Si apposta davanti a un albergo e monitora proprietario e dipendenti: condannato per molestie (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 12 maggio 2022, n. 18894).

REPUBBLICA ITALIANA

A NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente –

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere –

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

Dott. TOSCANI Eva – Rel. Consigliere –

ha pronunciato il seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) SALVATORE nato a VALDERICE il 05/02/19xx;

avverso la sentenza del 27/05/2021 del TRIBUNALE di TRAPANI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa EVA TOSCANI;

preso atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. GIANLUIGI PRATOLA, ha, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137/2020, depositato requisitoria scritta ed ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Trapani in data 27/05/2021, ha giudicato Salvatore (OMISSIS), imputato della contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen., molestie commesse in danno di (OMISSIS) Davide, fino al 27.07.2017, in Valderice e, ritenuta la sua responsabilità, riconosciute le generiche, lo ha condannato alla pena di euro 200,00 di ammenda.

2. Ricorre Salvatore (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore di fiducia, affidando l’annullamento della sentenza a un unico motivo con il quale deduce la violazione dell’art. 660 cod. pen. e vizio di motivazione.

Il Tribunale si è limitato a riassumere i fatti e, di seguito, a citare la giurisprudenza di legittimità inerente la contravvenzione per cui è condanna, senza creare un «logico collegamento motivazionale» tra le due.

La condotta non può essere sussunta nell’alveo della contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen., siccome consistita in una mera presenza fisica passiva, non sorretta dalla finalità di arrecare molestia, avendo l’imputato posto in essere le condotte descritte in imputazione all’esclusivo fine di controllare un’eventuale asporto dalla struttura alberghiera dei beni immobili di proprietà di sua moglie, Maria Eleonora (OMISSIS), originaria socia del (OMISSIS).

3. Il Sostituto Procuratore generale, nella requisitoria scritta ex art. 23 d. I. n. 137 del 2020 e successive modificazioni, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto svolge censure manifestamente infondate e interamente versate in fatto.

1.2. Premesso che il reato di cui all’art. 660 cod. pen. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o molestia (Sez.1 n. 3758 del 07/11/2013. dep. 2014, Moresco, Rv. 258260), va sottolineato che la fattispecie contravvenzionale è integrata da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a determinare l’altrui molestia ed è, dunque, connotata sotto il profilo obiettivo, dall’effetto di importunare e dalla produzione di disturbo o di fastidio in conseguenza dell’interferenza nell’altrui sfera privata o nell’altrui vita di relazione.

Ciò premesso, nel caso di specie, il Tribunale ha in primo luogo dato conto della tipologia delle condotte (appostamenti all’esterno della struttura gestita da Davide (OMISSIS), scatto di fotografie alle auto in entrata e uscita e ai dipendenti, puntamenti ispettivi con un binocolo, tentativi di sottrazione degli arredi, pedinamento) quali emergenti dalla deposizione della persona offesa, adeguatamente valutata e della quale sono stati evidenziati gli elementi di riscontro, costituiti dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS), dalle quelle dell’informatore (OMISSIS), nonché dalle relazioni di servizio dei militari della locale Arma dei carabinieri, rispettivamente in data 21 e 25 luglio 2017.

In secondo luogo, con motivazione logica e articolata, ha chiarito che dette condotte avevano certamente disturbato il (OMISSIS) e i suoi dipendenti, alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali avevano diritto nello svolgimento del proprio lavoro, attraverso un’azione impertinente, indiscreta, invadente, senz’altro riconducibile nella nozione di petulanza.

Di tanto, la sentenza ha dato atto, ponendo in stretto collegamento i principi giurisprudenziali citati con le dichiarazioni testimoniali della persona offesa e delle ulteriori risultanze di prova, inferendone la responsabilità dell’imputato anche con ragionamento a contrariis rispetto all’originario coimputato (OMISSIS) Carmine Pietro, invece assolto, senza dunque incorrere nell’invocato vizio di motivazione, siccome mancante ovvero apparente.

1.3. Sono del pari manifestamente infondati gli argomenti difensivi spesi per contestare l’affermazione di responsabilità del ricorrente sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, che va identificato nella coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza dell’oggettiva idoneità di quest’ultima a molestare o disturbare il soggetto che la subisce, senza che possa rilevare, in quanto pertinente alla sfera dei motivi dell’agire, l’eventuale convinzione della gente di operare per un fine non biasimevole o, addirittura, per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 4053 del 12/12/2003, dep. 2004, Rota, Rv. 226992; Sez. 1, n. 33267 del 11/6/2013, Saggiamo, Rv. 256992; Sez. 1, n. 50381 del 7/6/2018, Vidoni, Rv. 274537).

Sotto questo profilo è, dunque, priva di pregio l’affermazione difensiva secondo cui il reato dovrebbe essere escluso per il fatto che il ricorrente avrebbe agito all’asserito mero fine di controllare l’eventuale asporto dalla struttura alberghiera di non meglio specificati beni immobili di proprietà della moglie.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione I delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 1 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.