A confronto i reati di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento e di truffa (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 9 agosto 2022, n. 30823).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella – Presidente –

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. D’ANDREA Alessandro – Rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIANCARLO nato il 27/01/1960;

avverso la sentenza del 29/01/2021 della CORTE APPELLO di TRENTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO D’ANDREA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 gennaio 2021 la Corte di appello di Trento ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 19 luglio 2019 con cui (OMISSIS) Giancarlo era stato condannato, riconosciuta l’attenuante del risarcimento del danno in termini di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

1.1. Il (OMISSIS) era stato condannato in quanto ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 110, 624 e 625, n. 2, cod. pen., perché, in concorso con (OMISSIS) Gianni (giudicato separatamente), inducendo in errore (OMISSIS) Luca in merito alla necessità di dover provvedere al cambio di alcune banconote da 500 euro da parte dell'(OMISSIS) – presentatosi con la falsa identità di Springhetti Mirko – per la complessiva cifra di 5.000,00 euro, facendo nel contempo balenare alla vittima la possibilità di operare come intermediario nella vendita di immobili e per la progettazione della ristrutturazione di beni appartenenti ad un fantomatico zio, lo avevano persuaso a venire presso l’abitazione del finto Springhetti insieme al (OMISSIS) dove, dopo avergli dimostrato che le banconote da 500 euro non erano false, gli avevano fatto estrarre una busta contenente 5.000,00 euro che l'(OMISSIS) gli aveva immediatamente sottratto di mano, portandola in un’altra stanza ed allontanandosi dal locale, in tal maniera sottraendogli il denaro con mezzo fraudolento, consistito nell’avere attirato la vittima in casa con la scusa di dover cambiare delle banconote, nonché nell’avere utilizzato un falso nome. Con recidiva reiterata specifica.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) Giancarlo, a mezzo del suo difensore, eccependo due motivi di censura.

Con il primo ha dedotto inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110, 624, 625, n. 2 e 640 cod. pen., oltre ad illogicità e carenza di motivazione.

Il ricorrente lamenta l’erroneità con cui la Corte di merito ha ritenuto di riconoscere la sua responsabilità concorsuale in ordine all’integrazione del reato ascrittogli, in particolar modo considerati taluni aspetti di decisivo rilievo, invece non valutati dai giudici di appello, e cioè il fatto che:

– la condotta del (OMISSIS) si sarebbe limitata unicamente a presentare, del tutto occasionalmente, due persone a lui entrambe note;

– il ricorrente non avrebbe saputo l’esatta identità dell'(OMISSIS), spontaneamente presentatosi al (OMISSIS) con il nome di Springhetti Mirko;

– il (OMISSIS) non sarebbe mai intervenuto nei colloqui e negli accordi di lavoro o finanziari intervenuti tra lo Springhetti/(OMISSIS) e la vittima;

– il (OMISSIS) si sarebbe determinato volontariamente a cambiare il denaro allo Springhetti/(OMISSIS), nonché a consegnargli la busta contenente la somma di 5.000,00 euro;

– l’appropriazione della busta da parte dello Springhetti/(OMISSIS) sarebbe avvenuta con un gesto repentino ed imprevisto;

– sarebbe stato il (OMISSIS) a chiedere al ricorrente di accompagnarlo presso l’abitazione dello Springhetti/(OMISSIS), così da fargli svolgere la funzione di garante;

– scoperto l’inganno, il (OMISSIS) si sarebbe prodigato per far recuperare il denaro alla vittima, come poi effettivamente avvenuto;

– nessun profitto è stato tratto dall’imputato in conseguenza del fatto criminoso contestatogli.

Oltre a non aver offerto, con la propria condotta materiale, nessun contributo causale alla verificazione del delitto, il (OMISSIS) afferma, poi, che nel caso di specie non è configurabile la contestata aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, non ricorrendone la presenza dei presupposti fattuali – tali non potendo essere considerate le circostanze di avere attirato la vittima in casa o di avere utilizzato un falso nome -.

In ogni caso, la suddetta aggravante non potrebbe, comunque, essere mai estesa alla posizione del (OMISSIS), tenuto conto degli effettivi contenuti della sua condotta, avendo costui solo accompagnato il (OMISSIS) presso l’abitazione dello Springhetti/(OMISSIS), peraltro in ossequio ad espressa richiesta della vittima.

L’insussistenza di tale aggravante comporterebbe, quindi, la pronuncia della declaratoria di estinzione del reato per intervenuta remissione della querela.

Dovrebbe applicarsi, altresì, la disciplina prevista dall’art. 162-ter cod. pen., con conseguente pronuncia dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, avendo l’imputato riparato integralmente il danno cagionato dal reato.

Per il (OMISSIS), inoltre, la condotta ascrittagli potrebbe solo integrare, al più, la fattispecie di truffa, e non già del contestato reato di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, alla luce dell’avvenuta consegna spontanea della busta da parte della persona offesa, e cioè in ragione di un consenso esplicito da questi espresso alla dazione del denaro, transitato non invito domino – come, invece, richiesto per il delitto di furto – bensì mediante la concreta collaborazione offerta da parte della persona offesa.

Con la seconda doglianza il ricorrente ha eccepito inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., oltre ad illogicità e carenza di motivazione, lamentando l’erroneità delle argomentazioni con cui la Corte territoriale ha ritenuto di non riconoscergli la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

2. L’esame dell’impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede eccepite ripropongano le stesse doglianze dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non può che ribadirsi quanto già, più volte, chiarito da parte di questa Corte, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838-01).

3. In ogni modo, a prescindere dalla decisività della superiore argomentazione, il Collegio rileva come le censure eccepite con il primo motivo di ricorso, in ordine alla mancata considerazione di specifici elementi di valutazione idonei ad escludere la penale responsabilità dell’imputato, nella sostanza riguardino la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove assunte, e cioè questioni non passibili di valutazione in questa sede, atteso che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).

Esula, quindi, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01).

Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601- 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01).

E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.

4. Ebbene, nel caso di specie può senz’altro ritenersi che la Corte territoriale, dando adeguato riscontro alle doglianze dedotte da parte dell’imputato, abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile in cui la vicenda è da ritenersi si sia svolta.

Nella sentenza impugnata, infatti, la Corte di appello ha diffusamente rappresentato, con argomentazioni logiche e congrue, le ragioni della ritenuta compartecipazione concorsuale del (OMISSIS) all’integrazione della condotta criminosa, indicando i diversi elementi logici di riscontro su di lui gravanti.

Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, infatti, la Corte di merito ha espressamente evidenziato, con ragionamento del tutto logico e adeguato, nonché privo di vizio alcuno, come il (OMISSIS) abbia fattivamente contribuito, in vario modo, alla consumazione del crimine, in particolare: presentando sin da subito lo Springhetti/(OMISSIS) come un proprio e fidato amico; insistendo molto per convincere il (OMISSIS) a cambiare i soldi al suo amico, rappresentandogli che era gente seria, che conosceva bene il fantomatico zio che avrebbe dovuto effettuare lavori edili e che certamente lo Springhetti/(OMISSIS) si sarebbe adoperato per far espletare tali opere proprio al (OMISSIS); in ragione delle sue rassicurazioni, la vittima si era fidata di andare presso l’abitazione dello Springhetti/(OMISSIS); dopo l’avvenuto spossessamento del denaro, il (OMISSIS) si era particolarmente prodigato per convincere il (OMISSIS) a non chiamare i Carabinieri, perfino ammonendolo che lo Springhetti/(OMISSIS) era in possesso di una pistola.

A fronte di tali inequivoche argomentazioni, le censure mosse dal ricorrente si appalesano, quindi, come sostanzialmente volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione resa, appare del tutto infondato.

5. Parimenti inammissibili, poi, sono le argomentazioni con cui il ricorrente ha censurato la configurabilità, nel caso di specie, dell’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, con conseguente richiesta di riqualificazione del delitto in termini di furto semplice e dichiarazione della sua estinzione per intervenuta remissione della querela.

L’indicata doglianza postula, infatti, una nuova lettura alternativa dei fatti per cui è giudizio, non consentita in questa sede di legittimità.

Per come congruamente motivato dai giudici di merito, l’aver sin dall’inizio assunto l'(OMISSIS) un nominativo finto, per poi indurre la vittima, con l’imprescindibile contributo rafforzativo del (OMISSIS) e la prospettazione dell’ipotetico vantaggio di poter lucrare guadagni dall’espletamento di lavori edili presso immobili di un inesistente zio, ad effettuare lo scambio del denaro, operandone la relativa dazione presso un’abitazione in uso all'(OMISSIS), rappresenta, all’evidenza, un modus operandi finalizzato alla sottrazione del denaro che ben può essere qualificato, come ritenuto nella sentenza impugnata, nell’ambito di operatività della circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 2, cod. pen.

In tema di furto, infatti, è configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento in presenza di qualunque azione insidiosa, improntata ad astuzia o scaltrezza, atta a soverchiare o sorprendere la contraria volontà del detentore della cosa, eludendo gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa della stessa (cfr., in questi termini: Sez. 4, n. 10041 del 06/12/2018, dep. 2019, Chaketadze, Rv. 275271-01; Sez. 7, n. 8757 del 07/11/2014, dep. 2015, Bontempi, Rv. 262669-01).

6. Né può essere ipotizzata la qualificazione del delitto nell’alveo della fattispecie della truffa, come pure prospettato dal (OMISSIS) in seno al proprio ricorso, risultando giuridicamente corrette le difformi argomentazioni espresse da parte dei giudici di secondo grado.

Per come da questi ultimi congruamente osservato, infatti, «sebbene sia stato lo stesso (OMISSIS) a consegnare la busta con il denaro direttamente nelle mani dello (OMISSIS)/Springhetti, va ricordato che quest’ultimo, ottenuto il denaro con il pretesto di un cambio di banconote da 500 euro con banconote di taglio inferiore, è dapprima rientrato nell’abitazione passando da una finestra, verosimilmente dopo avere consegnato la busta con i soldi ad una terza persona (che il fratello della p.o. ha visto allontanarsi a tutta velocità a bordo di un’auto modello Focus) e poco dopo sia il (OMISSIS) che l'(OMISSIS) si sono allontanati con dei pretesti, lasciando sul posto solo il (OMISSIS) con il fratello».

Lo spossessamento, quindi, è stato correttamente considerato come avvenuto in carenza di un qualsiasi consenso espresso da parte della parte offesa, così qualificando il fatto in termini di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, e non di truffa, in ossequio al principio espresso da questa Corte di legittimità per cui il criterio distintivo tra il reato di furto, aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, e il reato di truffa, va ravvisato nell’impossessamento mediante sottrazione “invito domino” che caratterizza il primo e manca nel secondo, nel quale, invece, il trasferimento del possesso della cosa avviene con il consenso del soggetto passivo, consenso viziato da errore per effetto degli artifici e raggiri posti in essere dall’agente (coì, tra le altre, Sez. 5, n. 6876 del 06/04/1999, Montaruli, Rv. 213601-01).

E’ configurabile, cioè, il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento allorquando lo spossessamento si verifica invito domino e, dunque, contro la volontà del legittimo titolare del diritto di disporre del bene in questione e, in sostanza, di privarsene, mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della cosa si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima (cfr. Sez. 4, n. 5435 del 09/11/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 275019-01).

Il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento ricorre, pertanto, ogni qualvolta la consegna del bene non sia un atto dispositivo riconducibile alla libera autodeterminazione della persona offesa di spossessarsene, acconsentendo ad una definitiva uscita del bene dalla propria sfera patrimoniale in virtù di una determinazione viziata dagli altrui artifizi o raggiri, ma sia determinata da una strumentale condotta fraudolenta, che ponga l’agente in condizioni di operare la diretta apprensione del bene, dopo essersene procurato l’immediata disponibilità materiale a titolo precario e senza che si determini lo spossessamento giuridico del titolare del diritto, contro la volontà del medesimo.

In altri termini, configura il delitto di furto, aggravato dal mezzo fraudolento, l’interversione nel possesso della cosa altrui di cui l’agente sia riuscito a procurarsi, in virtù di una strumentale condotta artificiosa, la mera detenzione, realizzandosi in tal modo la condotta di sottrazione, mediante spossessamento, di cui all’art. 624 cod. pen.

Nel reato di truffa, invece, la definitiva cessione del bene da parte dell’avente diritto si realizza attraverso un atto dispositivo patrimoniale volontario e consapevole, indotto attraverso una falsa rappresentazione della realtà da parte del soggetto agente, tale da determinare la persona offesa all’immissione in possesso.

Risulta, allora, del tutto corretta la qualificazione giuridica del fatto in esame nell’ipotesi di furto aggravato ex artt. 624 e 625, n. 2, cod. pen., così come contestato all’imputato e ritenuto dai giudici di merito, osservato che la prospettazione artificiosa da parte del (OMISSIS) e dell'(OMISSIS) non è sfociata nell’ottenimento di un atto di disposizione patrimoniale compiuto dalla persona offesa, ma nella realizzazione maliziosa di condizioni di affidamento da parte di quest’ultima per impossessarsi poi repentinamente, invito domino, della sua busta contente il denaro.

Lo spossessamento si è realizzato nel momento di apprensione di tale busta, ma esso è stato anticipato da una precedente fase preparatoria in cui, con l’inganno ordito, ne è stata semplicemente facilitata la consumazione.

7. All’evidenza priva di qualsiasi fondamento è, poi, l’invocata applicabilità, nel caso di specie, della disciplina prevista dall’art. 162-ter cod. pen., con conseguente pronuncia dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, per avere l’imputato riparato integralmente il danno cagionato dal reato.

Rileva, in particolare, la palese insussistenza dei presupposti normativi, specificati dall’indicata disposizione, necessari a consentire l’applicazione del richiesto istituto.

La causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. è rilevabile, infatti, in sede di legittimità, nei processi in cui la dichiarazione di apertura del dibattimento sia successiva alla data di entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, a condizione che la condotta riparatoria sia intervenuta entro il termine massimo rappresentato da detta dichiarazione, e che il giudice di merito abbia sentito le parti e valutato la congruità della somma offerta (Sez. 4, n. 39304 del 14/10/2021, Schopf, Rv. 282059-01) – come, invero, non avvenuto nel caso di specie -.

8. Del pari inammissibile, infine, è anche l’ultima doglianza eccepita dal (OMISSIS), avente ad oggetto l’erroneità delle argomentazioni con cui la Corte territoriale non gli ha concesso il beneficio previsto dall’art. 62-bis cod. pen.

Il Collegio rileva, in termini antiteci, come la Corte di appello abbia fornito adeguata e logica motivazione della decisione assunta, facendo riferimento, sia pur implicitamente, ai parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., evidenziando come – escludendosi di poter dare nuovamente rilievo all’intervenuto risarcimento della persona offesa – le circostanze relative al fatto e alla condotta tenuta dal prevenuto non consentissero il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Trattasi di motivazione che, per quanto stringata, ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare la concessione del beneficio ex art. 62-bis cod. pen., senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite.

Il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è, pertanto, giustificato da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01).

D’altro canto – in particolare dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. disposta dal dl. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla I. 24 luglio 2008, n. 125 – è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri, ex art. 133 cod. pen.

In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza.

Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01).

In altri termini, l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241-01).

9. In esito alle superiori considerazioni, deve, pertanto, essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 15 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.