REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONI Monica – Presidente –
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere –
Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere –
Dott. POSCIA Giorgio – Consigliere –
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) Leo, nato a Orciano di Pesaro il 26/3/1952;
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Ancona in data 18/3/2021;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria scritta presentata ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Stefano Tocci, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 18/3/2021, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro in data 21/3/2019 con la quale Leo (OMISSIS) era stato condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione e di 2.300,00 euro di multa in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva (di cui era stata, comunque, esclusa la natura infraquinquennale), dei reati, unificati dalla continuazione, previsti dagli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 23, commi primo, secondo e terzo, legge 18 aprile 1975, n. 110, per avere fabbricato e, comunque, detenuto illegalmente, due armi comuni da fuoco, di fattura artigianale, con canna liscia e vivo di volata ricurvo, caricamento manuale a colpo singolo, calibro 12, classificabili come clandestine perché prive dei segni distintivi previsti dall’art. 11, legge n. 110 del 1975 (capo A), nonché dall’art. 697 cod. pen. (così qualificata l’ipotesi contestata ex art. 2, legge n. 895 del 1967), per avere detenuto, in assenza di alcuna licenza, 4 cartucce a pallini, calibro 12, marca Batman 70 mm – Fopa, 12 cartucce a pallini integre, calibro 12, marca Batman 70 mm – Fopa; nonché 3 cartucce a pallini integre calibro 12, marca Ranger 67 mm Winchester, 10 cartucce calibro 12, marca Fiocchi, un’ulteriore cartuccia calibro 12, marca Fiocchi (capo B).
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso (OMISSIS) per mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti Cristian (OMISSIS) e Luca (OMISSIS), deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2 e 23, legge n. 110 del 1975 nonché degli artt. 1 e 1-bis, d.lgs. n. 527 del 1992, come modificato dal d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204 per l’attuazione della Direttiva 2008/51/CEE nella parte in cui la Corte territoriali, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che i reperti n. 000067832 e n. 000067833 fossero qualificabili come armi da fuoco ai sensi dell’art. 1-bis, d.lgs. n. 527 del 1992, comuni (ex art. 2, legge n. 110 del 1975) e clandestine (ex art. 23, legge n. 110 del 1975), nonché la carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto oggetto di specifico e decisivo motivo di appello.
La sentenza di secondo grado non avrebbe risposto alla censura difensiva secondo cui lo strumento, non essendo portabile, non rientrava nella nozione di arma da fuoco dettata dalla richiamata direttiva; e in ogni caso sarebbe stata riconducibile alle «altre armi da fuoco», previste dalla categoria D della direttiva, cui non sarebbe applicabile il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527.
Fermo restando che esso non sarebbe stato destinato all’offesa alla persona e avrebbe avuto la funzione di allarme, senza che tale assunto possa ritenersi smentito dagli incompleti accertamenti svolti dalla polizia scientifica, che avrebbero attestato soltanto la capacità dei meccanismi di produrre la detonazione dell’apparecchio di innesco della cartuccia.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 23, legge n. 110 del 1975 e del d.lgs. n. 204 del 2010, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di «fabbricazione di arma clandestina» fondata su un travisamento delle prove e, in particolare, delle dichiarazioni dell’imputato in sede di esame all’udienza del 21/3/2019, non avendo egli confessato di avere fabbricato o assemblato lo strumento, quanto di averlo rinvenuto tra i rifiuti e di averlo, poi, installato.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 23, secondo comma, legge n. 110 del 1975 e del d.lgs. n. 204 del 2010 nel punto in cui ha incluso la condotta di «assemblaggio di armi» in quella della «fabbricazione di armi» punita dal secondo comma dell’art. 23, legge n. 110 del 1975, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione a un punto oggetto di specifica doglianza in appello.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 5 e 697 cod. pen. nella parte in cui non ha ritenuto scusabile l’errore sulla legge penale per avere l’imputato acquistato le cartucce dall’armeria cui si era rivolto senza alcuna verifica da parte di quest’ultima e venendo, dunque, tratto in inganno sulla liceità della detenzione, nonché la mancanza della motivazione in relazione al mancato esame del quarto motivo di appello.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha riconosciuto e applicato la recidiva configurando una inesistente progressione criminosa tra due precedenti episodi in materia di armi e la fabbricazione dell’arma clandestina e, soprattutto, senza tenere conto del rilevante lasso di tempo trascorso, operando, nei fatti, una meccanica sommatoria dei precedenti penali, senza alcuna valutazione circa l’idoneità della nuova violazione a esprimere una maggiore riprovevolezza in capo all’agente.
2.6. Con il sesto motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza e/o manifesta illogicità della motivazione, anche in relazione all’art. 69 cod. pen., nella parte in cui ha ritenuto equivalenti le attenuanti generiche rispetto alla recidiva, senza considerare le circostanze del caso concreto (ovvero l’uso di offendicula, l’età avanzata dell’imputato e l’atteggiamento collaborativo tenuto), che avrebbero imposto una diversa valutazione al fine di adeguare la pena alla gravità del caso concreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Muovendo dall’analisi del primo motivo di doglianza, va premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità, per «arma da fuoco», ai sensi dell’art. 1- bis, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527, come modificato dal d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, si intende sia qualsiasi strumento portatile a canna che espelle o è progettato per espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l’azione di un combustibile propellente, sia qualunque altro oggetto che può essere trasformato a tale fine, essendo necessario, in quest’ultimo caso, che lo stesso presenti l’aspetto di un’arma da fuoco e, in base alle caratteristiche di fabbricazione o del materiale utilizzato, dopo l’intervento di modificazione, possa essere idoneo all’azione di sparo di munizioni (cfr. Sez. 1, n. 18137 del 7/3/2014, Centulani, Rv. 262267-01).
Secondo la tesi sviluppata in ricorso, i manufatti in questione avrebbero necessitato, per il loro funzionamento, di un ancoraggio al suolo, tale da escludere il requisito della «portatilità» dello strumento.
Nondimeno, ritiene il Collegio che tale nozione debba essere delineata a partire dal suo significato tecnico-balistico, che distingue le armi da fuoco in portatili o da artiglieria.
In questa prospettiva, sono da considerare portatili le armi di medio o piccolo calibro, inferiore a 20 mm, che vengono usate per brevi e medie distanze (è il caso delle pistole, degli M12, dei fucili, dei mortai leggeri, ecc.), per il cui trasporto e uso è sufficiente un solo operatore.
Sono, invece, armi di artiglieria, quelle di grosso calibro, a partire dai 20 mm, per il cui trasporto e uso sono necessarie due o più persone e l’uso di automezzi.
Pertanto, ai fini della identificazione di un manufatto come arma da fuoco è sufficiente, per considerarlo come strumento portatile, che il suo trasporto possa essere effettuato da una persona sola.
Su tali premesse, deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia correttamente rappresentato la sussistenza, nella specie, dei requisiti previsti per la configurabilità dell’arma da fuoco, ricorrendone tutte le caratteristiche: dall’idoneità dello strumento a espellere proiettili atti a offendere alla portabilità, intesa come trasportabilità da parte di una sola persona di uno strumento avente un calibro non superiore ai 20 mm.
Ne consegue, conclusivamente, l’infondatezza del primo motivo di doglianza.
3. Venendo, indi, al secondo motivo, con cui la difesa deduce il travisamento delle dichiarazioni dell’imputato, il quale non avrebbe confessato di avere «fabbricato» lo strumento, la questione posta perde gran parte della sua rilevanza alla luce della contestazione del fatto, ove si fa riferimento alla circostanza che Leo (OMISSIS) avesse fabbricato e, comunque, detenesse le armi de quibus: circostanza, quest’ultima, pacificamente non revocabile in dubbio.
In ogni caso, come si rileverà con riferimento al terzo motivo di censura, la nozione di fabbricazione è idonea a compendiare le condotte di assemblaggio, le quali non paiono ragionevolmente revocabili in dubbio sulla scorta delle stesse dichiarazioni dell’imputato.
4. Infondato è, ancora, il terzo motivo di ricorso.
Come anticipato, l’assemblaggio delle varie componenti di un’arma si configura come una forma di fabbricazione della stessa, in specie quando, come nel caso in esame, sia stato realizzato uno strumento offensivo del tutto nuovo, attraverso l’utilizzo di pezzi aventi, singolarmente considerati, una differente destinazione merceologica.
Ne consegue che, anche sotto tale profilo, la fattispecie in contestazione risulta pienamente integrata.
5. Infondato è, ancora, il quarto motivo di doglianza.
Nella condotta omissiva dell’imputato sono stati correttamente ravvisati gli estremi della colpa dal momento che egli avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che le munizioni avrebbero dovuto essere regolarmente denunciate all’ufficio di pubblica sicurezza, atteso il chiaro tenore del disposto dell’art. 38, comma 2, T.U.L.P.S. (cfr., sulla natura anche colposa della contravvenzione in esame, Sez. 1, n. 13355 del 7/2/2013, Bove, Rv. 255176-01); circostanza che, certamente, non può essere obliterata dalla considerazione, peraltro meramente fattuale, che le stesse fossero state da lui acquistate, senza alcuna obiezione da parte del rivenditore.
6. Quanto, poi, al quinto motivo del ricorso, relativo al riconoscimento della circostanza aggravante della recidiva, la relativa motivazione è stata articolata dai Giudici di merito in maniera congrua e logica, tenuto conto dell’ingravescenza delle condotte illecite ascritte, nel tempo, all’odierno imputato, sempre in materia di armi, e del giudizio di maggiore riprovevolezza soggettiva che la stessa ha, secondo una massima di comune esperienza, pienamente giustificato.
7. Infondato è, infine, il sesto motivo di censura.
Sul punto è opportuno rilevare che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, Contaldo, Rv. 245931-01).
Condizione, questa, che deve ritenersi riscontrata nel caso in esame, avendo la Corte territoriale fatto riferimento alla necessità di addivenire alla determinazione di una pena corretta e congrua; risultato evidentemente conseguito anche attraverso il riconoscimento dell’equivalenza tra l’aggravante della recidiva e le attenuanti generiche.
Tanto più che l’atto di appello non aveva indicato elementi di fatto ulteriori rispetto a quelli già scrutinati, di rilievo tale da determinare una differente valutazione da parte della Corte di secondo grado.
8. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 22/2/2022.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2022.