REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BELTRANI Sergio – Presidente –
Dott. PARDO Ignazio – Rel. Consigliere –
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –
Dott. FLORIT Francesco – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 16/11/2021 della CORTE di APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott. IGNAZIO PARDO;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Letti i motivi aggiunti depositati dalla difesa dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1.1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 16 novembre 2021, confermava la pronuncia del Tribunale di Bologna del 24 novembre 2016 che aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) alle pene di legge in quanto ritenuto responsabile dei delitti di ricettazione ed utilizzo illecito di carta di credito.
1.2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to (OMISSIS), deducendo con distinti motivi qui riassunti, ex art. 173 disp.att. cod.proc.pen.:
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in punto di configurabilità del reato di ricettazione in luogo dell’ipotesi di cui all’art. 647 cod.pen. così che avrebbe dovuto essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato; al proposito si esponeva che la riconducibilità della carta di credito ad un soggetto determinato non poteva valere a qualificare la condotta illecita ai sensi dell’art. 648 cod.pen. quando il titolare non abbia avuto alcun rapporto materiale con la cosa; circostanza verificatasi nel caso in esame in cui la persona offesa in sede di denuncia aveva dichiarato di non avere ricordo del luogo in cui la carta di pagamento era stata lasciata; in ogni caso il fatto andava al più qualificato come ipotesi di furto semplice come dallo stesso ricorrente dichiarato;
– difetto di motivazione per apparenza e manifesta illogicità quanto alla omessa valutazione della circostanza attenuante di cui all’art. 648 cpv (oggi comma 4) cod.pen. posto che l’unico dato certo era costituito dal profitto (pari a 1000 euro) conseguito;
– difetto di motivazione e manifesta illogicità quanto alle deduzioni difensive avanzate con il terzo motivo di appello ed in specie in relazione al beneficio di cui all’art. 175 cod.pen ..
Con motivi nuovi la difesa deduceva ancora:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale in punto di configurabilità del reato di appropriazione indebita di cosa smarrita in relazione al reato contestato al capo a); doveva pertanto disporsi l’annullamento senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;
– difetto di motivazione nella forma della motivazione manifestamente illogica in punto di configurabilità del reato di furto semplice;
– intervenuta prescrizione in relazione al reato contestato al capo b) dell’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1. Tutti i motivi appaiono reiterativi di questioni ed aspetti già devoluti all’analisi della Corte di appello che ha fornito adeguate e congrue risposte ed il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Ed invero, quanto al primo motivo, costituisce ius receptum l’affermazione secondo cui nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni, le carte di credito o le carte postepay, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne impossessa senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e che l’ulteriore circolazione del bene mediante il trasferimento a terzi comporta l’integrazione del reato di ricettazione da parte dei successivi possessori (Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019, Rv. 278225 – 01).
Ed in motivazione la suddetta pronuncia ha precisato che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art.647 cod. pen. è richiesta la sussistenza di tre presupposti: che la cosa rinvenuta sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; che sia impossibile per il legittimo detentore ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi; che siano assenti segni esteriori pubblicitari tali da consentire di identificare il legittimo possessore (Sez. 5, n. 11860 del 22/09/1998, Rv. 211920).
Nel caso in esame invece i segni esteriori del bene ne attestavano a tutti l’appartenenza ad un preciso legittimo titolare.
Pertanto, posto che il reato presupposto è sempre quello di furto, la successiva circolazione della carta mediante il trasferimento ad altri integra proprio l’ipotesi di ricettazione; del resto ciò che rileva ai fini della qualificazione giuridica della condotta è la situazione psicologica dell’agente e non anche quella del titolare del bene che per ragioni diverse può momentaneamente non essere in grado di esercitare il potere di fatto sulla cosa.
Ove, quindi, per le caratteristiche intrinseche dell’oggetto, sia individuabile il suo titolare, chi si appropri dello stesso commette il delitto di furto e non appropriazione di cosa smarrita, impossessandosi appunto di bene altrui e la successiva circolazione comporta la contestazione ai successivi possessori della fattispecie di ricettazione perché anche loro nella condizione psicologica di conoscere l’altruità della cosa e la sua origine illecita.
La depenalizzazione della ipotesi di cui all’art. 647 cod.pen. non comporta, pertanto, alcun effetto sotto il profilo della punibilità delle condotte di chi si appropri inizialmente ovvero di chi venga in possesso dopo il primo furto, di beni come le carte di credito, le carte postepay ovvero le tessere bancomat che rechino gli elementi identificativi della loro titolarità, poiché in tutti questi casi, essendo evidente l’appartenenza ad altri del mezzo di pagamento non vi è appropriazione di cose smarrite bensì sottrazione al titolare, in quel dato momento impedito dall’esercitare il controllo sulla cosa ed un potere di fatto sulla stessa, senza però avere mai rinunciato alla sua titolarità.
L’applicazione del suddetto principio, che risulta già recepito dal giudice di appello, comporta pertanto ritenere manifestamente infondato perché reiterativo il motivo di ricorso con il quale si insiste per la differente qualificazione.
Analogamente manifestamente infondato appare la doglianza in punto riqualificazione del fatto nei termini del furto semplice posto che la confessione dell’imputato sul punto è generica ed anche tardivamente resa.
Al proposito va fatta applicazione del principio secondo cui risponde di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità della refurtiva, in assenza di elementi probatori univocamente indicativi del suo coinvolgimento nella commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine della predetta disponibilità. (Sez. 2, n. 43427 del 07/09/2016, Rv. 267969 – 01); e nel caso di specie tali elementi univocamente indicativi dell’avvenuta commissione del furto da parte del ricorrente non appaiono sussistere non avendo nemmeno il ricorso indicato le precise circostanze di tempo e luogo ove l’impossessamento sarebbe avvenuto.
2.2. Anche gli altri motivi sono manifestamente infondati posto che:
– la corte di appello ha respinto la qualificazione dei fatti come ipotesi lieve di cui all’art. 648 quarto comma cod.pen. in ragione della piena disponibilità del limite di spesa che il ricorso contesta sottolineando però, in maniera contraddittoria, come lo stesso profitto ottenuto illecitamente non sia certamente secondario (1.000 €.);
– la negazione del beneficio invocato è pure connessa a considerazioni prive di illogicità tanto più manifesta e pertanto non sindacabili nella presente sede.
Le ragioni complessivamente sopra esposte comportano la dichiarazione di manifesta infondatezza anche dei motivi nuovi che ribadiscono doglianze già dedotte con l’impugnazione principale.
Quanto alla dedotta prescrizione va rammentato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 – 01).
3.1. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 comma terzo cod.proc.pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in €. 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 1 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria – Seconda Sezione Penale, il 13 aprile 2023.