Se l’imputato vuole la traduzione della sentenza ha tempo dieci giorni per richiederla (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 9 giugno 2022, n. 22456).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. RECCHIONE Sandra – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LUCKY (OMISSIS) nato il 20/02/19xx;

avverso la sentenza del 18/12/2020 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SANDRA RECCHIONE;

Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 comma 8 del D.L. n. 137 del 2020 il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Maria Emanuela Guerra ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli confermava la condanna del ricorrente per i reati a lui ascritti.

Non traduceva la sentenza in lingua inglese.

2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva violazione di legge (art. 143 cod. pen.): la mancata traduzione degli atti del processo, a partire dall’avviso di conclusione delle indagini preliminare fino alla sentenza di primo grado avrebbe generato delle nullità assolute; non era stata tradotta in lingua nota all’imputato neanche la sentenza di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorrente ha dedotto – solo con il ricorso per cassazione – che non erano stati tradotti in lingua nota all’imputato (a) l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, (b) l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, (c) entrambe le sentenze di merito.

Si deduceva altresì che, nel corso del giudizio di primo grado, il ricorrente non era stato assistito da un’interprete.

Secondo il ricorrente tali violazioni del diritto di partecipare in modo consapevole al processo avrebbero prodotto delle nullità assolute.

Il collegio osserva quanto segue.

2. La violazione del diritto di difesa nella sua declinazione di diritto a prendere parte consapevolmente al processo si configura in modo differente a seconda che lo stesso riguardi:

(a) l’assistenza di un interprete nel corso del processo;

(b) la traduzione di atti “non impugnabili”, come l’avviso di conclusione delle indagini preliminari o i decreti di fissazione delle udienze;

(c) la traduzione di atti “impugnabili”, come le sentenze o le ordinanze che impongono misure cautelari personali.

2.1. Con riguardo alla traduzione degli atti non impugnabili ed al diritto ad essere assistito da un interprete nel corso della udienze la Cassazione ha affermato che se la omissione della assistenza linguistica (traduzione orale o scritta) genera in concreto una lesione del diritto di difesa, si produce una nullità generale a regime intermedio, soggetta all’ordinario regime di sanatorie.

Così è stato deciso -con decisione assunta prima dell’intervento del D.Lgs. 4 marzo 2014 n. 32, che ha provveduto all’adeguamento della normativa interna alla direttiva n. 2010/64/UE – che l’omessa traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all’indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio sottoposta all’ordinario regime di sanatorie previsto per tale categoria di nullità (Sez. U, Sentenza n. 39298 del 26/09/2006, Cieslinsky, Rv. 234835 – 01).

Tale autorevole approdo ermeneutico si ritiene estensibile, anche dopo la riforma, a tutti gli atti “non impugnabili”, sempre che emerga che la mancata traduzione abbia prodotto una lesione concreta del diritto di difesa (di recente è stato confermato, tra l’altro, da Sez. 6 , Sentenza n. 30143 del 07/07/2021, Li Min, Rv. 281705; nello stesso senso: Sez. 5, Sentenza n. 48916 del 28/09/2016, Dutu, Rv. 268371).

La necessità che l’omessa traduzione leda in concreto le prerogative difensive è stata riaffermata recentemente dalla giurisprudenza secondo cui l’avviso di fissazione dell’udienza camerale nel giudizio di appello non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario, non contenendo il suddetto avviso alcun elemento di accusa, ma solo la data dell’udienza fissata per l’esame del gravame proposto dallo stesso imputato o dal suo difensore (Sez. 6, n. 46967 del 4/11/2021, Muhammad, Rv. 282388-01Sez. 6, Sentenza n. 34402 del 14/05/2010, Mengouchi, Rv. 248240).

Del pari: anche la omessa nomina dell’interprete nei casi in cui sia necessario disporla può determinare una lesione del diritto di difesa, che genera una nullità generale a regime intermedio che deve essere eccepita prima del compimento dell’atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata, né dedotta, dopo la richiesta di definizione del giudizio nelle forme dell’abbreviato (Sez. 6, Sentenza n. 10444 del 19/01/2017, Aissat, Rv. 269382 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 26078 del 09/06/2016, Ka, Rv. 267157; Sez. 3, Sentenza n. 30891 del 24/06/2015, H., Rv. 264330 – 0).

2.2. Nel caso in esame il ricorrente non ha tempestivamente dedotto, rappresentando quale fosse la concreta lesione prodotta, né la mancata traduzione degli avvisi (di conclusione delle indagini e di fissazione dell’udienza preliminare), né la mancata nomina dell’interprete nel corso del giudizio di primo grado: le nullità – generali a regime intermedio – correlate alle denunciate omissioni devono, pertanto, ritenersi sanate ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen.

3. Il diritto alla traduzione si atteggia in modo diverso in relazione agli atti impugnabili e, segnatamente, alle sentenze di merito.

3.1. La Cassazione è univoca nel ritenere che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto non configura un’ipotesi di nullità, conseguendone unicamente l’effetto del mancato decorso dei termini di impugnazione, poiché la traduzione integra una condizione di “efficacia” e non di “validità” dell’atto (Sez. 5, Sentenza n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, Rv. 279447; Sez. 5, Sentenza n. 10993 del 05/12/2019 dep.2020, Chanaa, Rv. 278883 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 45408 del 17/10/2019, Kartivazde, Rv. 277775; Sez. 3, Sentenza n. 3859 del 18/11/2015, Omaruyi, Rv. 266086 – 01; ha ritenuto insussistente la nullità con riguardo alla mancata traduzione del decreto di espulsione Sez. 1, Sentenza n. 32504 del 19/05/2021, Singh, Rv. 281763 – 01).

Si segnala che l’approdo – condiviso – dell’insussistenza della nullità è state raggiunto anche tracciando percorsi argomentativi che il collegio non intende ricalcare, come quando si è ritenuto che l’omessa traduzione della sentenza di appello non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 cod. proc. pen., ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 15056 del 11/03/2019 Nasim, Rv. 275103 – 01): si tratta di una scelta ermeneutica che non tiene conto del fatto che l’imputato è comunque titolare del diritto all’impugnazione anche se il ricorso per cassazione può essere proposto “solo attraverso” la mediazione del difensore.

La Corte, nella sua composizione più autorevole, ha infatti affermato che va tenuta distinta la legittimazione all’impugnazione4 dalle modalità di proposizione del ricorso, attenendo la prima alla titolarità sostanziale del diritto a ricorrere e la seconda al suo concreto esercizio, per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore (Sez. U, Sentenza n. 8914 del 21/12/2017, dep.2018, Aiello, Rv. 272010 – 01).

Non si condivide neanche il percorso argomentativo tracciato da quella giurisprudenza che sostiene che, in caso di impugnazione ritualmente proposta dal difensore di fiducia di un imputato alloglotto, avente ad oggetto un provvedimento di cui è stata omessa la traduzione, può configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte dell’imputato, solo qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Sez. 6, Sentenza n. 25276 del 06/04/2017, Money, Rv. 270491 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 22814 del 10/05/2016, Pannatier, Rv. 267941 – 01).

Invero l’imputato che non conosce il contenuto del provvedimento, non può rappresentare al difensore le ragioni del pregiudizio in ipotesi patito, né il difensore può sostituirlo nella valutazione, dato che solo l’alloglotto può indicare al mediatore tecnico le ragioni di iniquità del provvedimento da impugnare da lui percepite; ma può farlo (solo) se ha avuto la possibilità di leggere il provvedimento, in ipotesi lesivo, tradotto nella lingua a lui nota.

Da ultimo: non si ritiene condivisibile l’interpretazione secondo cui spetta in via esclusiva all’imputato alloglotto, e non al suo difensore, la legittimazione a rilevare la violazione dell’obbligo di traduzione della sentenza, previsto dall’art. 143 cod. proc. pen. al fine di consentire allo stesso l’esercizio di un “autonomo” potere di impugnazione ex art. 571 dello stesso codice (Sez. 2, Sentenza n. 32057 del 21/06/2017, Rafik, Rv. 270327 – 01): si tratta di interpretazione che (a) non risolve il problema dell’imputato “ignaro”, ovvero non posto in condizioni di comprendere il contenuto della sentenza; (b) per quanto riguarda il giudizio di legittimità non tiene conto dalla sopravvenuta modifica degli arti. 571 e 613 cod. proc. pen..

3.2. Il collegio intende dare continuità all’indirizzo, invero prevalente e consolidato, secondo cui la mancata traduzione dell’atto non produce nessuna nullità (né assoluta, né a regime intermedio), dato che non è una condizione di validità dell’atto, ma di “efficacia” dello stesso.

La traduzione ha, infatti, il limitato effetto di consentire all’imputato di prendere cognizione del percorso argomentativo posto a sostegno della decisione e di verificare – sulla base del suo personale bagaglio cognitivo – se la stessa sia iniqua.

E’ cioè solo funzionale a garantire l’esercizio consapevole del diritto di impugnazione da parte dell’imputato e produce il limitato effetto di far decorrere i relativi termini dal momento in cui questi abbia preso cognizione dell’atto nella lingua a lui nota.

3.3. Si tratta di un approdo ermeneutico che merita di essere aggiornato, attraverso la identificazione di specifici oneri in capo all’ alloglotto che viene a conoscenza del difetto di traduzione.

Lo “slittamento” del termine per impugnare genera infatti alcune anomalie.

(a) In primo luogo produce l’effetto di ostacolare il passaggio in giudicato delle decisioni: poiché la definitività del giudizio dipende dall’ “esaurimento” delle impugnazioni, e visto che il termine per impugnare non decorre se l’imputato non viene a conoscenza della sentenza tradotta la decisione rischia di non passare in giudicato.

La definitività della decisione dipende infatti da una “azione” processuale – il conferimento dell’incarico all’interprete e la correlata traduzione – che, se non sollecitata, potrebbe non essere effettuata, con conseguente pendenza sine die del termine per impugnare e difetto di esecutività della sentenza.

(b) In secondo luogo genera il decorso asimmetrico del termine per impugnare, e dà vita ad un processo diacronico che, ove la distanza temporale tra la prima e la seconda impugnazione sia significativa, confligge con il principio della ragionevole durata del processo previsto dell’art. 111 della Carta fondamentale e dall’art. 6 della Convenzione Edu.

3.4. Sia il possibile “congelamento” (in ipotesi sine die) del diritto di impugnazione dell’alloglotto sia l’eventuale sviluppo diacronico del processo* confliggono con il principio di ragionevole durata dello stesso.

E possono essere evitati se si individua lo strumento processuale idoneo a far valere il diritto alla traduzione.

Strumento che il collegio ritiene sia previsto dall’art. 175 del codice di rito che disciplina, in via generale, la “restituzione nel termine”.

Di seguito i passaggi che segnano il percorso logico che conduce a ritenere necessario che il diritto alla traduzione debba essere tutelato attraverso il necessario ricorso allo strumento restitutorio previsto dall’art. 175 cod. proc. pen.:

(a) la mancata traduzione della sentenza non produce la sua nullità, ma solo lo “slittamento” del termine di impugnazione, che (ri)decorre dalla comunicazione della sentenza in lingua nota all’imputato;

(b) la omissione della traduzione non dipende dall’imputato, ma da una inefficienza dell’amministrazione idonea a configurare una “causa di forza maggiore”, ovvero un evento non gestibile dall’alloglotto, che tuttavia inibisce l’esercizio tempestivo del suo diritto di impugnazione;

(c) lo strumento previsto per contrastare eventi indipendenti dalla volontà dell’imputato (nel caso di specie, la omessa traduzione), che impediscono il tempestivo esercizio dei suoi diritti processuali, è l’art. 175 cod. proc. pen. che disciplina la restituzione nel termine.

Tale articolo prevede che, entro giorni dalla data nella quale è cessato l’evento ostativo, la parte interessata può chiedere di essere rimesso in termini.

Per attivare lo strumento in questione nel caso di omessa traduzione della sentenza, deve, in primo luogo, essere decorso il termine del quale si chiede la restituzione, ovvero quello previsto dall’art. 585 cod. proc. pen. ed, in secondo luogo, essere cessata la causa di forza maggiore che ostacola l’esercizio del diritto di impugnazione.

Per ritenere “cessata” l’inerzia dell’amministrazione nel disporre la traduzione occorre individuare il segmento temporale entro il quale la stessa “deve” essere disposta.

Il collegio ritiene che tale segmento decorra dal deposito (effettivo, dunque anche tardivo) della sentenza in italiano e non possa eccedere il tempo indicato dal codice di rito per proporre l’impugnazione dell’atto (non tradotto).

L’identificazione di uno spazio temprale definito per l’adempimento dell’onere di traduzione è frutto di una interpretazione conformativa orientata al rispetto del principio di ragionevole durata del processo.

Tale principio lisa una matrice che nel sistema delle fonti si colloca “sopra” le fonti legislative dato che è contenuto sia nella Carta costituzionale che nella Convenzione di Roma.

Ed a causa della sua matrice sovralegislativa è idoneo ad orientare l’interpretazione delle norme primarie, sempre che non si renda necessario proporre una questione di costituzionalità (tra le altre Corte cost. n. 49 del 2015).

Ebbene: la Corte Edu ha affermato che l'”esecuzione” di una sentenza deve essere considerata parte integrante del “processo” ai sensi dell’articolo 6 (Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40,) dato che solo quando il diritto rivendicato nel procedimento trova la sua effettiva conclusione il tempo del processo si conclude (Estima Jorge c. Portogallo, 21 aprile 1998, §§ 35-38; Martins Moreira c. Portogallo, 26 ottobre 1988, § 44 e di recente, Tabouret c. Francia del 22 maggio 2022).

Le chiare indicazioni che provengono dalla Corte di Strasburgo impongono di interpretare le fonti primarie che disciplinano il passaggio in giudicato delle sentenze e, dunque, la loro esecutività in conformità con il diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo che è richiamato anche dall’art. 111 della Costituzione.

Il collegio ritiene dunque che scaduto il termine per l’impugnazione della sentenza non tradotta l’imputato, preso atto dell’omessa traduzione, potrà chiedere la restituzione del termine per impugnare, sollecitando la traduzione.

Il nuovo termine decorrerà dalla comunicazione del provvedimento tradotto.

Tale scelta ermeneutica, oltre ad essere in linea con il principio di ragionevole durata del processo, assegna la giusta rilevanza processuale all’interesse “sostanziale” sotteso al diritto all’esercizio del impugnazione correlato alla cognizione dell’atto tradotto in lingua nota all’imputato. Interesse che, in ipotesi, potrebbe anche non sussistere.

E’ appena il caso di notare che, qualora alla scadenza del termine per impugnare (correlato al deposito della sentenza in italiano) la traduzione sia già stata disposta, ma non sia in concreto disponibile, la richiesta di restituzione non è necessaria e, ove proposta, sarà inammissibile per carenza di interesse; anche in questo caso il termine per impugnare decorrerà comunque dalla comunicazione all’imputato della sentenza in lingua a lui nota.

3.5. Si tratta di un epilogo ermeneutiche che:

(a) si colloca nel solco della giurisprudenza che ha affermato che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotta„ non integra ipotesi di nullità ma, se vi è stata specifica “richiesta” di traduzione, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Sez. 2, Sentenza n. 13697 del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444 – 01);

(b) non contrasta con la risalente decisione secondo cui è inammissibile l’istanza di restituzione nel termine per proporre appello avverso una sentenza sul presupposto della nullità della stessa per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotto, in quanto trattasi di motivo estraneo al modello procedimentale previsto dall’art. 175 cod. proc. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 16164 del 19/02/2013, S., Rv. 254903 – 01). Tale ultima affermazione si fonda sulla inidoneità dell’istituto della restituzione del termine a “sanare” nullità processuali: il punto è che – come si è più volte ribadito – l’omessa traduzione della sentenza non produce alcuna nullità, ma solo lo “slittamento” del termine per impugnare: tale riattivazione del diritto all’impugnazione deve essere tuttavia innescata da una richiesta di restituzione che esprima il concreto interesse dell’imputato alla conoscenza della motivazione della sentenza nella lingua a lui nota;

(c) contiene i termini di definizione del processo penale, nel rispetto del principio di ragionevole durata, tutelato sia dalla Convenzione europea dei diritti umani, che dalla nostra Carta fondamentale.

Diversamente opinando, come si è segnalato, si rischia di legittimare un processo diacronico di durata indefinita, se non anche lo slittamento sine die del passaggio in giudicato delle decisioni.

3.6. Si afferma pertanto che, quando non è stato adempiuto l’onere di traduzione della sentenza di primo grado o di quella di appello, l’imputato alloglotto può, se lo ritenga necessario, chiedere al Tribunale o alla Corte di appello la restituzione nel termine per impugnare correlato alla traduzione della sentenza; tale richiesta deve essere effettuata entro dieci giorni dalla scadenza del termine per impugnare, ogni volta che si accerti a l’omessa traduzione, o l’omesso conferimento dell’incarico all’interprete. Il termine decorrerà, in ogni caso, dalla comunicazione all’imputato della sentenza in lingua a lui nota.

3.7. Nel caso in esame non vi è stata, né in primo, né in secondo grado, alcuna richiesta di restituzione nel termine per impugnare. Il ricorso è pertanto infondato e deve essere rigettato.

4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il giorno 28 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.