Caso Cucchi: le fratture vertebrali subite furono “misure di rigore” non consentite dalla legge (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 26022).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. TUDINO Alessandri – Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

TEDESCO FRANCESCO nato a OMISSIS xx/xx/xxxx

nel procedimento a carico del ricorrente e di:

Di Bernardo Alessio, nato a OMISSIS (xx) il xx/xx/xxxx;

D’Alessandro Raffaele, nato a OMISSIS (xx) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 10/07/2017 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

uditi i difensori, avv.ti Stefano Maccioni per le parti civili Calore Maria e Cittadinanza attiva onlus, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso come da conclusioni che deposita;

udito l’avv.to Fabio Anselmo per le parti civili Cucchi Ilaria e Cucchi Giovanni, che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata come da conclusioni che deposita;

udito gli avv.ti Eugenio Pini e Francesco Petrelli per l’imputato ricorrente Tedesco Francesco che hanno concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha dichiarato non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen., nei confronti, tra gli altri, di Tedesco Francesco, in relazione al reato di cui all’art. 608 cod. pen., commesso in danno di Stefano Cucchi, perché estinto per intervenuta prescrizione.

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando un unico motivo con il quale deduce violazione di legge processuale e sostanziale nonché vizio di motivazione.

In sintesi, secondo il ricorrente, la pronuncia sarebbe erronea e illogicamente motivata, in quanto ha dichiarato la prescrizione mentre avrebbe dovuto rilevare l’insussistenza del fatto, tenuto conto che, a mente dell’art. 129 comma 2 cod. proc. pen., sarebbe stata immediatamente constatabile l’inesistenza, nella specie, delle “misure di rigore”, di cui alla fattispecie tipica prevista dall’art. 608 cod. pen., che non sarebbero integrate da atti di violenza fisica, concretanti, semmai, altre e diverse ipotesi di reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, al punto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di “constatazione” (percezione ictu oculi), che a quello di “apprezzamento”, incompatibile, dunque, con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettannanti, Rv. 244274).

In altre parole, l’evidenza, richiesta dall’art. 129 comma 2 cod. proc. pen. presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, in motivazione).

Nella fattispecie in rassegna, l’insussistenza della condotta tipica non è constatabile ictu loculi dal testo della sentenza impugnata, nel senso che non si impone con evidenza tale da poter essere rilevata con una semplice attività ricognitiva, esente, cioè, da ogni apprezzamento valutativo.

1.1 II reato di cui all’art. 608 cod. pen. è integrato da condotte vessatorie perpetrate da pubblici ufficiali nei confronti di persona arrestata o detenuta, sottoposta a misure di rigore non consentite dalla legge, di guisa che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un’ulteriore restrizione, oltre quella legale, che è insita nella detenzione stessa (Sez. 5, n. 22203 del 19/01/2017, Tumbarello, Rv. 270049).

Se è vero che per configurare il reato di cui all’art. 608 cod. pen. non basta l’impiego della violenza nei confronti della persona in custodia (Sez. 6, n. 9003 del 07/05/1982, Fossella, Rv. 155503), è del pari vero che atti di violenza fisica, pur riconducibili a ulteriori ipotesi di reato (percosse, lesioni e simili), ben possono integrare anche la fattispecie tipica della norma in rassegna laddove incidano sulla sfera di libertà personale del soggetto passivo, determinandone una limitazione aggiuntiva rispetto a quella consentita (Sez. 5 n. 31715 del 25/03/2004, Di Fant, Rv 229320; Sez. 5, n. 29004 del 16/04/2012, Caramanico, Rv. 253312).

In tale ultimo caso il delitto punito dall’art. 608 cod. pen. concorrerà con quelli di percosse, lesioni e simili.

1.2 Nella specie, la contestazione di cui all’art. 608 cod. pen. viene elevata al capo B) della rubrica, che descrive il fatto dando corpo alle “misure di rigore” attraverso un richiamo per relationem del capo A), relativo alle lesioni personali e all’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi.

Dalla lettura del capo A) non risulta, con l’evidenza necessaria ex art. 129 comma 2 cod. pen., che Stefano Cucchi non sia stata sottoposto “a misure di rigore”, poiché non può affermarsi in termini di certezza e senza necessità di ulteriore vaglio che le gravi lesioni riportate dalla vittima nell’immediatezza — consistite tra l’altro nella frattura della terza vertebra lombare e della quarta vertebra sacrale, condizionanti la sua capacità di deambulazione — costituiscano evento di una violenza fine a se stessa e non anche, come correttamente osserva il giudice di merito, di un’attività illecita posta in essere dai pubblici ufficiali finalizzata a contenere l’arrestato con modalità tali da imporgli una ulteriore restrizione attraverso l’impiego, appunto, di “misure di rigore” che si sono rivelate talmente brutali da produrre quelle gravissime conseguenze.

2. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per il presente grado, che, avuto riguardo alla natura, qualità dell’opera prestata e alla pluralità di parti assistite, si liquidano nella misura di euro 2.000,00 per le parti difese dall’avv. Anselmo e in euro 2.000,00 per le parti difese dall’avv. Maccioni, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende, nonché al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in euro 2.000 per le parti difese dall’avv. Anselmo e in euro 2.000 per le parti difese dall’avv. Maccioni, oltre accessori come per legge.

Così deciso il 19/04/2018.

Depositato in Cancelleria il giorno 7 giugno 2018.

SENTENZA – copia non ufficiale -.