Caduta sui gradini, niente risarcimento se l’infortunato non dimostra il nesso di causalità tra insidia ed evento (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 15 settembre 2023, n. 26682).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

ENZO VINCENTI                 -Presidente

EMILIO IANNELLO             -Consigliere

ANTONELLA PELLECCHIA -Consigliere-Rel.

GIUSEPPE CRICENTI          -Consigliere

PAOLO PORRECA               -Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24050/2020  R.G. proposto  da:

(omissis) (omissis) domiciliato ex lege presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Simone Sodio e Silena Marocco;

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis) (omissis) SRL;

-intimati-

avverso la sentenza n. 1691/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 18/12/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11/05/2023 dal Consigliere dott.ssa ANTONELLA PELLECCHIA.

Rilevato che:

1. (omissis) (omissis) convenne in giudizio (omissis) s.r.l., (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) al fine di sentirli condannare ex art. 2051 c.c. al risarcimento di tutti i danni subiti in seguito a una rovinosa caduta avvenuta nel (omissis) attività facente capo alla società citata in giudizio. L’attore dedusse di esser caduto mentre saliva le scale a causa di gradini insidiosi e non visibili.

I convenuti si costituirono in giudizio sostenendo l’esclusiva responsabilità dell’attore nella causazione dell’evento, evitabile con normali regole di prudenza.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 10043/2015, rigettò la domanda attorea. Ritenne, all’esito dell’istruttoria, carente la prova del nesso causale fra la caduta del (omissis) e la cosa in custodia.

Secondo il giudice di primo grado non erano state provate le esatte modalità della caduta, né il punto stesso dove era avvenuta, in ragione della contraddittorietà delle prove testimoniali e, comunque, il danneggiato non aveva rispettato le condizioni di prudenza, sia di luce che di tempo (scalini bagnati e scivolosi) richiedibile da parte dell’utente.

2. La Corte di Appello di Genova, con sentenza 1691/2019, del 18 dicembre 2019, ha rigettato l’appello proposto dal (omissis) confermando integralmente la pronuncia di prime cure.

I giudici della Corte territoriale hanno condiviso il ragionamento seguito dal Tribunale, ritenendo non sufficiente la prova circa il nesso di causalità tra il danno e la cosa oggetto di custodia, nonché contraddittorie e pertanto non decisive le testimonianze. Infatti, la Corte distrettuale ha ritenuto, sulla base delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione fotografica in atti, che non solo non era stato provato su quale scalino era scivolato il (omissis) ma neppure su quale rampa era avvenuta la caduta. Inoltre, come dichiarato dallo stesso danneggiato vi erano percorsi alternativi alle scale utilizzate.

Pertanto, oltre alla carenza di prova sull’esatto punto di caduta per stabilire se essa era avvenuta a causa di uno scalino rotto o per la scivolosità dello stesso, ha ritenuto la Corte territoriale di dover condividere la sentenza del giudice di primo grado là dove ha valutato che la causa della caduta era da addebitare al comportamento imprudente del danneggiato.

Secondo la Corte, un comportamento diligente dell’attore, considerando le condizioni di tempo e di luce, avrebbe evitato la caduta.

3. Avverso la suddetta pronuncia (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

4. Con ordinanza 89 del 4 gennaio 2022 la Sesta Sezione-3 ha rimesso la causa alla Sezione Terza ex art. 380-bis, comma terzo, c.p.c.

5. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 p.c.

Considerato che:

6. Preliminarmente, va ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al rito di legittimità con l. n. 168/2016, ove il ricorso sia stato esaminato dalla sezione prevista dall’art. 376 cod. proc. civ. e questa, in esito alla camera di consiglio, abbia rimesso la causa alla sezione semplice ai sensi dell’art. 380-bis, comma terzo, c.p.c., non sussiste la necessità della trattazione del processo in pubblica udienza nei casi in cui la questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare sia priva (come nella specie) della particolare rilevanza richiesta dall’art. 375 c.p.c. (tra le altre: Cass. n. 22462/2017, Cass. n. 17609/2020, Cass. n. 9411/2023);

7. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di valutazione del caso La sentenza impugnata appare gravemente viziata per effetto di errore nell’applicazione delle norme in materia danno da cose in custodia, caso fortuito, forza maggiore e concorso del fatto colposo del danneggiato ed in particolare degli artt. 2051 c.c., 2 Cost., 1227 e 2697 c.c.

Secondo il ricorrente, l’apposizione di segnali che paventassero la situazione di pericolo avrebbe evitato la possibilità di transitare lungo la via scongiurando eventuali cadute.

8. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dei principi di cui agli 115 e 116 c.p.c. e 2730 c.c. in materia di esame e valutazione del materiale probatorio acquisito nel processo, anche alla luce delle dichiarazioni confessorie rese in atti da controparte, in mancanza di risposta dei convenuti ad interrogatorio formale. Il Tribunale avrebbe errato l’impianto decisorio omettendo di considerare prove e travisando la pregnanza di elementi fondamentali.

9. I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.

10. Questa Corte ha affermato (Cass. 2482/2018) e di recente ribadito (Cass., S.U., n. 20943/2022; Cass. n. 11152/2023) i seguenti principi di diritto:

– la responsabilità ex 2051 c.c. ha natura oggettiva e, perciò, prescinde dalla colpa del custode; ne consegue che la capacità di vigilare sulla cosa, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose non integra un elemento costitutivo della fattispecie, rilevando unicamente alla stregua di canone interpretativo della fattispecie, funzionale a disvelare la “ratio legis” che presiede all’allocazione del danno;

– quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa, gestita così come custodita, o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia stato concorso causale tra i due fattori, costituisce valutazione di merito da compiere sul piano del nesso eziologico, sottendendo un bilanciamento con i doveri di precauzione e cautela;

– a tal fine, ove  la  condotta del  danneggiato assurga, per l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa autonomamente sopravvenuta dell’evento del quale la cosa abbia infine costituito, in questo senso, una mera occasione, viene meno il nesso eziologico con la “res“, anche se la condotta del danneggiato possa ritenersi astrattamente prevedibile, ma debba essere esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale da verificare dunque secondo uno “standard” oggettivo;

– pertanto, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado d’incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, primo comma, civ., e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;

– quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile, nei termini appena specificati, che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso;

11. Le censure si pongono in aperta distonia con i principi sopra ricordati e non colgono la ratio decidendi della pronuncia impugnata che ad essi si conforma.

Il giudice di secondo grado, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, ha correttamente reputato che la colpa del danneggiato possa essere anche assorbente nella causazione del sinistro, tale da rendere la res – nel suo stato – solo occasione dello stesso, là dove, poi, le allegazioni e deduzioni presenti nel ricorso in ordine alle presunte condotte negligenti del custode non sono pertinenti alla fattispecie di responsabilità, come detto di natura oggettiva, configurata dall’art. 2051 c.c.

Pertanto, la Corte di appello ha motivato in modo adeguato e intelligibile sia sulla carenza di prova certa in ordine alle modalità specifiche del sinistro, sia sul fatto che – pure ammesse le circostanze della rottura del gradino e della sua scivolosità per la pioggia (e dunque la specifica pericolosità della res) – la caduta è dovuta alla imprudenza del danneggiato.

Trattasi, dunque, di una valutazione di fatto, operata in armonia con le menzionate coordinate di diritto, non sindacabile in questa sede, se non sotto il profilo del vizio di omesso esame di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che non è stato veicolato dal ricorrente. Questi, infatti, ha proposto censure, invero oltremodo generiche, che criticano, nella sostanza, la valutazione delle prove e sottopongono alla Corte di legittimità istanze di revisione dell’apprezzamento della quaestio facti come tali inammissibili, in quanto rientranti esclusivamente nei poteri del giudice di merito.

Va, del resto, rammentato che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (tra le tante, Cass. n. 11892/2016).

E’, altresì, inammissibile la censura che fa leva sulla violazione dell’art. 116 c.p.c., essendo orientamento stabile di questa Corte quello secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale (nella specie, come detto, insussistente) che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (tra le altre, cfr.: Cass. n. 11892/2016; Cass. n. 23153/2018).

Con l’ulteriore precisazione che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. n. 11892/2016, citata; Cass. n. 18092/2020).

12. Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese di lite in assenza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 11 maggio 2023.

Il Presidente

Dott. ENZO VINCENTI

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.