REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TARDIO Angela – Presidente
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere
Dott. CENTOFANTI Francesco – Rel. Consigliere
Dott. RUSSO Carmine – Consigliere
Dott. TOSCANI Eva – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) Luciano, nato ad Acqui Terme il 17/08/19xx;
avverso la sentenza del 15/12/2021 della Corte di assise di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Francesco Centofanti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Simone Perelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avvocato Francesco (OMISSIS) (OMISSIS), in sostituzione, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Torino confermava la decisione di primo grado, resa all’esito del giudizio abbreviato, che aveva dichiarato Luciano (OMISSIS) colpevole dell’omicidio del figlio Diego e, riconosciuto il vizio parziale di mente, concesse le attenuanti generiche, in regime di prevalenza rispetto all’aggravante del rapporto di filiazione, lo aveva condannato alla pena principale di sei anni e otto mesi di reclusione.
Diego (OMISSIS) era stato ucciso per mano dell’imputato, reo confesso, intorno a mezzogiorno del 17 aprile 2019, nell’appartamento di Rivalta Bormida dove entrambi abitavano.
La vittima era stata attinta, in zone vitali del corpo, da quattro proiettili, esplosi da breve distanza tramite pistola Smith & Wesson, calibro 38, che l’imputato regolarmente deteneva.
Quest’ultimo, secondo la ricostruzione giudiziale, aveva agito perché esasperato dal contegno offensivo e aggressivo del figlio, tossicodipendente da molti anni, già inutilmente collocato in varie comunità di recupero, che aveva dilapidato ogni risorsa economica familiare, oltretutto accusando i genitori di non avere mai fatto nulla per lui. Ciò nonostante, il giudice di secondo grado reputava non configurabile l’attenuante della provocazione.
Non era in discussione, per la Corte di assise di appello, il comportamento ingiusto della vittima, che avrebbe tuttavia rappresentato una costante, essendosi nuovamente manifestato, la mattina del delitto, in termini non più gravosi di altre volte.
La situazione di oppressione, vissuta dall’imputato, non avrebbe integrato il c.d. accumulo, rilevante ai fini previsti dall’art. 62, n. 2), cod. pen.
L’attenuante della provocazione, sotto altro aspetto, non sarebbe compatibile con i reati di tipo abituale (sono citati i maltrattamenti, ex art. 572 cod. pen.), caratterizzati dalla ripetizione nel tempo di condotte antigiuridiche.
2. Ricorre l’imputato per cassazione, con rituale mandato difensivo.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge penale.
Sarebbe pacificamente esistito, a parere del ricorrente, il fatto obiettivamente ingiusto della vittima, protratto nel tempo; sarebbe esistito lo stato d’ira dell’imputato, costituito da un’alterazione emotiva, in progressiva evoluzione, rilevata anche dal perito; sarebbe esistita una relazione di causalità psicologica, e non di mera occasionalità, tra l’offesa e la reazione.
Quest’ultima originava, in definitiva, da un episodio scatenante, verificatosi la mattina del delitto, il quale aveva rappresentato la «goccia che [aveva] fatto traboccare il vaso già colmo». Sarebbe dunque chiaramente ravvisabile la provocazione per accumulo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione.
Nel caso di specie, non sarebbe il commesso reato ad essere abituale, ma la condotta ingiusta della vittima.
La rilevata incompatibilità logica tra la struttura del reato stesso e l’attenuante della provocazione sarebbe insussistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in entrambi i motivi in cui esso si articola, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili.
2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894-02; Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454-01; Sez. 1, n. 16790 del 08/04/2008, D’Amico, Rv. 240282-01), dal ricorrente opportunamente richiamata, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione sono richiesti:
a) lo stato d’ira, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto altrui cui si reagisce;
b) il carattere obiettivamente ingiusto di quest’ultimo, intesa l’ingiustizia come effettiva contrarietà della condotta a regole giuridiche, morali o sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività e in un dato momento storico (e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale);
c) un rapporto di causalità psicologica, e non di mera occasionalità, tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra di esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta.
Lo stato d’ira può sedimentarsi nel tempo e la reazione iraconda può essere conseguente ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo in occasione di un episodio ultimo scatenante, pur eventualmente in apparenza minore, che risvegli la carica di stizza e di collera che aveva assunto carattere latente (Sez. 1, n. 51041 del 08/10/2013, Mosca, Rv. 257877-01; Sez. 5, n. 12860 del 14/02/2005, Aguglia, Rv. 232106-01); in tal caso l’attenuante è parimenti ravvisabile, a meno che la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva, e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra l’offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e la reazione (Sez. 1, n. 28292 del 09/05/2017, Di Sero, Rv. 270272-01).
3. La sentenza impugnata non è conforme agli indicati principi.
Essa ricostruisce l’occorso, dando per acclarati tanto i reiterati comportamenti ingiusti del figlio nei confronti del padre, quanto il grave e sedimentato perturbamento emotivo che essi avevano indotto nell’animo del secondo.
La Corte di assise di appello registra la «costante vessazione e umiliazione» dell’imputato ad opera della vittima, nonché la «situazione di oppressione» che ne era derivata per l’autore del gesto omicida.
La sentenza impugnata lascia anche intravedere l’esistenza del fattore ultimo scatenante (lì ove richiama l’ennesima reiterazione della condotta di sopraffazione della vittima, ancorché non «improvvisa», né «inaspettata», né «più gravos[a] di altre volte»); fattore scatenante, che è comunque puntualmente descritto nella sentenza di primo grado, la cui ricostruzione la Corte di assise di appello integralmente recepisce: quella mattina, il figlio aveva nuovamente preteso soldi, e accusato il padre, e l’aveva anche fisicamente aggredito.
Lo schema della provocazione, almeno nella forma c.d. per accumulo, non può dunque essere negato, salvo che si ritenga – dando, tuttavia, di ciò congrua e stringente motivazione, che superi un quadro probatorio che sembrerebbe altrimenti eloquente – il difetto di qualsivoglia correlazione, dal lato dell’adeguatezza causale, tra l’offesa e la reazione.
4. Resta solo da precisare che l’assunto, secondo cui la provocazione è istituto inapplicabile ai reati abituali, è certamente esatto.
Il reato abituale è caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici di analoga natura, in cui non sono ravvisabili gli estremi della reazione emotiva al fatto ingiusto altrui, ma piuttosto l’espressione di autonomi propositi di rivalsa e sopraffazione (tra le molte, Sez. 6, n. 13562 del 05/02/2020, F., Rv. 278757-01).
L’assunto è però totalmente inconferente al caso di specie, in cui l’abitualità, in tutta evidenza, non connota il commesso reato (che è un omicidio), ma la condotta provocatoria della vittima.
5. La sentenza deve essere pertanto annullata in relazione all’attenuante della provocazione, con rinvio per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione all’attenuante della provocazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino.
Così deciso il 18/10/2022.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2022.