Truffa ai danni dello Stato per il finto cieco beccato a tirare di box (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 10 maggio 2022, n. 18470).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLA Sergio – Presidente –

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Rel. Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) EUGENIO nato a CAMPOBASSO il 12/09/19xx;

avverso la sentenza del 19/02/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO TUTINELLI;

la trattazione del ricorso è avvenuta con le forme previste dall’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Luca Tampieri, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore di parte civile che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e ha depositato nota spese lette le conclusioni del difensore dell’imputato che ha ulteriormente articolato in relazione ai motivi già proposti e ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato e comunque per l’irripetibilità delle somme ricevute in quanto aventi natura alimentare.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Venezia ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità dell’odierno ricorrente già pronunciata con sentenza in data 27 giugno 2019 dal Tribunale di Venezia in relazione a fattispecie di truffa ai danni dello Stato consistita in nascondere e dissimulare una almeno parziale capacità di vedere alle Commissioni competenti alla verifica della sussistenza e permanenza dei presupposti per il riconoscimento delle indennità a carico dello Stato conseguenti alla condizione di cieco totale.

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, (OMISSIS) Eugenio, articolando i seguenti motivi qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp att cod proc pen, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Vizio di motivazione in relazione alla dichiarata penale responsabilità.

Secondo il ricorrente, sarebbe incongrua la motivazione del provvedimento impugnato laddove valorizza la capacità dell’imputato di gestirsi in ambienti e situazioni non domestiche.

Infatti:

• il teste a carico non potrebbe avere avuto una percezione sufficientemente completa della condizione del ricorrente in circostanze e tempi diversi;

• risulta che il ricorrente abitualmente si faceva accompagnare da una terza persona e non si recava mai da solo in palestra e, comunque, aveva raggiunto una tale familiarità con i luoghi vicini alla palestra da orientarsi autonomamente;

• le dichiarazioni dei prossimi congiunti del ricorrente (Adele (OMISSIS), Rossella (OMISSIS) ed Annamaria (OMISSIS), rispettivamente sorella, moglie e figlia dell’imputato) hanno smentito le dichiarazioni dei testi di accusa;

• la capacità di parare i colpi nella palestra di boxe frequentata deriverebbe da previ accordi con le persone che si allenavano con lui su dove avrebbero colpito e, anzi, l’allenamento consisteva nel dettare i punti in cui i colpi avrebbero dovuto arrivare, come confermato dal teste (OMISSIS).

Sul punto, le dichiarazioni del teste (OMISSIS), per cui l’allenatore deve vedere i colpi altrimenti “si prende uno di quei cazzotti in viso che fanno male” sarebbero valutazioni puramente personali;

• la capacità di seguire da vicino gli incontri di boxe, sedendosi a bordo del ring e fornendo agli atleti in gara suggerimenti tecnici deriverebbe unicamente dalla visione di luci e di ombre o, comunque, dalla presenza di una persona vicino che narrava l’evoluzione dell’incontro;

• sarebbe stata ingiustamente disattesa la consulenza tecnica del dottor Roberto (OMISSIS) che evidenziava come soggetti ciechi potessero porre in essere atti della vita quotidiana, andare in bicicletta col tandem, praticare corse di slitte con i cani, praticare il triathlon;

• lo stesso consulente tecnico le cui valutazioni sono state ritenute attendibili avrebbe affermato che la diagnosi di cecità assoluta – che ha determinato la percezione di indennità da parte dello Stato – risultava poco probabile ma non impossibile;

• la Corte di appello nemmeno avrebbe dato atto in quali condotte sarebbero esattamente consistiti gli artifizi e raggiri posti in essere dal ricorrente sia davanti alla commissione medica di prima istanza nel 1987, sia nella visita di controllo del 25 novembre 2011 difettandone anzi in radice l’indicazione posto che l’impaccio mostrato dal ricorrente sarebbe stata conseguenza della non familiarità con i luoghi dove la visita si svolgeva;

• in radice, la diagnosticata atrofia del nervo ottico sarebbe la inconfutabile prova della cecità denunciata dal ricorrente;

• inoltre, non sarebbe stato tenuto conto del fatto che una tematica come quella relativa al grado di cecità può inevitabilmente implicare profili di incertezza in ordine alla possibilità di inquadrare un soggetto in una determinata categoria piuttosto che in un’altra.

2.2. Violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, in quanto il rifiuto opposto dal Tribunale allo svolgimento di una perizia medico-legale cui l’imputato aveva prestato consenso determinerebbe la mancata acquisizione di una prova decisiva.

2.3. Violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di nullità della sentenza di primo grado in relazione al manuale inserimento della pena pecuniaria pari ad euro 200 non riportata nella parte motiva e conseguente nullità della sentenza perlomeno in parte qua e illegittimità della pronuncia della Corte d’appello nella parte in cui procedeva all’integrazione della motivazione della sentenza di primo grado.

La Corte di appello – secondo la difesa – non avrebbe potuto provvedere alla sostituzione di una decisione già assunta seppure incompleta posto che “il condannato, non conoscendo le ragioni sottese una pena così quantificata, non è in grado di evidenziare eventuali vizi o questioni di merito che possano essere oggetto di impugnazione di fronte al collegio del gravame”.

Tale integrazione determinerebbe inoltre una reformatio in peius perché si sarebbe passati da una mancanza di motivazione alla presenza di una motivazione sfavorevole all’imputato.

2.4. Difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto ad una potestà, quella dell’accertamento della cecità rilevante ai fini della concessione di provvidenze da parte dello Stato, riservata dalla legge organi amministrativi e legislativi ovvero non consentita ai pubblici poteri.

Secondo il ricorrente, accertamento del diritto alla pensione per cecità assoluta è un atto che spetta per legge ad un organo amministrativo e specificamente l’Inps.

3. La trattazione del ricorso è avvenuta con le forme previste dall’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

3.1. Il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Luca Tampieri, ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

3.2. Il Difensore di parte civile ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e ha depositato nota spese.

4. Con memoria depositata il 24 febbraio 2022, il difensore del ricorrente ha ulteriormente articolato in relazione ai motivi già proposti chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso risulta proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità rimanendo al di fuori dei poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (sez. 6, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, Rv. 234559; sez. 6, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, Rv. 253099) dovendosi ricordare che, per consolidato orientamento di questa Corte, il giudizio di legittimità non si costruisce sull’esame delle possibilità rappresentative, anche plausibili, del fatto, ma sull’opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, del tema probatorio (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178).

Nel caso di specie, l’iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi perché fondato su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi in atti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, non essendo presenti errori nell’applicazione delle regole della logica e nella articolazione del giudizio o omissioni decisive o illogicità manifeste.

Risultano infatti adeguatamente valorizzati i profili fondanti la decisione e i motivi per cui i diversi elementi richiamati in sede di ricorso sono stati puntualmente disattesi risultando sulla base di plurime prove testimoniali la presenza di capacità di orientarsi nello spazio, anche in condizioni del tutto sfavorevoli e in modalità del tutto incompatibili con la situazione di cieco assoluto, che aveva determinato il riconoscimento di una pensione a carico dello Stato per oltre cinquant’anni.

3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, Sentenza n. 39746 del 23/03/2017 Rv. 270936 – 01).

3.1. Per altro verso, sia la sentenza impugnata sia la sentenza di primo grado chiariscono in maniera netta i motivi – connessi alla difficoltà di individuare parametri oggettivi cui ricollegare le modalità di accertamento della cecità assoluta rispetto a una condizione solo parziale – per cui è stata esclusa la necessità di una perizia medica ai fini del decidere.

Si tratta di valutazioni non manifestamente illogiche, connesse a profili tecnici illustrati dai consulenti non idonei – per tali caratteri – a essere soggetti a ulteriore sindacato in questa sede.

3.2. Proprio tali elementi hanno permesso di qualificare alla stregua di artifizi e raggiri il silenzio serbato dal ricorrente sulle proprie capacità percettive e tutte le condotte dissimulatorie tenute in occasione anche della ultima convocazione della commissione di controllo.

4. Il terzo e quarto motivo di ricorso sono manifestamente infondati posto che il giudice di appello, in caso di conferma della sentenza di condanna di primo grado, ne può integrare il contenuto perché, da un lato, l’omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena non dà luogo ad una nullità ma ad una lacuna di motivazione successivamente sanabile (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 40005 del 07/03/2014 Rv. 260303 – 01).

5. Il quinto motivo di ricorso, inerente a un prospettato difetto di giurisdizione, è manifestamente infondato posto che nel caso di specie l’oggetto del giudizio non era la concessione o meno di una pensione a carico dello Stato ma la presenza di artifizi e raggiri che avevano indotto lo Stato a riconoscere una pensione non dovuta con ingiusto profitto dell’imputato e danno della collettività.

6. Il motivo dedotto in sede di motivi aggiunti, relativo alla irripetibilità delle somme de quibus in conseguenza della natura alimentare delle stesse, è manifestamente infondato.

Infatti, la richiamata giurisprudenza di questa Corte esclude la ripetibilità quando vi sia un legittimo affidamento da parte del percipiente (cfr. Cass. Civ 13223 del 30/06/2020 Rv 658116 – 01 e Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24133 del 07/09/2021 Rv. 662179 – 01).

Non risulta possibile imputare tale legittimo affidamento e le conseguente posizione di buona fede all’odierno imputato proprio in ragione delle condotte dissimulatorie a costui imputate e oggetto di definitivo accertamento.

7. Alle suesposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita INPS che liquida equitativamente in complessivi euro 3500.00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile INPS che liquida in complessivi euro 3500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2022.

SENTENZA – copia originale -.