendersi quale fiducia nel pubblico, consiste nell’affidamento completo e continuo della cosa al senso di onestà collettivo (Sez. 2, n. 1313 del 08/10/1965, dep. 1966, De Colombi, Rv. 100412 – 01) e al sentimento di rispetto della proprietà altrui (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989, Panbianchi, Rv. 182026 – 01; Sez. 2, n. 4671 del 09/10/1987, dep. 1988, Grillo, Rv. 178145 – 01; Sez. 2, n. 1688 del 26/1.1/1965, dep. 1966, Gallo, Rv. 100753 – 01), nonché in una necessità tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei consociati e nel rispetto delle cose altrui che dagli stessi è lecito pretendere (Sez. 5, n. 15386 del 06/03/2014, Cesaria, Rv. 260216 – 01).

A fronte di tale ratio dell’aggravamento della pena, l’esposizione alla pubblica fede deve essere quindi determinata da una delle cause indicate nella norma, dovendo dipendere dalla consuetudine, ovvero dalla necessità o ancora dalla destinazione della cosa.

E’ noto al Collegio l’orientamento che nega la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., sub specie di esposizione per consuetudine alla pubblica fede, nel caso in cui si verifichi il furto di una bicicletta, abbandonata senza alcuna custodia in una pubblica via, in quanto la consuetudine di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cit. designa la pratica di l’atto rientrante negli usi e nelle abitudini sociali, desunta sulla base di condotte verificate come ripetitive in un ampio arco temporale e tali, pertanto, da essere riconducibili a notorietà: estremi, questi, non integrati nella specie, in quanto non può qualificarsi radicata abitudine del ciclista quella di lasciare la propria bicicletta sulla pubblica via senza avere cura di assicurarla mediante l’utilizzo della chiave di chiusura in originaria dotazione ovvero della catena anti-furto ordinariamente commercializzata come accessorio (Sez. 4, n. 9401 del 25/01/2017, Ciora, Rv. 269355 – 01; Sez. 4, n. 38532 del 22/09/2010, Catona, Rv. 248836 – 01; Sez. 5, n. 8450 del 17/01/2006, Smopech, Rv. 233765).

Nel caso in esame, però la Corte territoriale ha ritenuto individuabile non nella ‘consuetudine’, bensì nella ‘necessità’ il pre-requisito causale della esposizione alla pubblica fede richiesto dall’art. 625, comma 1, n. 7.

Rispetto a tale opzione, anche da ultimo, la Corte di legittimità ha affermato che «in tema di reati contro il patrimonio, sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen. – “sub specie” di esposizione per necessità alla pubblica fede – nel caso in cui si verifichi il furto di una bicicletta parcheggiata sulla pubblica via, la quale deve intendersi esposta, per necessità e non già per consuetudine, alla pubblica fede quando il detentore la parcheggi per una sosta momentanea lungo la strada» (Sez. 5, n. 17604 del 13/01/2020, Dicuonzo, Rv. 279343 – 01; Sez. 4, n. 16022 del 20/12/2018, dep. 2019, Tanzi, Rv. 275578 – 01, Sez. 4, n. 4200 del 20/10/2016, dep. 2017, Ribaga, Rv. 269128 – 01; Sez. 5, n. 3196 del 28/09/2012, dep. 2013, De Santis, Rv. 254381 – 01).

Questa Corte ritiene condivisibile questo orientamento, facendo proprie le considerazioni espresse da Sez. 5 De Santis, che ha chiarito come la lettera dell’art.625, n. 7, cod. pen. intenda conferire rilevanza, in alternativa alla consuetudine, anche a situazioni di necessità o di obiettiva destinazione della cosa. Il che rileva nel caso di una bicicletta, perché non è un comportamento più o meno consolidato negli usi delle persone a giustificarne l’esposizione alla pubblica fede, allorché il detentore l’abbia impiegata come mezzo di trasporto per raggiungere una destinazione diversa dalla propria abitazione, come è per, un negozio, come nel caso in esame, un ufficio, l’appartamento di un conoscente, una biblioteca, bensì la pratica necessità che egli la lasci lungo la pubblica via, essendo certamente impossibilitato a portarsela dietro.

Può esservi o non esservi consuetudine, semmai, nell’apprestare sistemi di tutela contro il furto, appunto per impedire che altri se ne impossessino: ma ciò non implica conseguenze di sorta sull’indefettibile e presupposta necessità che il veicolo rimanga esposto alla pubblica fede, e non già perché esiste una consolidata abitudine in tal senso, bensì perché non sarebbe possibile fare altrimenti, quanto meno per elementare ragionevolezza.

Sez. 5, De Santis richiama anche altro precedente di questa Sezione, laddove si intese distinguere la nozione di “necessità” di cui all’art. 625 n. 7 – per quanto da leggere in senso relativo, includendo ogni apprezzabile esigenza per l’adozione di condotte imposte da situazioni anche contingenti, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e trascuratezza nella vigilanza – rispetto ad una “consuetudine” da intendersi quale pratica di fatto generale e costante, ancorché non vincolata da esigenze imprescindibili (Sez. 5, n. 14978 del 24/03/2005, Rahmouni).

2.3 Il Collegio ritiene corretta la valutazione della Corte territoriale.

Nel caso in esame la bicicletta era stata utilizzata dalla persona offesa per recarsi al proprio esercizio commerciale e fu parcheggiata all’esterno dello stesso, a ridosso della ‘pizzetteria’, all’interno della quale operava la persona offesa.

Non si versa in tema di mera comodità, essendo l’esposizione della bicicletta connessa ad una esigenza lavorativa e agli orari dell’esercizio commerciale e dovendosi ritenere, come osservato in dottrina, che anche ragioni di convenienza possano essere idonee a configurare il requisito in esame, in quanto i ritmi della vita quotidiana possono integrare la necessità dell’esposizione, come è per la ragione lavorativa in esame.

Per altro la necessità è da intendersi in senso relativo e non assoluto e ricomprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni (Sez. 5, n. 15386 del 06/03/2014, Cesaria, Rv. 260216 – 01).

In tal senso, questa Corte rileva come la necessità dell’esposizione possa essere riconosciuta per la sosta non solo momentanea, ma anche più prolungata, purché temporanea, come nel caso in esame dalle ore del pomeriggio fino alle ore 18.35, ora del furto.

Né, nel caso in esame, vi era esposizione per trascuratezza, in quanto la bicicletta era sottoposta a una vigilanza saltuaria da parte della proprietaria che essendo parcheggiata a ridosso del locale ove la stessa lavorava quale titolare.

Una bicicletta, in definitiva, è esposta per necessità, e non già per consuetudine, alla pubblica fede quando il detentore la parcheggi lungo la strada per una sosta connessa ad una esigenza temporanea non altrimenti risolvibile, appunto per questa necessitata, sottoponendola a una vigilanza anche saltuaria.

Pertanto può affermarsi che in tema di reati contro il patrimonio sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., “sub specie” di esposizione per necessità alla pubblica fede, nel caso in cui si verifichi il furto di una bicicletta parcheggiata sulla pubblica via, la quale deve intendersi esposta, per necessità e non già per consuetudine, alla pubblica fede quando il detentore la parcheggi per una sosta anche prolungata, purché temporanea, a ridosso del proprio esercizio commerciale, allorché l’esposizione non sia determinata da ragioni di mera comodità o di mera trascuratezza.

Ne consegue, alla luce del consolidato orientamento maturato proprio in relazione alle biciclette collocate sulla pubblica via, per ragioni di necessità, l’inammissibilità del motivo.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.

La censura deduce che la motivazione relativa alla valutazione di equivalenza fra le circostanze e quella inerente la quantificazione della pena si fondi sull’unico elemento dei precedenti penali, dunque valutati due volte — operazione per altro non vietata — per le due pregresse delibazioni.

In vero la Corte territoriale fonda congruamente la conferma del giudizio di equivalenza sulla rilevanza dell’aggravante contestata e sulla gravità del fatto, quindi non solo sui precedenti penali.

Quanto al trattamento sanzionatorio richiama l’art. 133 cod. pen. e i suoi parametri, in questo caso i precedenti penali, anche di notevole gravità, la spregiudicatezza della condotta, la negativa personalità e il generale comportamento dell’imputato, dimostratosi noncurante rispetto alle pregresse esperienze giudiziarie.

La Corte offre quindi una articolata e logica motivazione che pertanto, essendo le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze implicanti una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità, perché non è frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico ed è o sorretta da sufficiente motivazione (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450 – 01).

Anche in merito alla quantificazione della pena, la motivazione è congrua e per altro la pena di mesi otto di reclusione ed euro 140 di multa risulta ben al di sotto della pena media, oltre la quale sarebbe necessaria una motivazione adeguata, per altro nel caso in esame già esistente.

Infatti non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 – 01), perché quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).

Requisiti motivazionali, per altro sussistenti nella sentenza impugnata„ che conducono alla declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10/05/2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.