LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati:
dott. Adriano Piergiovanni Patti Presidente
dott. Roberto Riverso Consigliere
dott.ssa Carla Ponterio Consigliere
dott. Francescopaolo Panariello Consigliere – Rel.
dott. Guglielmo Cinque Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3814/2021 r.g., proposto da
(omissis) (omissis) elett. domiciliato in (omissis), rappresentato e difeso dall’avv. (omissis) (omissis)
ricorrente
contro
Ospedale Generale Regionale (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elett. dom. in (omissis), presso avv. (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’avv. (omissis) (omissis);
controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 948/2020 pubblicata in data 21/07/2020, n.r.g. 1715/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 31/01/2024 dal Consigliere dott. Francescopaolo Panariello.
RILEVATO CHE
1.- (omissis) (omissis) era stata dipendente dell’Ospedale indicato in epigrafe dal 17/02/1978 al 31/07/2011 (data in cui era stata collocata in pensione) con mansioni di infermiera generica ed il suo rapporto di lavoro subordinato era stato disciplinato dal ccnl comparto sanità.
Alla cessazione del rapporto di lavoro aveva percepito a titolo di t.f.r. la somma di euro 52.889,36, mentre quella a lei spettante, ai sensi dell’art. 2120 c.c., ammontava ad euro 64.160,78, poiché le deroghe in peius previste dal contratto collettivo erano ambigue e quindi inapplicabili.
Adiva il Tribunale di Foggia per ottenere la condanna dell’Ospedale al pagamento della somma di euro 11.271,42 a titolo di differenza di t.f.r.
2.- Costituitisi il contraddittorio, espletata una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava l’Ospedale a pagare alla ricorrente la somma di euro 8.475,86.
3.- Espletata una nuova consulenza tecnica d’ufficio cantabile, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla (omissis) (omissis) volto ad ottenere l’integrale accoglimento della domanda in adesione alla relazione integrativa espletata dal consulente tecnico d’ufficio di primo grado su richiesta del Tribunale, e, in accoglimento di quello proposto dall’Ospedale, rigettava la domanda dell’ex lavoratrice.
Per quanta ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) vanno condivise le considerazioni del c.t.u., secondo cui dalla base di calcolo del t.f.r. devono essere escluse l’indennità di mensa, perché non avente natura retributiva, e ii fondo di incentivazione, perché non avente carattere di emolumento fisso e continuativo;
b) all’indennità integrativa speciale trovano applicazione i limiti di computo previsti dall’art. 5 n. 297/1982, attesa la sua natura analoga all’indennità di contingenza.
4.- Avverso tale sentenza (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- L’Ospedale Generale Regionale (omissis) (omissis), ha resistito con controricorso.
6.- (omissis) (omissis) ha depositato memorie.
7.- II Collegio si e riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 2120 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di rilevare la fondatezza dei rilievi critici da lei opposti alla bozza di relazione, sui quali il C.T.U. non aveva dato esauriente risposta.
In particolare, con riguardo al t.f.r. accantonato al 31/05/1982 deduce che la Corte d’Appello non avrebbe preso in esame i suoi rilievi, secondo cui :
a) a fronte del rilievo critico alla bozza di c.t.u. di non aver considerato che il t.f.r. accantonato al 31/05/1982 fosse pari ad euro 1.475,15 e non ad euro 1.108,44 (calcolato dall’ausiliario), il consulente tecnico d’ufficio aveva risposto che tale divergenza era la conseguenza dell’esclusione, dalla base di computo, dell’indennità di contingenza pari ad euro 215,92. Assume che tale conclusione é errata, posto che euro 1.475,15 – 215,92 da il risultato di euro 1. 259 ,23 e non di euro 1.108,44 calcolato dall’ausiliario;
b) a fronte della dichiarazione dell’ausiliario di aver utilizzato nella base di computo come “retribuzione utile” tutte le voci che compaiono nella busta paga di maggio 1982, il consulente tecnico d’ufficio considera come tale l’importo di lire 227 invece che quello esatto di lire 936.702, escludendo contraddittoriamente le voci nn. 29 (indennità notturna) e 33 (ind. fest. in serv.) senza dare alcuna motivazione, pur essendo quelle voci fisse e continuative come risultava dalle buste paga prodotte per l’intero anno 1982;
c) l’ulteriore spiegazione dell’ausiliario, secondo cui l’importo calcolato sarebbe inferiore a quello preteso perché non sono state conteggiate indennità di mensa e fondo di incentivazione, e del tutto irrilevante, posto che tali voci compaiono per la prima volta nelle buste paga rispettivamente di giugno 1985 e settembre 1985 e quindi non potevano in alcun modo essere state considerate nella base di computo per il t.f.r. accantonato al 31/05/1982.
II motivo é fondato.
A causa di questi evidenti errori di calcolo, ii consulente tecnico d’ufficio nominato dalla Corte territoriale e, di conseguenza, quest’ultima (che alle conclusioni del primo ha prestato adesione) hanno determinato il t.f.r. spettante al 31/05/1982 in misura non conforme all’art. 2120 c.c. nella sua originaria formulazione (relativa all’indennità di anzianità) e al ccnl applicabile al rapporto di lavoro.
Sul punto si impone pertanto la cassazione della sentenza d’appello con rinvio per un nuovo calcolo del t.f.r. da considerare accantonato al 31/05/1982, in ossequio al principio di onnicomprensività della retribuzione che era accolto nell’art. 2120 c.c. nella sua formulazione anteriore alla novella apportata dalla legge n. 297/1982.
2.- Con ii secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 5, co. 2, L. n. 297/1982, per avere il consulente tecnico d’ufficio e, quindi, la Corte territoriale (che alle conclusioni del primo ha prestato adesione) detratto punti di contingenza dall’0l/06/1982 al 31/12/1985 invece che aggiungerli, sia pure nelle misure via via crescenti previste dall’art. 5 cit., proprio con la funzione di recuperare almeno in parte gli aumenti di contingenza bloccata nel periodo 01/01/1977-01/05/1982 in virtù della legge n. 91/1977.
II motivo é fondato per quanto di ragione.
L’art. 5, L. n. 297/1982, con una disposizione transitoria, prevede:
“L’indennità di anzianità che sarebbe spettata ai singoli prestatori di lavoro in caso di cessazione de/ rapporto all’atto dell’entrata in vigore de/la presente legge e calcolata secondo la disciplina vigente sino a tale momento e si cumula a tutti gli effetti con ii trattamento di cui all’articolo 2120 de/ codice civile. Si applicano le disposizioni del quarto e quinto comma dell’articolo 2120 del codice civile.
A parziale deroga del secondo e terzo comma dell’articolo 2120 del codice civile, gli aumenti dell’indennità di contingenza o di emolumenti di analoga natura, maturati a partire dal 1 febbraio 1977 e fino al 31 maggio 1982, sono computati nella retribuzione annua utile nelle seguenti misure e scadenze:
25 punti a partire dal 1 gennaio 1983;
ulteriori 25 punti a partire dal 1 luglio 1983;
ulteriori 25 punti a partire dal 1 gennaio 1984;
ulteriori 25 punti a partire dal 1 luglio 1984;
ulteriori 25 punti a partire dal 1 gennaio 1985;
ulteriori 25 punti a partire dal 1 luglio 1985;
i residui punti a partire dal 1 gennaio 1986.
…”.
Come si evince dalla sentenza impugnata (v. p. 6), l’ausiliario ha espressamente dichiarato di applicare la predetta norma, proprio per replicare all’assunto del difensore della lavoratrice, secondo la quale tale norma non sarebbe stata applicabile al rapporto di lavoro in esame. Tuttavia l’ausiliario, pur partendo dalla somma di euro 1.475,15, quantificata dalla difesa della lavoratrice, ha dichiarato di aver detratto da quella somma tutti i punti di contingenza (che la difesa della lavoratrice aveva invece calcolato per intero). Questa detrazione totale si palesa illegittima, perché in violazione dell’art. 5 cit., che prevede diversamente una parziale e graduale rilevanza di quei punti di contingenza (o di meccanismi analoghi) secondo le cadenze temporali sopra viste.
Anche su questo punto si impone pertanto la cassazione della sentenza d’appello con rinvio per un nuovo calcolo del t.f.r. che tenga canto del parziale e graduale recupero dei punti di contingenza secondo il meccanismo dettato dall’art. 5 cit.
3.- Con ii terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2120 c.c., 6, co. 3, d.l. n. 333/1992 (conv. in L. n. 359/1992) e 11 disp. prel. c.c. per avere la Corte territoriale aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che ha escluso dalla base di computo l’indennità di mensa in virtù dell’art. 6 d.l. n. 333 cit. ed il fondo di incentivazione, senza tenere conto che ne era documentalmente dimostrata la continuativa erogazione dal 1985 (rispettivamente da giugno e settembre) in poi.
II motivo é inammissibile in relazione al fondo di incentivazione, poiché la censura si traduce nella denuncia di un travisamento della prova documentale, che allora doveva essere fatto valere sotto altra forma e con altro motivo.
Il motivo é in parte fondato in relazione all’indennità di mensa.
Il servizio mensa ha natura non retributiva come espressamente previsto dall’art. 6, co. 3, d.l. n. 333/1992 (per il quale C. Cost. con le sentenze nn. 164/1994 e 402/1993 ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale), con norma che ha avuto carattere innovativo rispetto all’interpretazione giurisprudenziale immediatamente precedente affermatasi nel periodo 1989-1992 (su cui v. l’accurata ricostruzione operata da cass. sez. un. 01/04/1993, n. 3888).
Tuttavia, come affermato da questa Corte in funzione nomofilattica (cass. sez. un. n. 3888 cit.), la norma ha avuto carattere confermativo dell’orientamento giurisprudenziale più risalente:
“II servizio mensa – il quale (sia nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L 11 luglio 1992/333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, che in quello da tale norma espresso, che assume, pertanto, il valore di disposizione “confermativa” senza porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 39, 101, 102 e 104 Cost.) ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non é causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore”.
Nondimeno, sempre nell’esercizio della nomofilachia si é precisato che tale voce può assumere natura retributiva “allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l’erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell’indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale, venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale la natura “ontologicamente” non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini” (Cass. sez. un. n. 3888 cit.).
Negli stessi termini si è poi assestata la successiva giurisprudenza di questa Corte (ex multis cass. n. 581/1994; Cass. n. 4839/1998; Cass. n. 14198/2001).
Quindi al cospetto di un rapporto di lavoro come quello oggetto della presente controversia, risalente all’anno 1978, il giudice deve considerare l’assetto della contrattazione collettiva anche anteriore al decreto legge n. 333/1992, proprio perché, é espressamente fatto salvo dall’art. 6 cit. senza dubbio applicabile ad ogni rapporto di lavoro subordinato.
Qualora la contrattazione collettiva avesse istituito un’indennità di mensa, questa voce avrebbe assunto natura retributiva e, come tale, da computare nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e poi del t.f.r. (salva diversa previsione del contratto collettivo).
La Corte territoriale non ha compiuto questo accertamento, invece doveroso, specie a fronte della deduzione della ex lavoratrice di aver percepito in modo fisso e continuativo l’indennità di mensa sin dall’anno 1985 ai sensi del ccnl applicabile.
Al riguardo, considerata la fonte regolatrice del rapporto di lavoro in esame – pacifica fra le parti – ossia il contratto collettivo del comparto sanità, va evidenziato che prima della c.d. contrattualizzazione introdotta dal d.lgs. n. 29/1993 vigeva il sistema del recepimento degli accordi sindacali in apposito d.P.R. ai sensi dell’art. 6 della c.d. legge quadro sul pubblico impiego n. 93/1983 e il d.P.R. aveva natura regolamentare (ossia fonte normativa sia pure di rango secondario), tanto da poter essere direttamente interpretato da questa Corte di legittimità e denunziata la sua violazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. (ex multis Cass. n. 6152/1993).
Orbene, l’indennità di mensa era prevista dall’art. 33 d.P.R. n. 270/1987 (poi in parte modificato dall’art. 68, co. 2, d.P.R. n. 384/1990), ossia da accordi sindacali recepiti in regolamenti governativi, espressamente fatti salvi dall’art. 6 d.l. n. 333/1992.
Quindi anche su questo punto si impone la cassazione con rinvio per un nuovo calcolo del t.f.r. che in ipotesi includa l’indennità di mensa nella base di computo, previo accertamento non soltanto della sua fissità e continuatività della sua erogazione dal 1985 in poi, ma anche e soprattutto della sua previsione da parte del contratto collettivo o degli accordi sindacali ratione temporis vigenti, condizione indefettibile per riconoscere a tale indennità natura retributiva (Cass. sez. un. n. 3888 cit.), nei limiti del valore convenzionale attribuito dalle parti sociali al servizio mensa.
Per il periodo successivo al dicembre 2001, invece, la sentenza é conforme all’art. 2120 c.c., atteso che l’art. 46 ccnl integrativo del 07/04/1999 – espressamente applicato dall’ausiliario nominato in secondo grado e alle cui conclusioni ha prestato adesione la Corte territoriale – prevede analiticamente le voci da computare nella base di calcolo del t.f.r. e fra queste non include anche l’indennità di mensa.
Si tratta di una scelta delle parti sociali compiuta nell’esercizio della “competenza” attribuita dallo stesso legislatore, mediante la riformulazione dell’art. 2120 c.c. avvenuta con la legge n. 297/1982.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2120 c.c. e 46 ccnl stipulato in data 07/04/1999 per avere la Corte territoriale riconosciuto al citato art. 46 funzione derogatoria del principio di omnicomprensività.
II motivo é inammissibile, perché si traduce in una censura all’interpretazione del dato contrattuale senza veicolarla con un motivo specifico fondato sull’asserita errata ermeneutica negoziale.
Il motivo é in ogni caso infondato.
Nella logica sottesa alla “delega” conferita dall’art. 2120 c.c., la funzione del contratto collettivo può essere assolta o mediante individuazione delle voci retributive da computare nella base di calcolo del t.f.r. oppure – all’opposto – mediante individuazione delle voci da escludere.
Nell’uno come nell’altro caso la funzione assolta e quella (tipica della parte c.d. normativa del contratto collettivo) di dettare una regola alternativa a quella dell’onnicomprensività fissata in via residuale dal legislatore.
Ne consegue che se le parti sociali decidono di esercitare questa delega mediante la scelta di determinate voci da includere nella predetta base di calcolo, deve logicamente dedursene che tutte le altre voci (pur aventi in ipotesi natura retributiva), in quanto non previste, siano da ritenersi escluse.
La tesi della ricorrente – secondo cui, ai fini della deroga dell’onnicomprensività, sarebbe sempre necessaria un’esclusione espressa delle voci retributive da non computare nella base di calcolo del t.f.r. – si traduce in una vanificazione della funzione della contrattazione collettiva e in una vera e propria interpretatio abrogans: non ci sarebbe affatto bisogno di specificare le voci computabili, dal momento che vigerebbe pur sempre il residuale principio di omnicomprensività. Questo esito e da rifiutare, perché in contrasto con il criterio di conservazione posto dall’art. 1367 c.c.
Inoltre, si finirebbe per limitare la libertà delle parti sociali di determinare ii contenuto del Contratto collettivo, poiché le si costringerebbe ad esercitare la delega di cui all’art. 2120 c.c. sempre ad excludendum e mai diversamente.
Anche questo risultato é da rifiutare, perché in contrasto con il principio della libertà sindacale (art. 39 Cost.), che nel caso in esame si traduce nella libertà di scegliere le forme, i modi ed i contenuti ritenuti insindacabilmente più adeguati per stabilire la base di calcolo del t.f.r. e selezionare a tal fine le voci retributive da computare.
Dunque, si rivela conforme a diritto la decisione del consulente tecnico d’ufficio, e quindi della Corte territoriale, di non considerare nella base di calcolo del t.f.r. tutte le voci (pur di natura retributiva) non previste nell’elenco contenuto nell’art. 46 cit. a partire dal 31 dicembre 2001, fra cui l’indennità di mensa.
5.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. per avere la Corte territoriale aderito alle conclusioni cui il consulente tecnico d’ufficio era pervenuto sulla base di documentazione prodotta dall’Ospedale nel corso delie operazioni peritali, in violazione del contraddittorio.
II motivo é inammissibile per difetto di autosufficienza.
Come affermato da questa Corte in funzione nomofilattica, “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che é onere delle parti provare (salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio)” (cass. sez. un. 01/02/2022, n. 3086).
Pertanto, la ricorrente avrebbe dovuto specificare se i documenti di cui alla sua doglianza fossero diretti a provare le eccezioni (e quindi i fatti impeditivi, modificativi o estintivi) che era onere dell’Ospedale sollevare: solo a questa condizione l’utilizzo di quei documenti si sarebbe tradotto in una nullità. Tale onere non é stato adempiuto.
Inoltre, nella stessa pronunzia questa Corte ha altresì specificato che “l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti é fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso”.
Quindi la ricorrente avrebbe altresì dovuto specificare di aver sollevato l’eccezione di nullità (relativa) nella prima difesa o istanza successiva al deposito della relazione finale e avrebbe dovuto esattamente indicare questa difesa o istanza successiva. Neppure tale onere e stato adempiuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e per quanto di ragione il secondo ed il terzo, rigetta il quarto e dichiara inammissibile il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, per la decisione di merito in relazione ai motivi accolti, nonché per la regolazione delle spese di tutti i gradi di giudizio e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data 31/01/2024.
Il Presidente
dott. Adriano Piergiovanni Patti
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2024.