Se l’autorità giudiziaria ritarda la scarcerazione, è dovuta la riparazione per ingiusta detenzione (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 14 marzo 2024, n. 10671).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. MICCICHÉ Loredana – Consigliere –

Dott. MARI Attilio – Consigliere –

Dott. RICCI Anna Luisa Angela – Relatore –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

nel procedimento contro:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a NAPOLI il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Firenze ha accolto la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di (omissis) (omissis) (omissis) con riferimento alla detenzione da costui subita per un periodo di 85 giorni, dal 03.03.2021 al 27.05.2021.

1.1. Con ordine di esecuzione del 17.06.2020 la pena da espiare da parte del (omissis) (omissis) (omissis) era stata calcolata in anni 2 mesi 7 giorni 28 ed il fine pena era stato individuato al 04.09.2022.

In data 07.12.2020 (omissis) (omissis) aveva presentato istanza di applicazione della continuazione in sede esecutiva ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. con riferimento ad alcune delle sentenze di condanna ricomprese nel predetto ordine di esecuzione: l’udienza in camera di consiglio si era svolta il 26.02.2021 e la Corte aveva riservato la decisione.

Nelle more della istanza e della fissazione dell’udienza, in data 10 12.2020, la Corte di Appello di Firenze aveva revocato la condanna ad un anno d reclusione emessa dal Tribunale di Firenze il 15.05.2012 (in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del 2019 con cui era stata dichiarata la illegittimità dell’art. 75 comma 2 del d.lgs 159/2011) e la Procura Generale aveva ricalcolato il fine pena al 06.06.2021.

Con provvedimento del 27.05.2021 il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso 45 giorni di liberazione anticipata e (omissis) (omissis) era stato immeditatamente scarcerato.

Infine il 23.08.2021, dopo che il condannato aveva sollecitato, già nel mese di aprile lo scioglimento della riserva assunta all’udienza del 26.02.2021, la Corte di Appello aveva accolto la richiesta di riconoscimento della continuazione e ridotto la pena detentiva complessiva da anni 2 mesi 2 di reclusione e 2 mesi di arresto, ad anni 1, mesi 3, giorni 10 di reclusione.

1.2. La Corte della riparazione ha accolto la richiesta di indennizzo, rilevando che, se il provvedimento con cui era stata riconosciuta la continuazione fosse stato emesso nel termine ordinatorio di cinque giorni di cui all’art. 128 cod. proc. pen., il condannato sarebbe stato liberato in data 03.03.2021 con la conseguenza che la carcerazione subita da tale data fino a quella in cui era stato liberato dal Tribunale di Sorveglianza, 27.05.2021, doveva essere ritenuta ingiusta.

2. Avverso l’ordinanza della Corte di Appello, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ha proposto ricorso formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione.

Il ricorrente osserva che al momento della esecuzione esisteva un ordine di esecuzione legittimo e che le vicende successive, quali il riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata e della continuazione non sono di per sé idonee ad incidere sulla legittimità dell’ordine di esecuzione e, dunque, sulla valutazione della ingiustizia della detenzione: quest’ultima diviene rilevante solo allorché si innesti su un errore dell’autorità procedente che, per definizione, non può mai rinvenirsi nell’esercizio di un potere discrezionale e che, quindi, va ricercato nelle eventuali violazione di legge.

Nel caso di specie secondo il Ministero non poteva dirsi che l’autorità procedente fosse incorsa in una violazione di legge, posto che la mancata osservanza dei termini ordinatori non può in alcun modo tradursi in elementi di illegittimità dell’ordine di esecuzione di pene concorrenti.

A conferma di tale assunto, osserva che il mancato rispetto di un termine rende privo di efficacia il provvedimento restrittivo della libertà personale nei soli casi previsti dalla legge.

3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Dott. Domenico A.R. Seccia, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Si deve innanzitutto ricordare che con la sentenza n. 310 del 18-25 luglio 1996 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.314 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e violazione dell’art. 5 della Convenzione EDU, il quale prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste, senza distinzione di sorta.

Tuttavia, in ordine ai presupposti per il riconoscimento del diritto, la Corte Costituzionale non si è pronunziata: in conseguenza, il compito è stato rimesso all’interprete.

E’ stato inizialmente adottato un criterio, in base al quale il diritto alla riparazione non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile (Sez. 4 n. 3382 del 22/12/2016, dep.2017, Riva, Rv. 268958; n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, Laratta, Rv. 269168).

Tale indirizzo faceva espresso rinvio alla sentenza Corte Cost. n. 219 del 2 aprile 2008 con la quale la Consulta (in un caso di pena definitivamente inflitta in misura inferiore alla custodia cautelare sofferta) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui condizionava il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, ritenendo che in quella sede, in definitiva, il giudice delle leggi avesse legittimato le soluzioni offerte dal giudice di legittimità con riferimento ai casi di reati prescritti ovvero ai casi di amnistia e remissione di querela.

Sulla scorta di tale lettura del dato normativo, quindi, si era ritenuto che, in tali ipotesi, il diritto alla riparazione potesse essere riconosciuto, ove la durata della custodia cautelare sofferta fosse superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile o irrogata, ma solo nei limiti dell’eccedenza (Sez. 4 n. 3382/2017, Riva, cit. in motivazione, che richiama anche Sez. 4 n. 15000 del 19/2/2009, Cicione, Rv.243210).

Con la conseguenza che il diritto all’equa riparazione veniva, invece, escluso in tutti i casi in cui la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e pena eseguita conseguisse a vicende posteriori alla condanna, connesse al reato o alla pena (Sez. 4 n. 40949 del 23/4/2015, D’Aguì, Rv. 264708, principio affermato in relazione ad un caso di ammissione al beneficio della liberazione anticipata, cui era conseguita la riduzione della pena originariamente inflitta con eccedenza, quindi, della detenzione subita in concreto dal condannato).

Nelle successive pronunce, tuttavia, la Corte di legittimità si è orientata nel senso di riconoscere rilievo anche alle vicende successive alla condanna e inerenti l’esecuzione.

La sentenza Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, Parischiva e altro, Rv. 271689 ha illustrato le plurime fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo – o divenuto tale successivamente – per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato, nelle quali questa Corte, in applicazione dei predetti principi, ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione:

a) ordine di esecuzione legittimamente emesso, ma relativo a pena che, a causa del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, si era poi estinta ex art. 172 cod. pen. (senza che rilevasse l’assenza di un’espressa declaratoria di estinzione della pena) (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli,Rv. 264895);

b) ordine di esecuzione relativo a pena già estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240);

c) periodo di detenzione eccedente a quello risultante dall’applicazione della liberazione anticipata, in conseguenza di un ordine di esecuzione non ancora aggiornato al nuovo fine pena (Sez. 4, n. 18542 del 14/01./2014, Truzzi, Rv. 259210);

d) tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata, per il periodo di detenzione ingiustamente sofferto (Sez. 4; n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617).

Si sono, poi, aggiunti altri casi, quale quello della esecuzione sofferta in virtù di ordine di esecuzione legittimo, ma successivamente revocato per effetto di provvedimento di restituzione in termini per proporre impugnazione e successiva assoluzione (Sez. 4, n. 54838 del 13/11/2018, Panait Murs, non massimata), di applicazione dell’isolamento diurno per erronea predisposizione di ordine di esecuzione (Sez. 4, n. 18358 del 10/01/2019, Mafodda, Rv. 276258) e di sentenza dichiarativa di non doversi procedere per ne bis in idem pronunciata ai sensi dell’art. 649 comma 2, cod. proc. pen., a seguito della rescissione del precedente giudicato in ragione della nullità del decreto di latitanza (Sez. 4, n. 42328 del 02/05/2017, Saulo, Rv. 270818).

La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha effettuato un’ampia ricognizione della casistica delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di detenzione ingiusta (soprattutto in tema di liberazione anticipata), tutte convergenti nel senso della più ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell’esecuzione della pena.

Il criterio interpretativo attualmente prevalente, che il Collegio condivide, impone di riconoscere il diritto alla riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. anche ove l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la correlata data del termine di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, Marinkovic, Rv. 281151 – 01; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, Paraschiva, Rv. 271689), con la precisazione che la detenzione sine titulo legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo qualora si verifichi violazione di legge da parte dell’autorità procedente e non anche qualora la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all’esercizio di un potere discrezionale (nel medesimo senso Sez. 4, n.250’92 del 25/05/2021, Iorio, Rv. 281735).

Tale indirizzo interpretativo si fonda sulla distinzione fra il piano della irrevocabilità della condanna da quello della definitività della pena.

Nel vigente sistema processuale (che attribuisce grande spazio agli interventi del giudice dell’esecuzione e del magistrato di sorveglianza sul trattamento sanzionatorio), i concetti di pena definita da pronuncia irrevocabile e quello di pena definitiva (per tale potendosi intendere solo quella determinata all’esito della complessiva gestione giudiziale del trattamento sanzionatorio) non possono, dunque, ritenersi coincidenti (Sez. 4 n.57203/17 cit., in motivazione; sez 4 n. 37234 del 28/09/2022, Pansera, non massimata).

3. Non si può qualificare come ingiusta una detenzione sofferta in eccedenza rispetto alla pena in conseguenza dell’ esercizio del potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto di diverse sentenze, in quanto in tale ipotesi la detenzione patita in eccesso e solo “fisiologica” conseguenza della rideterminazione della pena in sede esecutiva da parte del giudice della esecuzione.

4. Nel caso in esame, tuttavia, è stata riconosciuta ingiusta non già la detenzione subita per effetto della rideterminazione della pena in esito al riconoscimento della continuazione, bensì quella subita in eccedenza in conseguenza del tempo intercorso fra la data in cui il provvedimento decisorio a seguito dell’udienza camerale avrebbe dovuto essere depositato e la data in cui detto provvedimento era stato effettivamente depositato.

Occorre muovere dal rilievo che già si è affermato che la tardiva esecuzione di un ordine di scarcerazione per liberazione anticipata determina l’ingiustizia della detenzione sofferta fino alla concreta liberazione del detenuto e costituisce titolo per la domanda di riparazione (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617; Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, Truzzi, Rv. 259210 in cui il ricorrente era stato scarcerato con cinque giorni di ritardo per “disguidi vari” dell’ufficio requirente competente all’emissione dell’ordine di scarcerazione) e che può assumere rilievo ai fini della riparazione il ritardo di quarantanove giorni con cui si era data esecuzione al provvedimento del Tribunale di Sorveglianza che aveva ammesso il detenuto all’affidamento in prova al servizio sociale (Sez. 4 n. 24032 de 24/05/2023 non massimata).

In tali casi si è sostenuto che viene in rilievo una illegittimità, non originaria, ma sopravvenuta dell’originario ordine di esecuzione, per cui trova applicazione il dictum della sentenza, della Corte Costituzionale n. 310 del 1996.

La rilevanza riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della riparazione, all’ingiustificato ritardo nella esecuzione di un ordine di scarcerazione si fonda su presupposti, quale il rilievo del bene della libertà personale costituzionalmente tutelato (si vedano le sentenze Sez 4 n. 47993 dei 30/09/2016, Pittau cit. e Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, Truzzi), che possono essere trasposti anche all’ingiustificato ritardo nella adozione del provvedimento che determina la scarcerazione.

La valutazione operata dalla Corte, per cui il notevole ritardo con cui i giudici avevano sciolto la riserva assunta all’udienza e depositato l’ordinanza con cui era stata riconosciuta la continuazione aveva determinato la ingiustizia della detenzione sofferta in tale periodo, appare coerente e non censurabile.

L’art. 128 cod. proc. pen. impone, infatti, al giudice di depositare i provvedimenti, assunti a seguito di udienza camerale, in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione.

Si tratta di termine, in via generale, ordinatorio, al cui rispetto il giudice è tenuto ai sensi dell’art. 124 cod. proc pen., che impone ai magistrati (oltre che ai cancellieri e altri ausiliari e collaboratori del giudice, agli ufficiali giudiziari, agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria) di osservare le norme del codice di rito, anche quando la inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale.

Laddove, come nel caso in esame, il provvedimento sia stato depositato a distanza di mesi, senza che fossero ravvisabili esigenze istruttorie o di acquisizione di atti, la carcerazione subita nel lasso di tempo intercorrente fra il momento in cui la decisione avrebbe dovuto essere assunta e il momento in cui è stata effettivamente assunta deve ritenersi ingiusta.

In altri termini l’ingiustizia della detenzione che determina il diritto alla riparazione deve ritenersi configurabile anche nel caso in cui vi sia un ingiustificato e significativo ritardo da parte dell’autorità giudiziaria nella adozione di una decisione che determina la scarcerazione, ovvero un ritardo, imputabile eventualmente anche al personale di cancelleria e segreteria, nella esecuzione del provvedimento di scarcerazione, posto che anche in tale casi di determina, secondo la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, una illegittimità sopravvenuta dell’ordine di esecuzione originario.

5. Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deciso il 13 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.