REPUBBLICA ITALIANA
in nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –
Dott. GIORDANO Bruno – Consigliere –
Dott. CAPPELLO Gabriella – Relatore –
Dott. D’ANDREA Alessandro – Consigliere –
Dott. RICCI Anna Luisa Angela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a TORRE DEL GRECO il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 16/02/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
svolta la relazione dal Consigliere Dott.ssa GABRIELLA CAPPELLO;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto, Dott. Aldo CENICCOLA, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato la richiesta di riconoscimento di un indennizzo a titolo di riparazione per ingiusta detenzione, presentata nell’interesse di (omissis) (omissis), in relazione alla privazione della libertà da costui subita, in esecuzione di un titolo cautelare emesso per il reato di omicidio ai danni dei suoi genitori, confermato dal Tribunale del riesame in sede di rinvio, a seguito di un primo annullamento, reato dal quale egli era stato assolto per non aver commesso il fatto.
2. Il giudice della riparazione, ricostruita la vicenda processuale che fa da sfondo al presente procedimento, ha ritenuto la sussistenza di un comportamento del (omissis) ostativo all’insorgenza del diritto azionato, tradottosi in una condotta improntata a grave imprudenza che aveva contribuito a delineare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quello che era stato ritenuto il movente (economico) dell’omicidio.
In particolare, la Corte partenopea ha ritenuto la condizione ostativa alla ‘stregua di quattro distinti comportamenti del (omissis), rimasti provati nel giudizio di merito, ancorché ritenuti privi di rilevanza penale, comportamenti che ha tratto dalla stessa sentenza assolutoria e considerati eccentrici anche in quella sede.
Il riferimento è, nello specifico, alla circostanza che il richiedente, dopo aver scoperto l’omicidio dei suoi genitori e ricevuto dall’operatore del 112 l’avvertimento di non toccare nulla (egli essendo peraltro soggetto che aveva esercitato, sia pur abusivamente, una professione legale, cfr. fg. 5 dell’ordinanza impugnata), aveva tanto negligentemente, quanto imprudentemente, asportato dalla scena del delitto, sulla quale si sarebbero poi concentrate le indagini, un portacarte contenente alcuni documenti e buoni fruttiferi che aveva poi occultato sulla propria autovettura.
La stessa Corte dell’assoluzione aveva stigmatizzato la freddezza di un simile comportamento, a fronte della scena raccapricciante che l’uomo si era trovato di fronte, ritenendolo però non decisivo per fondare il movente del delitto.
La Corte della riparazione ha ritenuto fortemente imprudente, nella specie, non solo la scelta del (omissis) di procedere a tale prelievo, ma anche quella di non averlo comunicato subito agli organi d’indagine.
Peraltro, nella stessa serata in cui era avvenuta la scoperta dei cadaveri, la polizia aveva perquisito l’auto del (omissis) e costui, nelle more dell’accertamento, si era risolto a consegnare la valigia porta documenti.
Sotto altro profilo, poi, la Corte della riparazione ha ritenuto gravemente imprudente la scelta del (omissis) di non collaborare con gli organi d’indagine al fine di ricostruire il suo stato finanziario, a fronte dell’addensarsi degli indicatori di un movente del duplice delitto di natura economica, egli avendo omesso di riferire elementi idonei a confutare l’assunto di problemi economici a sostegno del movente del delitto.
In terzo luogo, la Corte della riparazione ha ritenuto imprudente la sottovalutazione della circostanza che, per ben quattro giorni, i genitori non avessero risposto al telefono, nonostante egli si fosse attivato con la sorella e con qualche vicino per avere notizie, ciò essendosi tradotto in un’evidente violazione dell’organizzazione che lo stesso aveva concertato con la sorella al fine di controllare il benessere dei due anziani che non versavano in buone condizioni di salute e che non erano soliti restare soli, l’ultima volta ciò essendo accaduto per un tempo non superiore a due giorni.
Infine, il giudice della riparazione ha ritenuto eccentrica la scelta di tacere a familiari stretti (la sorella e un cugino) le circostanze (violente) della morte dei genitori, anche tale ritrosia essendo stata considerata del tutto anomala in quello specifico contesto.
3. La difesa ha proposto ricorso, formulando tre motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di norme processuali, rilevando che la Corte della riparazione sarebbe incorsa nell’erronea applicazione delle regole che sovrintendono alla valutazione della gravità indiziaria, non avendo cioè verificato, nel concreto, se gli elementi valorizzati dal giudice della cautela fossero tali da ingenerare l’errore nel quale era incorso.
Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge sostanziale e processuale con riferimento all’omessa valutazione di elementi decisivi ai fini del riconoscimento del diritto azionato: quelli valorizzati per ritenere la condizione negativa sarebbero, a parere del deducente, contraddetti da altri atti richiamati dalla Corte, non suscettibili di diversa interpretazione, rilevando, nello specifico:
– che l’autovettura era stata sequestrata il giorno dopo l’omicidio e che il (omissis) si era recato prima del sequestro a rendere sommarie informazioni sul prelievo del portacarte;
– che le fonti di reddito del ricorrente erano emerse in modo chiaro nella fase delle indagini preliminari, essendosi accertato che egli era titolare di un contro corrente con un attivo di oltre euro 19.000,00;
– che la sottovalutazione dei quattro giorni di assenza di notizie dei genitori e il silenzio sulle modalità della loro morte non potrebbero costituire elementi sintomatici di una colpa grave, dovendosi la valutazione operare ex ante e non avendo la Corte della riparazione tenuto conto di quanto affermato dal giudice dell’assoluzione, con riferimento agli episodi di silenzio verificatisi in passato alla stregua dei quali non poteva dirsi anomalo il non sentirli per un paio di giorni.
Con il terzo motivo, infine, ha dedotto vizio di omessa motivazione in riferimento alle circostanze addotte nella sentenza assolutoria che ha ritrascritto in ricorso per ampi stralci ai fini dell’autosufficienza di esso, inferendone circostanze in fattoi tali da non consentire di addivenire alla decisione reiettiva censurata quanto al movente economico e alla appropriazione dei titoli.
4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Dott. Aldo CENICCOLA, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La Corte d’appello ha ricostruito l’iter processuale che fa da sfondo al presente procedimento, rilevando che la misura, dapprima annullata per carenza di motivazione, era stata reiterata e confermata a seguito del secondo giudizio di legittimità.
Ha richiamato gli elementi valutati in sede cautelare, soprattutto quelli che avevano erroneamente convinto gli inquirenti della matrice economica del movente del delitto, procedendo al doveroso vaglio delle ragioni dell’assoluzione, al fine di verificare la conferma degli elementi che, valutati in sede cautelare, non avevano superato lo scrutinio della rilevanza penale.
Ha, dunque, esposto tali elementi, precisandone la conferma in termini di comportamenti effettivamente tenuti dall’interessato, inferendone un suo contributo causale alla privazione della libertà personale.
Si tratta di comportamenti attivi (prelievo documenti dalla scena del crimine al momento della sua scoperta da parte del (omissis); silenzio serbato con i familiari sulle modalità violente della morte dei genitori; mancata reazione dopo i quattro giorni di silenzio da parte delle vittime), ma anche del silenzio serbato, in sede di indagini, sulle proprie condizioni economiche.
Il comportamento, secondo i giudici della riparazione, aveva contribuito a creare l’apparenza di un suo coinvolgimento nell’efferato crimine, ponendosi in termini di contributo causale sinergico rispetto alla privazione ingiusta della sua libertà.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In linea generale, va ricordato che, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606).
Va, poi, ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082).
Inoltre, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo alla insorgenza del diritto azionato ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine.
Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni, Rv. 276458).
In altri termini, vi è completa autonomia tra il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione e quello di cognizione, poiché essi impegnano piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (sez. 4 n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, Patanella, Rv. 262957).
4. Tale essendo la cornice di diritto nella quale va esaminato il caso di specie, del tutto eccentrica è la prima doglianza formulata con il ricorso: la verifica che il giudice della riparazione deve condurre non riguarda la sussistenza di un grave quadro indiziario, bensì la ricorrenza di un contributo personale dell’interessato, connotato almeno da colpa grave, che abbia determinato o concorso a determinare l’apparenza di quella gravità indiziaria.
5. Il secondo motivo è altrettanto manifestamente infondato: la difesa ha inteso proporre in questa sede una sua diversa valutazione dei dati rimasti accertati, formulando conclusioni che puro merito, precluse in sede di legittimità.
Nelle formulate censure, invero, non si rinviene alcuna indicazione atta a prospettare una contraddizione intrinseca o estrinseca dell’iter argomentativo seguito dalla Corte della riparazione; né la sua illogicità (che, per rilevare in questa sede, peraltro, avrebbe dovuto essere manifesta) o una sua incongruità rispetto al vaglio sulla condizione negativa; necessario ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen.
Peraltro, sebbene il riferimento al silenzio serbato dal SORRENTINO sulle proprie condizioni economiche non possa considerarsi oggi astrattamente valutabile in termini di comportamento ostativo [l’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188 avendo interpolato l’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. aggiungendo un periodo, con il quale si esclude ogni rilevanza al silenzio serbato dall’indagato su elementi di indagine significativi, nell’esercizio della facoltà prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen.], la circostanza, neppure tradottasi in apposito rilievo difensivo, si pone a completamento di una valutazione (con la quale si è soprattutto stigmatizzata l’eccentricità, ritenuta anche dal giudice dell’assoluzione, della sottrazione dei documenti dalla scena del delitto) che, già di per se stessa, è idonea a fondare le conclusioni rassegnate.
Cosicché, anche espungendo il riferimento al silenzio sopra richiamato, il ragionamento esplicativo resta idoneo a sorreggere la motivazione, ampiamente resistendo alle critiche difensive.
6. Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammenda.
Deciso il 20 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2024.