Va confermata la sentenza di radiazione per il legale che si appropria di somme di pertinenza dei suoi assistiti (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile, Sentenza 30 settembre 2022, n. 28468).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 912-2022 proposto da:

(OMISSIS) SILVANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE (OMISSIS) 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA (OMISSIS);

– controricorrente –

nonché contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 205/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 22/11/2021.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2022 dal Consigliere, Dott.ssa LINA RUBINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale, Dott. FRANCESCO SALZANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Antonino (OMISSIS) ed Antonella (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1.- L’avvocato Silvano (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolato in sei motivi ed illustrato da memoria avverso la sentenza n.205/2021 emessa il 15 luglio 2021 dal Consiglio Nazionale Forense, depositata in data 22 novembre 2021 e regolarmente notificata, con la quale è stata confermata, a suo carico, la sanzione della radiazione.

2. – Resiste con controricorso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.

3. – Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, nelle quali chiede il rigetto del ricorso.

4. – Il giudizio disciplinare nei confronti del ricorrente traeva origine dalla riunione di undici procedimenti disciplinari a suo carico aperti dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (d’ora innanzi, indicato anche come COA) di Roma sulla base di altrettanti esposti, tutti accomunati dall’elemento dell’allegata appropriazione, da parte dell’avv. (OMISSIS), di somme affidate dai clienti e del mancato impiego di esse per le finalità concordate, nonché della mancata restituzione di tali somme, nella maggior parte dei casi consegnate fiduciariamente per porre in essere un’operazione immobiliare in realtà mai avviata.

5. – In virtù dell’entrata in vigore della nuova legge professionale che ha attribuito la competenza a decidere in primo grado sul procedimento disciplinare a carico degli avvocati ai Consigli Distrettuali di Disciplina, il COA di Roma trasmetteva il fascicolo al Consiglio Distrettuale di Disciplina (d’ora innanzi, CDD) di Roma.

6. – Il capo di incolpazione poneva a carico del professionista la “violazione dei doveri di proprietà, dignità, decoro e indipendenza di cui all’articolo 9 del codice disciplinare, del dovere di fedeltà di cui all’articolo 10, del dovere di diligenza, di cui all’articolo 12, del dovere di verità di cui al previgente articolo 14, oggi articolo 50 del codice disciplinare, del dovere di riserbo, del dovere di rendicontazione di cui all’articolo 30 commi 1, 22 e 4, e degli obblighi verso il terzi di cui all’articolo 64, recando grave disdoro alla categoria professionale di appartenenza” per aver, in riferimento ad undici diversi episodi, oggetto di altrettanti esposti, ricevuto dai clienti somme in deposito fiduciario, in alcuni casi per definire una procedura esecutiva, in altri (la maggioranza) per compiere operazioni di acquisto immobiliare, operazioni in realtà mai compiute, e per essersi appropriato delle relative somme che non venivano mai restituite agli aventi diritto.

7. – La Sezione designata del CDD disponeva la citazione a giudizio per nove capi di incolpazione e la contestuale archiviazione dei capi contrassegnati dai numeri 3 e 6, non sussistendo per questi ultimi prove evidenti di colpevolezza.

Il dibattimento era rinviato una prima volta, su richiesta dell’incolpato; la successiva richiesta di rinvio a data da destinarsi a causa dell’emergenza Covid, formulata dall’avv. (OMISSIS), veniva respinta dal CDD, che invitava al contempo l’incolpato, il quale aveva nominato proprio codifensore l’avv. (OMISSIS), a nominare un unico difensore.

Successivamente al completamento dell’istruttoria, l’incolpato chiedeva il rinvio dell’udienza di discussione, attesa la situazione emergenziale in atto e l’impossibilità di muoversi dalle città di provenienza, in particolare per il suo avvocato dì fiducia, residente in Sicilia.

Il CDD rigettava l’istanza; l’incolpato, presente all’udienza di discussione ma privo in tale sede dell’assistenza del suo avvocato, si allontanava dichiarando di non poter esercitare il proprio diritto di difesa.

8. – All’esito del dibattimento il CDD, con decisione n. 58 del 2020, dichiarava non luogo a provvedere per le violazioni contestate relativamente ai capi di incolpazione numero 4 e 9 (per quest’ultimo, limitatamente all’appropriazione in danno della società La (OMISSIS) s.r.l.).

Con riferimento agli altri capi (che traevano origine dagli esposti

n. 1 dell’avv. (OMISSIS), per euro 50.000,

n. 2 dell’ing. (OMISSIS), per euro 50.000,00,

n. 5, di Adriano (OMISSIS), in cui si denunciava l’appropriazione di euro 72.000,00 e di Luigi (OMISSIS), per euro 67.000,00, somme restituite solo in parte;

n. 7, dell’avv. (OMISSIS), per euro 134.000,00, somma restituita solo per euro 20.000,00;

n. 8, del dott. (OMISSIS), per euro 100.000,00;

n. 9, relativamente alla posizione della sola (OMISSIS) Immobiliare s.r.I., per euro 1.750.000,00;

n. 10 del prof. (OMISSIS), per euro 30.000,00, restituiti solo in minima parte;

n. 11 della sig. (OMISSIS) per la somma complessiva di euro 65.000,00), rigettava preliminarmente le eccezioni di prescrizione.

Richiamava in proposito il principio di diritto secondo il quale la legge numero 247 del 2012, articolo 56, comma 3, non si applica agli illeciti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, in quanto il potere disciplinare sanzionatorio, per la sua natura amministrativa, resta insensibile al diritto sopravvenuto più favorevole.

Riteneva quindi applicabile la disciplina della prescrizione previgente agli illeciti di natura istantanea perfezionatasi in data anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina (falso e violazione del mandato) ed a quelli la cui permanenza era cessata in pari data.

Applicava, invece, la nuova disciplina agli illeciti di natura istantanea perfezionatisi in data successiva all’entrata in vigore della nuova normativa, ed a quelli la cui permanenza era cessata successivamente ad essa.

Nel merito, riteneva provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base dell’ampia documentazione acquisita agli atti, e delle stesse dichiarazioni rese dall’avv. (OMISSIS), che il legale avesse ricevuto le somme affidategli dai clienti per il compimento di acquisti immobiliari, senza poi utilizzarle a questo scopo, ma impossessandosene e, riconosciute la gravità degli addebiti e la sussistenza dei requisiti per l’applicazione della sanzione più grave, comminava all’incolpato la sanzione disciplinare della radiazione.

9. – L’avvocato (OMISSIS) impugnava la decisione e il CNF, con sentenza n. 205 del 2021, rigettava il ricorso confermando la sanzione della radiazione.

10. – La sentenza qui impugnata preliminarmente esamina le questioni relative alla prescrizione degli illeciti, ritenendo infondate le argomentazioni dell’appellante e corrette le motivazioni del CDD.

10.1 – Afferma che per l’istituto della prescrizione resta operante il criterio generale della irretroattività della normativa sopravvenuta, cosicché è inapplicabile a fatti antecedenti lo ius supervieniens introdotto dall’art. 56 della legge n. 247 del 2012; è al momento della commissione del fatto, o alla sua cessazione, se illecito permanente, che bisogna guardare per individuare il regime di prescrizione (e il relativo dies a quo) cui l’azione disciplinare è sottoposta, non rilevando il successivo momento dell’incolpazione.

Reputa quindi che correttamente il CDD abbia applicato:

a) la disciplina della prescrizione previgente agli illeciti di natura istantanea perfezionatisi in data anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina e a quelli la cui permanenza è cessata in pari data;

b) la normativa attuale agli illeciti istantanei successivi all’entrata in vigore della nuova legge ovvero a quelli per i quali la permanenza era cessata successivamente ad essa.

In riferimento al caso di specie, afferma che si tratti di illeciti permanenti, attesa la mancata restituzione del denaro ricevuto dall’incolpato e non impiegato per le finalità per le quali era stato consegnato e che di conseguenza il decorso del termine prescrizionale deve essere ancorato non alla commissione del fatto, ma alla cessazione della condotta disciplinarmente rilevante.

Quanto ai fatti oggetto anche di processo penale, osserva che per essi la prescrizione inizia a decorrere soltanto col passaggio in giudicato della decisione che definisce il giudizio penale.

Afferma, quindi, la correttezza dell’operato del COA laddove ha sospeso i procedimenti disciplinari a causa della pendenza dei giudizi penali.

10.2 – Rigetta i rilievi relativi alla prescrizione maturata in sede civile, con conseguente preclusione del recupero dei propri crediti da parte degli esponenti.

Osserva in proposito che il processo disciplinare e il processo civile operano su due piani nettamente distinti, essendo il primo preordinato alla tutela del decoro della professione.

Pertanto i rimedi esperibili in sede civile e collegati alla illiceità della condotta dell’incolpato non hanno rilievo con riferimento alla valutazione del rilievo deontologico del comportamento dell’iscritto e della relativa sanzione.

10.3 – Rigetta altresì tutti i rilievi dell’incolpato relativi alla nullità della decisione disciplinare.

In relazione all’eccezione di nullità dell’udienza del 9.11.2020, con conseguente nullità derivata della decisione emessa all’esito della stessa, per non avere il CDD accolto l’istanza di rinvio formulata dal difensore dell’incolpato, in violazione della normativa volta a contenere il contagio da COVID-19 e in particolare dell’art. 1, comma 9 lettera o) del DPCM 3.11.2020, rileva che la normativa richiamata non si applica alle sedute dinanzi ad organi disciplinari, posto che queste ultime non sono semplici “riunioni”, ma piuttosto vere e proprie “udienze”.

Quanto all’argomentazione secondo la quale il DPCM 3 novembre 2020 avrebbe vietato lo spostamento tra regioni, evidenzia come il medesimo DPCM consentiva comunque di derogare a tale divieto in caso di “spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative”.

Il CNF condivide pertanto la motivazione con la quale il CDD laziale ha rigettato l’istanza di rinvio, non sorretta da un impedimento assoluto.

Quanto alla dedotta nullità della decisione impugnata per illegittima modifica del Collegio giudicante, ritiene condivisibile l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale, nell’ambito del procedimento disciplinare, la composizione del collegio giudicante non è immutabile (orientamento formatosi in relazione alla previgente disciplina inerente ai COA, che segnala esser stato di recente ribadito dal CNF anche in relazione al procedimento che si svolge dinanzi ai CDD, richiamando le decisioni del CNF 161/2019; 138/2020).

Ricorda che le norme del codice di procedura penale, quali l’art. 525, comma 2, c.p.p., invocato dalla difesa del ricorrente, possono, ex art. 59, comma 1, lettera n), della legge n. 247/2012, trovare applicazione solo “se compatibili” nel procedimento disciplinare ed afferma che la natura non giurisdizionale del procedimento che si svolge innanzi al CDD esclude tale compatibilità. Inoltre, chiarisce che il rinvio al codice di rito è destinato ad operare solo “per quanto non specificatamente disciplinato” (analogamente dispone l’art. 10, comma 4, del Regolamento CNF n. 2/2014), e che si tratta di norma “di chiusura” volta (unicamente) a colmare eventuali lacune di disciplina, insussistenti nel caso di specie.

Quanto all’invito, rivolto all’avv. (OMISSIS), a nominare un solo difensore, ai sensi dell’art. 59 comma 1, lett d), n. 3 della legge n. 247 del 2012, rileva preliminarmente che l’avvocato si è spontaneamente adeguato senza formulare eccezioni al riguardo.

Osserva, inoltre, che il tenore letterale della legge citata, nonché del regolamento n. 2 del 2014 del CNF depongono nel senso che il difensore tecnico, ove l’avvocato ritenga di avvalersene, debba essere unico, analogamente a quanto previsto per il procedimento disciplinare a carico dei magistrati.

10.4 – Superate le questioni preliminari, nel merito il CNF conferma la decisione del CDD, affermando che l’organo di disciplina, nella decisione impugnata, ha fatto buon governo del principio del libero convincimento del Giudice disciplinare, in ragione del quale lo stesso ha ampio potere discrezionale nel valutare ammissibilità, rilevanza e conferenza delle prove dedotte.

Pertanto non è censurabile, né può determinare la nullità della decisione, la mancata audizione dei testi indicati dall’incolpato, ovvero la mancata acquisizione di documenti, quando risulti che il Consiglio stesso abbia ritenuto le testimonianze e/o i contenuti del documento del tutto inutili o irrilevanti ai fini del giudizio, per essere il Collegio già in possesso degli elementi sufficienti a determinare l’accertamento completo dei fatti da giudicare attraverso la valutazione delle risultanze acquisite.

Nel caso di specie, ritiene che l’ampia documentazione in atti, frutto anche dell’acquisizione e della libera valutazione degli atti provenienti dai procedimenti penali, ha consentito alla Sezione disciplinare di formare il suo convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio, risultando documentalmente ricostruibili sia le singole dazioni di denaro dagli esponenti all’Avvocato (OMISSIS) sia l’incameramento e la mancata restituzione delle somme apprese.

Aggiunge che l’avvocato (OMISSIS) ha ammesso le violazioni contestategli, riconducendole a scelte avventate derivanti da proprie problematiche finanziarie.

Osserva che le dichiarazioni rese dall’incolpato nel corso dell’audizione avanti al Consigliere Delegato in data 27.1.2020 ed anche in precedenza avanti al COA non lasciano margine di dubbio in proposito, e che non può trovare accoglimento il tentativo del ricorrente di ridurne la portata confessoria.

Per questi motivi ritiene insussistenti i presupposti per l’assunzione della prova testimoniale richiesta.

A tale considerazione di merito si accompagna il rilievo formale che il ricorrente non ha indicato nel ricorso il nominativo dei testi dei quali viene chiesta l’audizione, né le circostanze sulle quali gli stessi avrebbero dovuto testimoniare, impedendo al giudice di valutare la rilevanza della richiesta istruttoria.

10.5 – Quanto alla sanzione, il COA ritiene appropriata alla gravità del caso e alle numerose violazioni disciplinari contestate ed accertate a carico del (OMISSIS) la sanzione comminata, atteso che la molteplicità dei fatti, l’entità delle somme ricevute e non restituite, le conseguenze che ne sono derivate, con particolare riguardo al comportamento adottato nei confronti dell’avv. (OMISSIS), di Kronosan e della Sig.ra (OMISSIS), rendono l’avv. (OMISSIS) non meritevole di appartenere all’ordine forense, in quanto ha pregiudicato l’affidamento generale che il professionista deve ingenerare in ragione del suo ministero, e ha compromesso la credibilità dell’intero ceto forense e l’immagine che deve mantenere al fine di assicurare la sua funzione sociale nei confronti della collettività.

11. – La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 5 luglio 2022 per la quale il ricorrente ha chiesto che si proceda alla discussione orale.

Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

12. – Con il primo motivo l’avvocato (OMISSIS) denuncia la violazione del DPCM 3 novembre 2020, dell’articolo 523 cod. proc. pen., dell’articolo 24 Cost., nonché la nullità della decisione del CDD per violazione di norme imperative e del diritto di difesa e la nullità derivata della sentenza d’appello. Denuncia, in particolare, la violazione del diritto di difesa che avrebbe subito all’udienza del 9 novembre 2020, allorché, trovandosi senza difensore e ritenendo di non poter discutere privo dell’assistenza tecnica, ha invano chiesto il rinvio dell’udienza per emergenza COVID.

Sottolinea come nella decisione si affermi erroneamente che egli avrebbe rinunciato alla discussione come se si trattasse di una sua libera scelta, mentre l’abbandono dell’aula è avvenuto perché non era presente il difensore di fiducia, impossibilitato a partecipare all’udienza a causa dell’emergenza COVID.

Ribadisce di avere richiesto preventivamente al CDD, con nota scritta, il rinvio dell’udienza richiamando l’art. 1 comma 9 del DPCM 3 novembre 2020 in base al quale le riunioni nell’ambito delle pubbliche amministrazioni dovevano svolgersi da remoto, essendo vietato lo spostamento tra le varie regioni.

Sottolinea che il CNF ha rigettato la sua impugnazione in base al rilievo che davanti agli organi disciplinari si svolgono vere e proprie udienze e non semplici riunioni.

Il ricorrente osserva che occorre allora chiarire la natura di tali organi (amministrativa o giurisdizionale).

Richiama la decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 24896 del 2020, che ha affermato che il Consiglio distrettuale di disciplina è soggetto che svolge una funzione amministrativa di natura giustiziale non giurisdizionale caratterizzata da elementi di terzietà: se, come affermato dalle stesse Sezioni Unite, il CDD è organo amministrativo e non giurisdizionale, non avrebbe potuto legittimamente riunirsi in presenza.

13. – Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

In primo luogo, in riferimento alla denunciata violazione della norma costituzionale (art. 24 Cost.), questa Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. Sez. U. 12 novembre 2020, n. 25573; Cass. 15 giugno 2018, n. 15879; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3708).

Tale affermazione è stata oggetto, di recente, di una precisazione (v. Cass. S.U. n. 11167 del 2022): si è puntualizzato che il principio vale nelle ipotesi, numericamente preponderanti, in cui la materia controversa sia disciplinata da disposizioni con forza di legge.

Può nondimeno accadere che la normativa costituzionale sia di immediata applicazione e che, quindi, l’oggetto del contendere sottoposto all’esame del giudice non evidenzi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.

Solo in questi casi, in cui la norma costituzionale sia di diretta applicazione, essa può assurgere a parametro del sindacato di legittimità: per modo che l’interessato possa lamentarne la violazione o la falsa applicazione, a norma dell’art. 360, n. 3, c.p.c.

Ciò detto, la norma costituzionale indicata dal ricorrente non è di immediata applicazione, né il ricorrente argomenta alcunché in proposito: sicché la deduzione da lui svolta in relazione alla violazione dell’art. 24 Cost. prospetta chiari profili di inammissibilità. Non sussiste neppure la dedotta violazione di legge.

Nel caso di specie l’articolo 59 lettera d) della legge numero 247 del 2012 qualifica come “udienza dibattimentale” e non come semplice riunione la fase del procedimento rispetto alla quale il ricorrente lamenta la violazione del proprio diritto di difesa, in ragione del fatto che il CDD svolge una funzione di natura giustiziale (in questo senso, oltre alla pronuncia richiamata dallo stesso ricorrente, v. Cass. S.U. n. 19030 del 2021 e Cass. S.U. n. 34476 2019).

Durante l’emergenza epidemiologica le udienze sono state oggetto di specifica regolamentazione, distinta rispetto alla disciplina delle semplici riunioni, data la necessità di affiancare alla previsione della loro sospensione per motivi sanitari la normativa sulla sospensione dei termini per il compimento degli atti in relazione alle varie fasi del procedimento.

In particolare, i procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti delle amministrazioni sono stati regolati dal legislatore, in relazione all’emergenza, con l’articolo 103, comma 5, del DL n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020 e successive modificazioni, che ha previsto la sospensione dei termini del procedimento solo fino al 15 maggio 2020; questa disciplina è applicabile, ed è stata pacificamente applicata, anche ai procedimenti disciplinari pendenti davanti ai Consigli distrettuali di disciplina in ragione della loro natura di organi deputati a svolgere funzioni giustiziali.

Inoltre, il richiamato DPCM 3 novembre 2020, attuativo del di. n. 18 del 2020, limitava per ragioni di contenimento della diffusione del virus la libera circolazione delle persone, ma facendo pur sempre salvi gli spostamenti motivati, quale è, senza dubbio, lo spostamento del professionista per assistere in udienza il proprio patrocinato.

14. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 10 del Regolamento CNF n. 2 del 2014, nonché dell’articolo 22 dello stesso Regolamento e dell’articolo 525 cod. proc. pen. in relazione al mutamento del collegio giudicante, perché nella seduta dibattimentale del 9 novembre 2020 dinanzi al CDD la composizione del collegio giudicante non sarebbe stata la stessa rispetto a quella delle precedenti sedute, con conseguente nullità derivata della sentenza impugnata, sorretta da motivazione contraddittoria sul punto.

Sostiene la natura di collegio perfetto del collegio del CDD, la cui composizione deve rimanere invariata, a pena di nullità, per tutta la fase dibattimentale.

15. – Conformemente a quanto osservato dal Procuratore generale, il secondo motivo è in limine inammissibile, in quanto l’eccezione di nullità relativa alla variazione del collegio giudicante avrebbe dovuto essere sollevata immediatamente, nell’ambito del procedimento disciplinare davanti al CDD.

Non essendo stata essa tempestivamente sollevata non era più riproponibile davanti al CNF ed è inammissibile in questa sede (come affermato da Cass S.U. 19 ottobre 2011 n. 21585).

Il motivo sarebbe comunque infondato nel merito, perché, come questa Corte ha avuto già modo di affermare, “in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, non integra nullità alcuna il mutamento della composizione del Consiglio dell’ordine degli avvocati (COA) all’atto dell’adozione della decisione rispetto a quella della prima udienza in cui l’incolpato è stato sentito ed ha consegnato documentazione difensiva, in quanto in tale procedimento non si applica il principio dell’immutabilità del collegio giudicante” (Cass. S.U. n. 21585 del 2011).

Il principio di immutabilità del giudice, dettato dall’art. 525 secondo comma cod. proc. pen. per il giudizio dibattimentale, è infatti un principio codificato specificamente per il processo penale.

16. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 59 comma primo lettera d) n. 3 della legge n. 247 del 2012 e dell’articolo 21 del regolamento CNF n. 2 del 2014, nonché la falsa applicazione dell’articolo 24 Cost.

Anche in questo caso, denuncia la nullità derivata della sentenza impugnata e la violazione del diritto di difesa verificatasi davanti al CDD, in riferimento al fatto che non gli è stata consentita la nomina di un secondo difensore, anche se l’art. 59 citato non prevede espressamente che la parte, nel procedimento disciplinare, possa farsi assistere da un solo difensore.

Afferma che, in mancanza di una chiara indicazione di una tale limitazione nella norma, debba essere rimessa alla parte la scelta se farsi assistere professionalmente da uno o più difensori.

Sostiene cioè che, laddove la legge parli semplicemente di un difensore (come anche per le difese dei magistrati davanti al CSM), sia una indicazione generica e non limitativa ad una sola persona fisica. 17. – Il motivo è infondato.

L’articolo 59 lettera d), n. 3 della legge n. 247 del 2012 e l’articolo 21 comma 2 lett. c) del regolamento CNF n. 2 del 2014 prevedono la facoltà, per il professionista sottoposto a procedimento disciplinare, di avvalersi, se lo ritiene, dell’assistenza tecnica di un difensore, e tale riferimento testuale va letto come ad un unico difensore.

Rispetto al chiaro e univoco tenore letterale della norma il ricorrente non fornisce validi argomenti di segno contrario, e in particolare non esplicita quale sarebbe stata la limitazione che avrebbe subìto nella articolazione della sua difesa in ragione della possibilità di avvalersi di un solo difensore.

Come osserva il Consiglio dell’Ordine controricorrente, contrariamente a quanto osservato dal ricorrente, ove il legislatore non ha disposto diversamente (articoli 87 cod. proc. civ e 96 cod. proc. pen.), quando si fa riferimento alla nomina di un difensore, non è consentita la nomina di un collegio difensivo.

In questo senso dispone l’articolo 24 delle disposizioni di attuazione al cod. proc. pen.: “la nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza rispetto al numero previsto dagli articoli 96, 100 e 101 del codice “.

18. – Con il quarto motivo l’avv. (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 56 della legge 31 dicembre 2012 n. 247, nonché la falsa applicazione dell’articolo 51 RDL 27 novembre 1933 n. 1578 in relazione alla prescrizione dell’azione disciplinare.

18.1 – Sostiene il ricorrente, e sul punto argomenta analiticamente in memoria, che il CNF avrebbe rigettato, sotto ogni profilo, le eccezioni di prescrizione da lui proposte, dando luogo ad una errata interpretazione della legge professionale e della natura stessa delle norme sulla prescrizione, che a suo avviso avrebbero natura processuale, e non sostanziale, come affermato già in passato dal CNF: la prescrizione dell’azione disciplinare non estingue la violazione deontologica bensì l’azione disciplinare e quindi non è un istituto di diritto sostanziale ma di diritto processuale, con la conseguente riferibilità alla norma vigente al momento della applicazione, in base al principio tempus regit actum.

Il ricorrente sostiene, pertanto, che, dopo l’entrata in vigore dei regolamenti previsti dalla legge n. 247 del 2012, devono osservarsi le nuove disposizioni e che avrebbe violato la legge la pronuncia del CNF che, confermando l’orientamento del CDD, ha ritenuto erroneamente di applicare al caso in esame l’articolo 51 del Regio decreto n. 1578 del 1933, abrogato con l’entrata in vigore delle nuove norme sul procedimento disciplinare.

18.2 – Anche a proposito degli atti interruttivi della prescrizione la sentenza avrebbe errato là dove non ha applicato integralmente l’articolo 56 della nuova legge professionale, dove sono tipizzate le forme di interruzione della prescrizione, tra le quali non compare più la notifica dell’approvazione del capo di incolpazione.

18.3 – Infine, il ricorrente afferma che non esiste la sospensione automatica del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale.

Piuttosto, nella vigenza della precedente legge professionale, il giudice disciplinare avrebbe dovuto verificare la sovrapponibilità dei fatti contestati in sede disciplinare e in sede penale e, in caso di risultato positivo avrebbe dovuto sospendere il procedimento disciplinare, valutazione alla quale il CNF non avrebbe provveduto.

19. – Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 56 della legge n. 247 del 2012 con riferimento agli articoli 25 e 117 primo comma della Costituzione e all’articolo 7 Cedu.

Il motivo attiene anch’esso al tema della prescrizione, in quanto il ricorrente denuncia la violazione di legge in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato laddove avrebbe ritenuto non applicabile al caso di specie il principio di retroattività della lex mitior, ovvero dell’articolo 56 della legge n. 247 del 2012.

Sostiene che le norme disciplinari sono da ricostruirsi, anche nella interpretazione data dalla Corte costituzionale, come analoghe alla fattispecie penale, rispondendo ai requisiti della qualificazione giuridica interna dell’illecito e delle sanzioni.

Ricorda che, anche in ragione della natura dell’illecito e della gravità delle sanzioni applicate, è stato già riconosciuto anche dalla giurisprudenza europea che le garanzie euroconvenzionali della materia penale si estendono ad alcune sanzioni amministrative particolarmente afflittive.

Il ricorrente sottolinea la gravità della sanzione disciplinare della radiazione che ha finalità prettamente repressiva e incide a titolo definitivo sull’attività lavorativa e sullo status di chi la subisce.

Tutto ciò dovrebbe imporre di applicare i principi penalistici e le relative norme di procedura, come a suo avviso sono le norme sulla prescrizione, anche al procedimento disciplinare forense, non solo per la natura afflittiva della pena.

Il ricorrente inoltre sottolinea che la disciplina della prescrizione dell’azione disciplinare richiama integralmente i principi di diritto penale in tema di quantificazione della durata massima della prescrizione.

Auspica un cambiamento di giurisprudenza sul punto, essendo ben consapevole dell’esistenza di molte decisioni che hanno già affermato l’applicabilità ai procedimenti disciplinari conclusi dal CNF, aventi ad oggetto illeciti commessi prima del 2 Febbraio 2013, la disciplina previgente alla legge n. 247/2012.

20. – Il quarto e il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, e sono entrambi infondati, superando i pur presenti profili di inammissibilità: solo in memoria il ricorrente precisa, con la necessaria specificità, indicando i tempi in cui sono stati commessi i fatti aventi rilevanza disciplinare e i tempi di esercizio dell’azione disciplinare, quale sarebbe, nel suo caso, la concreta rilevanza della immediata applicabilità o meno dello ius superveniens.

20.1 – La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che, in tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione, introdotto dall’articolo 56 della legge numero 247 del 2012, il quale prevede un termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e sei mesi, non trova applicazione con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, restando limitata l’operatività del principio di retroattività della “lex mitior” alla fattispecie incriminatrice e alla pena, mentre, per altro verso, il momento di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane quello della commissione del fatto e non quello della incolpazione (tra le altre, Cass. n. 1930 del 2021; n. 34778 del 2021; n. 20383 del 2021).

20.2 – Sulla decorrenza iniziale della prescrizione incide poi la natura, immediata o permanente, degli illeciti contestati.

A questo riguardo occorre considerare che, sebbene talune fattispecie contestate in sede disciplinare all’avv. (OMISSIS) integrino altrettante fattispecie di rilievo penale (in particolare, in riferimento al reato di appropriazione indebita), per individuare la natura istantanea o permanente dell’illecito contestato occorre considerare l’illecito disciplinare nella sua specificità, in cui le condotte del professionista si inseriscono nell’ambito del rapporto di fiducia instaurato col cliente.

Non si possono pertanto evocare sic et simpliciter le ben note categorie penalistiche inerenti le fattispecie delittuose “parallele” (appropriazione indebita o truffa) che per consolidata giurisprudenza di legittimità integrano reati istantanei e non permanenti (Cass. pen. n. 17322 del 18.1.2019; Cass. pen. n. 15735 del 14.2.2020) mentre va affermata la natura permanente di quelle disciplinari in oggetto.

Come queste SS.UU. hanno già avuto occasione di affermare con le sentenze n. 23239 e n. 26991 del 2022, in relazione a vicende del tutto analoghe a quella in scrutinio, la condotta ascritta disciplinarmente al (OMISSIS) si inserisce nel contesto di un rapporto contrattuale di durata, la cui disciplina, oltre ad ubbidire più in generale ai principi della correttezza e della diligenza professionale, trova principalmente regolazione nelle norme della deontologia forense, che non hanno, per la particolare natura del rapporto a cui ineriscono, rilevanza puramente momentanea, ma ne permeano ogni singolo momento ed uniformano in modo costante e duraturo nel tempo il contenuto precettivo degli obblighi di condotta a cui il professionista è tenuto.

Il che, intuitivamente, colloca la vicenda in esame in una luce diversa da quella a cui la condotta oggetto qui di incolpazione potrebbe venirsi a trovare se si guardasse solo alla rilevanza penale di essa e si evocassero semplicemente le categorie in quell’ambito corrispondenti (truffa/appropriazione indebita), che sicuramente integrano reati istantanei, non permanenti, di contro, per vero, alla natura permanente che va invece ascritta alle analoghe condotte rilevanti in punto disciplinare.

Ben si intende, quindi, che la condotta sanzionata disciplinarmente non si esaurisce nella semplice percezione della somma, ma ricomprenda il comportamento, protrattosi nel tempo, consistente nell’avere l’avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente consegnato al cliente (art. 30 del codice deontologico) o impiegato in conformità alle disposizioni impartite dal medesimo.

E’ altresì del tutto pacifico che tali somme non sono mai state restituite dal (OMISSIS) alle parti assistite, quando queste ne hanno fatto richiesta.

L’illecito disciplinare sanziona l’alterazione del rapporto fiduciario che deriva da una condotta contraria alla legge e alle regole deontologiche, alterazione che si protrae per tutta la durata del rapporto ed anche oltre, nel senso che, anche nel caso di revoca del mandato da parte del cliente, esistono obblighi che l’avvocato deve rispettare a tutela del cliente che permangono anche nel periodo successivo (quali l’obbligo di conservare e di mettere a disposizione i documenti, e in questo caso, l’obbligo di restituzione).

Le Sezioni Unite si sono già espresse sul punto in precedenti e del tutto analoghe occasioni: Cass. S.U. 21 febbraio 2019, n. 5200, ha avuto modo di affermare che “l’avvocato che si appropri dell’importo dell’assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell’esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza”.

In senso analogo, Cass. S.U. 30 giugno 2016, n. 13379 ha puntualizzato che “l’avvocato che prometta al proprio assistito la consegna delle somme riscosse per suo conto senza provvedervi immediatamente contravviene all’art. 44, ultimo comma, del codice deontologico forense vigente ratione temporis, ponendo in essere una condotta connotata dalla ridetta continuità della violazione deontologica”.

Si può aggiungere che, in difetto della restituzione della somma acquisita, si può individuare un limite ultimo alla permanenza dell’illecito disciplinare in esame, ad evitare una irragionevole e non prevista dalla legge imprescrittibilità dell’illecito stesso: in analogia alla consolidata giurisprudenza penale di legittimità (ex pluribus, Cass.pen.n.32220 del 2015) e come peraltro già affermato da queste Sezioni Unite civili (cfr. S.U. n. 5200 del 2019, cit.; da ultimo, Cass. n. 23239 del 2022) tale dies a quo deve essere individuato nella decisione 2022 n. 00912 sez. SU – ud. 05-07-2022, disciplinare di primo grado.

La decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina risale al 2020, ed è dunque evidente che tuttora non è spirato il termine prescrizionale massimo previsto dall’art. 56, comma 3, legge 247/2012.

La sentenza impugnata applica quindi correttamente la disciplina più favorevole introdotta dall’articolo 56 alle sole condotte individuate come permanenti, consistenti nella mancata restituzione di somme ricevute dai clienti con inadempimento degli obblighi restitutori, la cui permanenza è cessata dopo il 2 febbraio 2013.

Altrettanto correttamente è stata applicata la disciplina previgente per le condotte individuate come integranti violazioni con carattere istantaneo, poste in essere in data antecedente all’entrata in vigore della nuova legge professionale e a quelle permanenti per le quali la condotta illecita non è mai cessata prima dell’inizio della azione disciplinare.

Il rilievo di cui al punto 18.2. è infondato, stante la già motivata inapplicabilità retroattiva dello ius superveniens.

E’ infondato altresì il rilievo di cui al punto 18.3., in cui il ricorrente lamenta che, prima di sospendere il procedimento disciplinare per la pendenza del giudizio penale, il Giudice disciplinare non abbia verificato la sovrapponibilità delle due fattispecie, atteso che il profilo è stato oggetto di specifico esame, e di espressa motivazione, al punto 1.4. della sentenza impugnata.

22. – Con il sesto e ultimo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omesso esame dei motivi di impugnazione, nonché la violazione dell’articolo 37 della legge 31 dicembre 2012 n. 247, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 64 del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 e l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.

Deduce l’omessa motivazione sul merito delle questioni, in quanto la sentenza impugnata non darebbe conto di numerose e specifiche contestazioni mosse dall’attuale ricorrente alla pronuncia del CDD, traducendosi in una motivazione apparente.

Sostiene che davanti al CDD aveva contestato analiticamente le undici incolpazioni, capo per capo, in maniera assai dettagliata e che il CNF non si è fatto carico delle sue contestazioni.

23. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente riproduce le sue originarie contestazioni di merito in relazione a tutti e undici i capi di incolpazione originari, limitandosi ad affermare che il CNF non avrebbe risposto sul punto, mentre avrebbe dovuto richiamare i motivi di appello formulati e non le contestazioni mosse davanti al CDD, per indicare efficacemente di aver proposto specifici motivi di impugnazione di cui sarebbe stato omesso l’esame.

Inoltre, come questa Corte ha avuto già modo di affermare, in materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, non è consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale (Cass. S.U. n. 24647 del 2016).

Come recentemente puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 42090 del 2021), nell’esprimere tale giudizio la Corte deve mantenersi nei limiti consentiti dall’attuale testo dell’art. 360, n. 5 c.p.c. (come interpretato a partire da Cass. SU n. 8053/2014), onde evidenziare eventuali anomalie motivazionali che si tramutino in violazione di legge costituzionalmente rilevante, tali da ricomprendere, oltre alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” e alla “motivazione apparente”, anche il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

La sentenza è motivata in maniera dettagliata in riferimento al merito delle varie incolpazioni, nè avrebbe avuto l’onere di rispondere ad ogni rilievo mosso dall’avv. (OMISSIS) alla prima decisione.

Non possono essere presi in considerazione i rilievi mossi nella fase amministrativa davanti al CDD, nè tantomeno può procedersi a un nuovo apprezzamento dei fatti in questa sede: le decisioni del CNF sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite soltanto per incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge nonché ai sensi dell’articolo 111 Cost. per vizio di motivazione, mentre l’accertamento del fatto ed anche l’apprezzamento della sua gravità ai fini della valutazione della sanzione non possono essere oggetto di controllo di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Cass. n. 20344 del 2018).

La motivazione adottata dalla sentenza impugnata a giustificazione della affermazione di responsabilità cui ha fatto seguito l’irrogazione della sanzione massima della radiazione è esente da contraddittorietà interna e non risulta meramente apparente.

Complessivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale,  a norma del comma 1-quater del d.P.R. n. 115, del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 7.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali e accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 5 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.