Ottiene con l’inganno un decreto ingiuntivo: non è configurabile il delitto di truffa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 23 settembre 2022, n. 35943).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLA Sergio – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CERSOSIMO Emanuele – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

dalla parte civile (OMISSIS) Valentina nato a Milano il 19/01/19xx;

dalla parte civile (OMISSIS) Alessandro nato a Milano il 04/06/19xx;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) Santos Eleonora nata a Kharkiv il 05/04/19xx;

avverso la sentenza del 13/01/2021 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Emanuele CERSOSIMO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Felicetta MARINELLI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte civile (OMISSIS) Valentina, Avv. Luigi (OMISSIS) che insistito nell’accoglimento del ricorso;

udito il difensore della parte civile (OMISSIS) Alessandro, Avv. Luigi (OMISSIS) che insistito nell’accoglimento del ricorso;

udito il difensore dell’imputata, Avv. Gisella (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Difensore delle parti civili (OMISSIS) Valentina e (OMISSIS) Alessandro propone ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano, in data 13 gennaio 2021, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Monza, ha assolto (OMISSIS) SANTOS Eleonora dal reato di cui agli artt. 56 e 640, cod. pen.

2. I ricorrenti lamentano, con l’unico motivo di impugnazione, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56 e 640 cod. pen. nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento di una prova decisiva.

Secondo la difesa i giudici dell’appello si sono limitati a riportarsi in modo apodittico a quanto contenuto nella sentenza di primo grado; le condotte poste in essere dall’imputata erano, invece, idonee a trarre in inganno anche le parti civili e non solo il giudice civile, come peraltro desumibile dalla semplice lettura del capo di imputazione e dalla natura progressiva del delitto di truffa.

La Corte territoriale ha travisato prove decisive, ignorando che l’imputata ha notificato il decreto ingiuntivo dapprima a (OMISSIS) Gianpiero ed, in seguito al suo decesso, agli eredi (OMISSIS) Alessandro e (OMISSIS) Valentina, circostanze comprovate dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni rese sul punto da (OMISSIS) Alessandro e (OMISSIS) Giorgio.

A giudizio dei ricorrenti sussiste violazione di legge in quanto l’attività ingannatoria ha avuto come iniziale destinatario il giudice civile per poi estendersi alle odierne parti civili.

Le condotte truffaldine dell’imputata non hanno raggiunto la consumazione solo perché casualmente le persone offese sono venute a conoscenza del pregresso pagamento da parte del defunto padre e non hanno pagato la somma indicata nel decreto ingiuntivo.

3. Il difensore dell’imputata ha depositato memoria difensiva con la quale ha sottolineato che le parti civili erano pienamente a conoscenza della situazione patrimoniale e dei movimenti finanziari del defunto padre.

La procedura esecutiva non era finalizzata ad ottenere un atto volontario di disposizione patrimoniale dagli eredi del (OMISSIS) ma ad acquisire un atto giudiziale con conseguente insussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è meramente reiterativo di identiche questioni giuridiche poste con l’atto di appello, alle quali la pronuncia impugnata ha fornito puntuale risposta.

Va ricordato, in proposito, che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce.

Tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale (e quindi con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sez. 6, n. 20377 dell’11/03/2009, Rv. 243838 – 01_ e Sez. 6, n. 22445 dell’08/05/2009, Rv. 244181 – 01).

Risulta, pertanto, di chiara evidenza che se il motivo di ricorso, come nel caso di specie, si limita a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.

2.1. La Corte territoriale, con motivazione logica e conforme ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ha correttamente qualificato le condotte descritte nel capo di imputazione e, di conseguenza, ritenuto la non configurabilità del reato di truffa.

2.2. Questo Collegio condivide il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione secondo cui non è configurabile la truffa processuale nel caso in cui l’agente ottenga una decisione a lui favorevole in un giudizio civile, mediante artifici e raggiri idonei a trarre in inganno il giudice procedente; tale condotta non integra, infatti, uno degli elementi essenziali del delitto previsto e punito dall’art. 640 cod. pen. ossia il compimento di un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto tratto in inganno dalla condotta illecita posta in essere dall’imputato (vedi fra le altre Sez. 2, n. 39314 del 09/07/2009, Rv. 245291- 01: «La condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto dell’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita all’emissione di un decreto ingiuntivo, poiché quest’ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale»).

La pronuncia del provvedimento monitorio costituisce, quindi, esercizio della funzione giurisdizionale, esplicazione di un potere di natura pubblicistica che incide nella sfera di autonomia patrimoniale riconosciuta ai privati dall’ordinamento.

2.3. Nel caso di specie l’imputata, dopo aver ottenuto in modo fraudolento l’emissione di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto somme di denaro che non le spettavano, ha posto in essere una serie di condotte (notifica del decreto ingiuntivo al (OMISSIS) in un indirizzo diverso da quello di dimora, notifica agli eredi (OMISSIS) Alessandro e Valentina del decreto ingiuntivo e dell’atto di precetto, pignoramento di parte dell’asse ereditario) necessarie a portare ad esecuzione il provvedimento giurisdizionale indebitamente ottenuto.

È, pertanto, evidente che il soggetto indotto in errore dall’imputata è esclusivamente il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo e non gli eredi del (OMISSIS) in considerazione dell’effettiva emissione del provvedimento giurisdizionale, provvedimento che, seppur viziato dalla mancata legittimazione della ricorrente, rendeva il pagamento della somma da parte delle odierne parti civile un atto necessitato.

La natura giurisdizionale del decreto ingiuntivo non permette, pertanto, di ritenere la disposizione patrimoniale cui erano tenuti gli odierni ricorrenti come atto espressivo di autonomia privata con conseguente insussistenza dell’elemento materiale del reato di truffa.

Perché si possa parlare di atto di disposizione patrimoniale idoneo a perfezionare l’elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 640 cod. pen., è, infatti, necessario che la persona offesa, a causa di un errore indotto da una condotta fraudolenta, ponga in essere un atto volontario causativo di un proprio danno patrimoniale (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi, Rv. 251499 – 01).

Le ulteriori condotte poste in essere dall’imputata e denunciate dai ricorrenti sono state, invece, poste in essere in un momento successivo al perfezionamento del raggiro con cui è stato tratto in inganno il giudice civile, non potendosi ritenere fraudolenta l’attività di esecuzione forzata correlata ad un decreto ingiuntivo realmente esistente anche se illecitamente ottenuto; provvedimento, quindi, valido ed efficace sino all’eventuale revoca da parte dell’autorità giudiziaria (vedi Sez. 2, n. 52730 del 09/12/2014, Rv. 263993 – 01).

2.4. I ricorrenti, a fronte delle argomentazioni, logiche e coerenti, formulate dalla Corte di appello, invocano una rilettura degli elementi, posti a fondamento della decisione, e l’adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione, richiesta che deve esser rigettata perché contraria ai principi di diritto cui si è trattato in precedenza.

Anche il travisamento della prova lamentato dai ricorrenti non è ravvisabile in quanto i giudici dell’appello non hanno negato che il predetto decreto ingiuntivo sia stato notificato al defunto (OMISSIS) ed ai suoi eredi, ma si sono determinati ad affermare, facendo buon uso dei principi di diritto sopra esposti, l’inidoneità di tali condotte a perfezionare gli elementi costitutivi del reato di truffa.

3. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 22 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.