Sì alla sanzione disciplinare per il dirigente che osserva un orario di lavoro diverso rispetto al settore di appartenenza senza averlo concordato (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 18 aprile 2023, n. 10394).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8806/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) che lo rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante, pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), che la rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente tra di loro;

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 2815/2017, depositata il 18/09/2017, R.G.N. 5352/2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2023 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

Rilevato che:

1. La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di (OMISSIS) spa e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da (OMISSIS) (OMISSIS) volta alla declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare conservativa inflittagli.

2. La Corte territoriale ha dato atto che la contestazione disciplinare aveva ad oggetto tre comportamenti così descritti:

“a) da verifiche recentemente effettuate sulle presenze in servizio del personale è stato rilevato che lei, nell’arco temporale preso a riferimento 1 luglio 2012 – 25 ottobre 2012 si è trattenuto presso la sua sede di lavoro ed ha quindi prestato la sua attività lavorativa, in maniera continuativa, in una fascia oraria diversa da quella del suo settore di appartenenza, rendendosi di conseguenza indisponibile rispetto alle esigenze organizzative manifestate dalla sua struttura nell’arco del normale orario di operatività della stessa. Ciò è avvenuto senza che vi fosse alcuna motivazione di lavoro e senza alcuna autorizzazione da parte del suo responsabile (segue prospetto dettagliato degli orari di entrata e di uscita nel periodo in questione);

b) rileviamo altresì che lei, convocato venerdì 12 ottobre 2012 dal suo responsabile tramite sistema aziendale Outlook a partecipare alla riunione del suo settore di appartenenza fissata per il 16 ottobre 2012 alle 11:00, non si presentava senza che vi fosse alcuna motivazione di lavoro e senza che avesse comunicato preventivamente l’assenza al suo responsabile;

c) rileviamo inoltre che lei il giorno 15 ottobre 2012 si è assentato dal servizio senza aver dato una comunicazione alla società e senza aver fatto pervenire alcun idoneo titolo giustificativo dell’assenza stessa, risultando pertanto per la suddetta giornata assente ingiustificato”.

3. I giudici di appello hanno escluso la genericità della contestazione disciplinare (peraltro non più dedotta in appello) sul rilievo che il lavoratore, difendendosi ampiamente nel merito, avesse mostrato di aver compreso esattamente gli addebiti; hanno riportato l’allegazione della società ricorrente, secondo cui l’orario di lavoro del (OMISSIS) si collocava tra le 08:30 e le 16:30 con flessibilità di circa un’ora sia all’ingresso che all’uscita; hanno rilevato come il lavoratore non avesse negato i fatti materiali contestati ma si fosse limitato ad invocare il principio inadimplenti non est adimplendum e ad assumere che, essendo egli stato demansionato (anzi privato di qualsiasi mansione), come giudizialmente accertato, non avrebbe posto in essere alcun comportamento illecito; sul presupposto che il lavoratore non potesse autodeterminare il proprio orario di lavoro, i giudici di appello hanno ritenuto violato l’obbligo primario del dipendente di mettere a disposizione le proprie energie lavorative in modo da rendere la prestazione dovuta; hanno escluso che fosse integrata la contestata sub b) poiché la società non aveva dato prova di aver convocato il (OMISSIS) per la riunione citata; hanno ritenuto in parte integrato l’addebito di cui alla lett. c), per la mancata preventiva comunicazione dell’assenza, in violazione dell’articolo 36, paragrafo 1, del c.c.n.l.

4. Avverso la sentenza (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

(OMISSIS) spa, ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

Considerato che:

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300/1970 per avere la Corte d’appello escluso la genericità della contestazione disciplinare sul solo rilievo per cui il lavoratore si sarebbe ampiamente difeso nel merito, senza considerare la mancata indicazione dell’orario di lavoro del settore in cui era inserito il (OMISSIS) soprattutto, la mancata indicazione delle esigenze indifferibili che il ricorrente avrebbe disatteso.

6. Il motivo non può trovare accoglimento.

7. La previa contestazione dell’addebito disciplinare ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione (così Cass. n. 9590 del 2018); si è aggiunto che spetta al lavoratore, che assume la genericità della contestazione, chiarire in che modo ne sia risultato leso il suo diritto di difesa (Cass. n. 30271 del 2022).

8. A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata che ha escluso il carattere generico della contestazione disciplinare anche facendo leva sull’ampia difesa nel merito svolta dal lavoratore “che ha mostrato di comprendere esattamente e nel dettaglio che cosa gli veniva contestato. 

9. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3 cod. proc. civ., violazione falsa applicazione dell’art. 17, comma 5, lettera a) del decreto legislativo n. 66 del 2003, della nota a verbale dell’articolo 26 c.c.n.l. Telecomunicazioni punto 2; violazione e falsa applicazione della lettera c) dell’accordo 16 luglio 2001.

Si assume che la Corte di merito abbia disapplicato la normativa richiamata da cui si evince che il personale inquadrato nel sesto e nel settimo livello non sia tenuto al rispetto di un orario giornaliero o settimanale minimo o massimo, essendo individuato quale personale con funzioni direttive.

10. Il secondo motivo è inammissibile perché pone la questione del ruolo direttivo rivestito del ricorrente e della mancata sottoposizione dello stesso all’obbligo di osservare un orario di lavoro, senza tuttavia indicare in che termini e in quali atti processuali tale questione, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, sia stata sollevata nei gradi di merito.

11. Come è noto, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018).

12. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la Corte di merito considerato che il ricorrente era costretto dal 2003 ad una situazione di totale inattività, come accertato dal Tribunale di Roma in separato procedimento; che non esistevano esigenze e richieste dell’azienda da portare a termine indifferibili e urgenti e difatti anche nella memoria di costituzione controparte non ha evidenziato l’attività che il dipendente era chiamato a svolgere; che la Corte di merito ha omesso di procedere alla valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, ai fini dell’articolo 1460 c.c.

13. Neppure questo motivo può trovare accoglimento.

Parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1460 c.c. e allega di aver subito un demansionamento, di essere stato costretto dal 2003 ad una totale inattività e che tale condotta illegittima di parte datoriale sarebbe stata accertata in un separato procedimento, ma non fornisce alcuna indicazione sul procedimento e sulla eventuale definizione dello stesso né la sentenza impugnata contiene un accertamento sul punto.

L’assenza delle necessarie allegazioni e prove di un inadempimento datoriale impedisce di ravvisare qualsiasi violazione della disposizione invocata. Le residue censure contestano in fatto l’esistenza di esigenze aziendali richiedenti la prestazione del lavoratore e non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

14. Con il quarto motivo di ricorso si addebita alla sentenza la violazione dell’art. 47 CCNL telecomunicazioni, che considera illecito disciplinare solo la mancata giustificazione dell’assenza entro il giorno successivo, essendo pacifico che il ricorrente aveva provveduto a giustificare l’assenza il giorno seguente; si assume inoltre che la Corte di merito abbia erroneamente applicato l’articolo 36 che riguarda solo il caso di assenza per malattia, mentre è pacifico che (OMISSIS) fosse assente per ferie.

15. Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione dell’art. 47 c.c.n.l. poiché non si confronta con la ratio decidendi della decisione d’appello, che ha riconosciuto l’avvenuta giustificazione dell’assenza il giorno successivo, come consentito dalla citata disposizione.

È inammissibile la dedotta violazione dell’art. 36 c.c.n.l. (relativo alle assenze per malattia) poiché il ricorrente allega di essersi assentato per ferie senza, tuttavia, indicare dove e come tale allegazione era stata fatta nei gradi di merito sì da provocare un accertamento sul punto, del tutto assente nella sentenza impugnata.

16. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato

17. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo, dichiarandosi esistenti i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto (Cass. U. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 700,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nell’adunanza camerale del 15.2.2023.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.