La Cassazione chiarisce che non c’è nessun tetto al risarcimento per l’errore giudiziario che ha visto un uomo perdere tutto e ammalarsi dopo una condanna ingiusta (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 17 aprile 2023, n. 16114).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Rel. Presidente –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 21/04/2022 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO

udita la relazione svolta dal Presidente Dott. EMANUELE DI SALVO;

lette/sentite le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe indicata, con la quale è stata accolta la domanda di riparazione di errore giudiziario, da lui formulata a seguito di proscioglimento in sede di revisione dal reato di cui all’art. 609 bis cod pen.

2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della somma riconosciuta, in quanto, per effetto della detenzione, egli ha sviluppato una serie di patologie (depressione e insonnia, disturbi di ansia; gravi deficienze dell’apparato locomotore con il peggioramento sia della poliartrosi che della discopatia; gravi disturbi della sfera urologica, con frequenti infezioni alle vie urinarie e ritenzione urinaria; disordini alimentari, con peggioramento della diverticolosi e disturbi epatici; insufficienza respiratoria notturna; ipertensione arteriosa; ipertrofia prostatica; spondiloartrosi con discopatie multiple rachide cervicale e lombare; diabete mellito; coxartrosi bilaterale al bacino; osteogonartrosi al ginocchio destro; patologie cardiache e un serio aggravamento  della  diverticolite).

Inoltre l’attività lavorativa di responsabile della manutenzione che il (OMISSIS) svolgeva presso un albergo si è interrotta proprio in coincidenza con la data in cui egli è stato arrestato, in esecuzione della sentenza penale di condanna.

Il ricorrente ha inviato il curriculum a diverse aziende ma, poiché non ha mai nascosto la detenzione patita, circostanza peraltro nota per l’eco che la vicenda aveva avuto sulla stampa e sui media locali, egli non è mai stato assunto da nessuna impresa.

Del resto, trattandosi di condanna per il reato di violenza sessuale, anche l’assegnazione al lavoro all’esterno da detenuto avrebbe potuto essere riconosciuta al ricorrente solo dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena.

Senonché egli ritenne opportuno formulare istanza per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, onde non poteva nutrire alcun interesse per l’ammissione al lavoro all’esterno da detenuto.

2.1. Per di più, per poter far fronte al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in favore della persona offesa in euro 40.000, il ricorrente dovette vendere l’immobile di famiglia, così cagionando anche un rilevante danno al proprio figlio, che lo avrebbe ereditato.

Oltre a ciò, tale vendita, per ragioni di urgenza e necessità, correlate al fatto che la persona offesa aveva pure iscritto ipoteca giudiziale sull’immobile, venne conclusa ad un prezzo di molto inferiore al reale valore dell’immobile.

Anche questa voce di danno avrebbe dovuto rientrare nelle spettro cognitivo e valutativo del giudice della riparazione, dovendo essere annoverata tra i pregiudizi derivanti dalla sentenza viziata dall’errore giudiziario.

2.2. Infondatamente il giudice a quo attribuisce una colpa al ricorrente, il quale si era asseritamente attivato solo nel 2016, e quindi tardivamente, funzionalmente all’accesso al reperto biologico prelevato sulla persona offesa (i tamponi vaginali) e alla conseguente verifica delle risultanze del DNA, per mezzo di un proprio consulente tecnico.

Nel corso del giudizio penale, infatti, il ricorrente aveva infruttuosamente chiesto al giudice penale di procedere all’accertamento tecnico sul reperto biologico e pertanto egli ha potuto chiedere di essere autorizzato a procedere in tal senso, mediante lo strumento dell’investigazione difensiva, solo quando il procedimento penale è stato definito.

Ciò è comunque accaduto subito dopo la pronuncia di irrevocabilità e quindi ben prima del 2016, anno in cui invece il (OMISSIS) ha proposto istanza di revisione del procedimento.

Infatti già in data 27 dicembre 2011 la difesa del ricorrente si accertò dell’eventuale esistenza e conservazione dei tamponi vaginali. Il 19 luglio 2012 il Tribunale di Chieti autorizzò la difesa del ricorrente a procedere agli accertamenti ma la Procura di Chieti, dopo lunga e ingiustificata inerzia, chiese la revoca del predetto provvedimento, sostenendo che la competenza a decidere fosse della Corte d’appello di L’Aquila.

Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 22 gennaio 2013, revocò il provvedimento autorizzativo al compimento degli accertamenti tecnici sui campioni genetici in sequestro, respingendo anche l’ulteriore istanza avanzata in tal senso dalla difesa. Ne è derivato che il ricorrente è riuscito ad accedere all’analisi del materiale biologico soltanto allorquando, nel 2016, si incardinò il procedimento di revisione.

2.3. Le doglianze sono state ribadite e ulteriormente argomentate con motivi nuovi in data 23 dicembre 2022, a cui è stata allegata certificazione della Commissione medica per l’accertamento di handicap.

3. Con requisitoria scritta, ex art. 611 cod. proc. pen., il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le doglianze formulate con il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione, sono fondate.

È stato opportunamente chiarito, in giurisprudenza, che, ai fini della quantificazione della riparazione dell’errore giudiziario, non può applicarsi il parametro risultante dal rapporto tra tempo di detenzione e quantum dell’indennizzo che inerisce alla riparazione per l’ingiusta detenzione, in quanto la norma di cui all’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. ha carattere eccezionale (Sez. 4, n 2050 del 25/11/2003, dep. 2004, Rv. 227671) e la fissazione di un tetto massimo trova giustificazione solo con riferimento all’istituto di cui agli artt. 314 ss cod. proc. pen., nell’ottica del quale l’unico dato valutabile è la privazione della libertà personale, profilo caratterizzato dall’invariabilità mentre la pluralità e complessità dei dati da valutare nella prospettiva della riparazione dell’errore giudiziario, che deve tener conto di tutte le conseguenze familiari e personali, non è compatibile con un’analoga fissazione di un massimo liquidabile (Sez. 4, n. 532 del 21/4/1994, Rv. 198308).

Occorrerà dunque fare riferimento ai parametri relativi alla durata dell’eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, espressamente indicati dall’art. 643, comma 1, cod. proc. pen., includendo nell’area della risarcibilità in primo luogo il danno patrimoniale, nel quale è da ricomprendersi il danno da perdita di chance, consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo in termini economici (Sez. 4, n. 24359 del 23/2/2006, Rv. 234611), come l’avvio di un’attività lavorativa.

Occorre poi risarcire il danno non patrimoniale e, nell’ambito di quest’ultimo, il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, trattandosi di differenti e autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale (Sez. 4, n. 2050 del 25/11/2003, cit.).

Dunque rientrano certamente nell’area della risarcibilità il danno biologico e il danno alla salute, che non devono necessariamente essere liquidati mediante applicazione dei criteri tabellari adottati dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi, purché essi non risultino illogici e conducano ad un risultato che non si discosti in modo irragionevole e immotivato dai menzionati parametri tabellari (Sez. 4, n. 22444 del 19/3/2015; Sez. 4, n. 7787 del 4/11/2015, dep. 2016, che ha anche precisato che è configurabile il risarcimento di un danno biologico diverso e ulteriore rispetto a quello, parimenti oggetto di liquidazione, riconducibile all’ingiusta detenzione).

Anche laddove si faccia ricorso al criterio equitativo, è comunque necessario un apparato giustificativo ancorato ad oggettivi parametri di riferimento, dovendosi considerare illogica una motivazione che, a fronte di una dettagliata richiesta da parte del richiedente, con puntuali riferimenti a ben precisi pregiudizi patrimoniali, sotto il profilo sia del lucro cessante che del danno emergente, si fondi su criteri sostanzialmente apodittici e autoreferenziali, avulsi da una concreta e approfondita analisi dei dati addotti e documentati dal richiedente (Sez. 4, n. 7787 del 4/11/2015, dep. 2016, cit.).

2. Nel caso in esame non può ritenersi che il giudice a quo abbia fatto buon governo di tali consolidati principi, avendo la Corte d’appello apoditticamente ritenuto che non vi fosse prova che il rapporto lavorativo fosse stato concluso esclusivamente a causa della condanna per il reato di violenza sessuale e della carcerazione, senza confrontarsi con quanto addotto dal ricorrente circa l’interruzione del rapporto di lavoro a partire dalla data in cui egli venne arrestato.

Così come in relazione alla tematica relativa al mancato reperimento di una nuova attività lavorativa una volta terminata la carcerazione, manca ogni riferimento alla problematica relativa alla risonanza mediatica della vicenda, anche in considerazione della natura del reato per il quale il ricorrente era stato condannato.

Così come la possibilità di far valere nei confronti della parte civile pretese restitutorie non elide la valutabilità in sede di riparazione dell’errore giudiziario delle conseguenze patrimoniali della vendita dell’immobile, per di più ad un prezzo non adeguato al valore commerciale di quest’ultimo, addotte dal ricorrente.

Manca poi totalmente la tematizzazione del profilo inerente al danno alla salute, dovendosi valutare quanto dedotto al riguardo dal ricorrente, onde è da ravvisarsi anche il vizio di mancanza di motivazione, che è configurabile non solo allorquando quest’ultima venga completamente omessa ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio (Sez. 6, 27151 del 27-6-2011; Sez. 6, n. 35918 del 17-6-2009, Rv. 244763).

3. È fondato anche l’ultimo motivo di ricorso.

Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che in sede di giudizio di revisione è stata acclarata l’assenza di DNA dell’istante nei reperti relativi ai prelievi vaginali della persona offesa effettuati in ambito ospedaliero il giorno della denunziata violenza sessuale e rimasti ivi conservati.

L’accertamento di ufficio al riguardo era stato infruttuosamente sollecitato dall’imputato alla Corte d’appello di L’Aquila, adita con il gravame da lui proposto.

La questione era stata prospettata altresì dall’imputato in sede di ricorso per cassazione.

Contraddittoriamente pertanto il giudice a quo ha addebitato al (OMISSIS) un profilo di colpa consistente in una tardiva attivazione degli strumenti di analisi del reperto, con conseguente verifica delle risultanze del DNA, pur evidenziando che l’imputato già nell’originario giudizio di cognizione aveva prospettato la problematica e ritualmente formulato istanza volta all’effettuazione di accertamenti al riguardo, censurando anche la risposta negativa della Corte d’appello in sede di ricorso per cassazione.

4. L’ordinanza impugnata va dunque annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Campobasso.

In ragione del titolo di reato sottostante, si impone l’oscuramento dei dati personali.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Campobasso.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lg. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 12/1 /2023.

Depositato in Cancelleria, oggi 17 aprile 2023.

SENTENZA – originale -.