Assegno di mantenimento all’ex moglie che è sì laureata, ma da troppo tempo lontana dal mercato del lavoro (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 2 agosto 2022, n. 23998).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. VALENTINO Daniela – Rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Davide rappresentato e difeso dall’ Avv. Raffaele (OMISSIS) e Mario (OMISSIS) con domicilio eletto in Roma, via (OMISSIS) 207 presso lo studio legale (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Rossella rappresentata e difesa dall’avv. Anna Maria (OMISSIS) con domicilio presso il suo studio in Como via (OMISSIS), 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza pronunziata dalla Corte di Appello di Milano n. 376/2016 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 9 giugno 2022 dal Consigliere, Dott.ssa Daniela Valentino;

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato in data 12 aprile 2011, (OMISSIS) Davide chiedeva al Tribunale di Como di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il 21.12.1985 con Rossella (OMISSIS).

La convenuta, regolarmente costituitasi, non si opponeva, ma chiedeva assegno divorzile di € 2.000,00 mensili, nonché sequestro ex art. 8 l. n. 898/70 sull’immobile di proprietà del (OMISSIS) per pregressi inadempimenti nella corresponsione dell’assegno di mantenimento.

Con sentenza n. 106/2013 del 17.12.2012, il Tribunale di Como, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e con separata ordinanza rimetteva le parti innanzi il G.I. per la decisione relativa alla corresponsione o meno dell’assegno divorzile.

Il Tribunale di Como, con sentenza 2/2016 pubblicata il 05.01.2016 poneva a carico del (OMISSIS) l’obbligo, di versare alla (OMISSIS) l’assegno divorzile di € 1.400,00 da corrispondere in via anticipata e annualmente, rivalutabile ex indici ISTAT.

Compensava per metà le spese di lite tra le parti e condannava (OMISSIS) Davide a rifondere alla ricorrente l’altra metà.

L’attuale ricorrente proponeva appello avverso la sentenza n. 2/2016 e chiedeva che la Corte, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, accertasse e dichiarasse non dovuto alla (OMISSIS) l’assegno divorzile, o, in ogni caso, ne riducesse l’entità all’importo ritenuto di giustizia.

Riproponeva, inoltre, espressamente la domanda di revoca del sequestro disposto ai sensi dell’art. 8 l. n. 898/70, già formulata nel primo grado di giudizio, ma non riportava tale domanda nell’ambito delle conclusioni rivolte alla Corte.

Con ricorso ex artt. 283-351 c.p.c. chiedeva che il Presidente della Corte, ravvisata la sussistenza di giusti motivi di urgenza, sospendesse con decreto, inaudita altera parte, l’efficacia esecutiva della sentenza del Tribunale di Como.

Il Presidente, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per l’adozione del chiesto provvedimento in assenza di contraddittorio, fissava l’udienza del 18 maggio 2016, assegnando termine per la notifica alla controparte.

Ritualmente costituitasi la sig.ra (OMISSIS) preliminarmente rilevava l’incompletezza del ricorso notificatole “per mancanza di una pagina essenziale” la n. 4 e chiedeva che, ai sensi dell’art. 156 e 291 c.p.c., fosse disposta la rinnovazione della notifica del ricorso ex artt. 283 e 351 c.p.c.; nel merito, instava per il rigetto dell’istanza di sospensione, negando la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Con ordinanza del 18 maggio 2016, la Corte dichiarava inammissibile l’istanza per carenza di interesse, evidenziando che, in caso di sospensione dell’esecutività della sentenza avrebbero mantenuto la loro efficacia sia l’ordinanza presidenziale del 18 luglio 2011, con la quale era stato posto a carico del (OMISSIS) l’obbligo di versare alla (OMISSIS) la somma di € 1.400,00, poi confermata in sentenza, sia il provvedimento di sequestro ex art. 8 l. n. 898/70; inoltre, riteneva assorbita la questione attinente alla rilevata mancanza di una pagina del ricorso ex art. 351 c.p.c. notificato alla resistente e riservava alla decisione definitiva la regolamentazione delle spese processuali.

Costituitasi altresì nel giudizio di merito, la appellata contestava la fondatezza del gravame e ne chiedeva il rigetto.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n.376/2016 ha respinto l’appello, confermato la sentenza di I grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di II grado.

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che la (OMISSIS) non aveva mezzi adeguati, essendo rimasta fuori dal mercato del lavoro dal 1987, ovvero subito dopo il matrimonio, per essersi dedicata alla cura della parte amministrativa della professione di dentista del marito e del ménage familiare.

Il conseguimento della laurea in giurisprudenza, dopo la separazione (il matrimonio era durato 13 anni), non costituiva, di conseguenza, indice di effettiva capacità reddituale così da farla pervenire al divorzio indebolita sul piano della capacità occupazionale e sul piano previdenziale.

La stessa è inoltre affetta da patologie certificate ed è proprietaria di due unità immobiliare, una destinata a sua abitazione e l’altro allo stato improduttiva di reddito.

L’ex marito, che non aveva provveduto alla produzione delle più recenti denunce dei redditi godeva di una situazione reddituale consistentemente superiore come illustrato ampiamente nella pronuncia impugnata nelle pagine 7 e 8.

La Corte ha infine tenuto conto nella determinazione dell’assegno in misura inferiore alla domanda (1400 euro mensili, come stabilito fin dall’ordinanza presidenziale) ritenendo che le enunciate ragioni addotte dal (OMISSIS) sulle sue mutate condizioni familiari fossero state adeguatamente considerate nella quantificazione del contributo predetto.

Il sig. (OMISSIS) ha proposto ricorso in Cassazione.

La sig.ra (OMISSIS) ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta:

1° Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 per avere l’impugnata sentenza riconosciuto l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge nell’importo mensile di € 1.400 mensili con rivalutazione annua.

Errato esame dei fatti pacifici o notori secondo la coscienza comune per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; Il ricorrente lamenta che la Corte di merito non avrebbe applicato i parametri necessari, così come individuati negli arresti della giurisprudenza di legittimità, per verificare la effettiva legittimazione a percepire l’assegno divorzile.

L’ex coniuge aveva un titolo di studio professionalizzante e all’epoca del divorzio aveva 43 anni, sebbene oggi ne abbia sessantadue; la sua scelta di non svolgere alcuna attività era legata a scelte personali e non ad esigenze della famiglia.

I suoi parametri patrimoniali erano legati quasi esclusivamente alla sua scelta di non esercitare alcuna professione, nonostante che avesse conseguito anche la laurea in Giurisprudenza; ed, inoltre, era proprietaria di due appartamenti anche se non producevano reddito alcuno.

La Corte avrebbe, così tenuto in considerazione al criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale e si sarebbe basata soltanto sulle denunce dei redditi degli ex coniugi, senza tener conto delle aumentate esigenze economiche del ricorrente padre di due gemelli.

1.1° Sul motivo del ricorso deve rilevarsi che già in sede di appello il ricorrente contestava la motivazione della determinazione dell’assegno di mantenimento evidenziando i medesimi rilievi che oggi nuovamente pone.

La sig.ra (OMISSIS) aveva addotto giustificazioni per l’assenza di una sua attività lavorativa; considerata la sua incolpevole incapacità lavorativa che, data l’età e l’annosa inesperienza frutto di una scelta coniugale condivisa, le aveva reso oggettivamente assai difficile se non impossibile il rientro sul mercato del lavoro.

La Corte di appello ha fatto proprie le motivazioni del Tribunale (p.4) e le ha anche ripetute in sentenza dettagliatamente (p.6) evidenziando che i coniugi di comune accordo avevano definito che la moglie si occupasse della gestione familiare in senso ampio e si occupasse di alcune incombenze di supporto all’attività del marito contribuendo alla formazione del patrimonio di ognuno e comune (Cass., n. 4100/2017).

Ha, inoltre, valutato attentamente le prove fornite dalla sig.ra (OMISSIS) sulla sua situazione patrimoniale ed economica e le ha ritenute inadeguate; non ha potuto compararle, in modo cronologicamente aggiornato, con quelle dell’ex coniuge che ha scelto di non ottemperare alla richiesta di deposito delle più recenti dichiarazioni dei redditi; la comparazione risalente al 2013 fa desumere che le situazioni economico patrimoniali non sono paragonabili.

La Corte di Appello ha applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18278/2018, secondo la quale il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della I. 898 del 1970 richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

Deve sottolinearsi, inoltre, che la circostanza dell’aumentato impegno economico del ricorrente a causa della nascita dei suoi gemelli ha indotto prima il Tribunale a diminuire l’assegno divorzile e poi la Corte a confermare la diminuzione per cui il ricorrente non può dolersi della violazione delle norme che enuncia.

In tema di assegno divorzile, «qualora a supporto della richiesta di sua diminuzione o revoca siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato, il giudice deve verificare se gli stessi abbiano determinato un effettivo depauperamento delle sostanze di quest’ultimo, tale da postulare una rinnovata valutazione comparativa della situazione economico-patrimoniale delle parti o se, viceversa, la complessiva, mutata condizione dell’obbligato non sia comunque di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri» (Cass., n. 21818/21;Cass., n. 14175/16; Cass., n. 618/2022).

Di talchè, allo stato, il ricorrente espone nuovamente i medesimi fatti chiedendone una diversa valutazione nel merito insindacabile in sede di giudizio di legittimità (ex multis Cass., S.U. n. 8053/2014; Cass., 36171/2021).

La Corte territoriale ha applicato correttamente le norme richiamate dal ricorrente, svolgendo un esame dei fatti acquisiti completo ed esaurientemente motivato (da ultimo Cass., n.618/2022).

Il motivo è, pertanto, inammissibile in quanto diretto a sollecitare un riesame dei fatti, attraverso una diversa loro interpretazione.

  1. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna alle spese del giudizio a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 3.500 e € 200 per spese oltre spese generali ed accessori.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24.12. 2012, n.228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione il giorno 9 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria addì 2 agosto 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.