Circostanze del reato. La condotta posteriore al reato attenua la pena, una volta sola (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 10 dicembre 2021, n. 45434).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. BONI Monica – Rel. Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

GIAMPA’ GIUSEPE nato a LAMEZIA TERME il 30/06/19xx;

TORCASIO ANGELO nato a LAMEZIA TERME il 18/06/19xx;

CAPPELLO SAVERIO nato a LAMEZIA TERME il 09/10/19xx;

CAPPELLO ROSARIO nato a LAMEZIA TERME il 17/07/19xx;

CAPPELLO GIUSEPPE nato a LAMEZIA TERME il 22/01/19xx;

COSENTINO BATTISTA nato a LAMEZIA TERME il 19/07/19xx;

MELIADO FRANCESCA TERESA nato a LAMEZIA TERME il 12/04/19xx;

avverso la sentenza del 10/12/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MONICA BONI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibili i ricorsi.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 28 gennaio 2019, resa all’esito del giudizio celebrato col rito abbreviato nel procedimento nr. 589/12 R.G.N.R., il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro condannava:

– Giuseppe Giampà alla pena di anni 20 di reclusione, oltre a pene accessorie, in quanto colpevole dei reati dei reati ascrittigli ascrittigli, ad eccezione di quelli di cui ai capi 70) e 71), unificati nel vincolo della continuazione;

– Angelo Torcasio alla pena di anni diciotto di reclusione e pene accessorie, in quanto colpevole dei reati a lui ascritti, ad eccezione di quelli di cui ai capi 70) e 71), unificati nel vincolo della continuazione;

– Saverio Cappello alla pena di anni diciassette e mesi sei di reclusione e pene accessorie, in quanto colpevole dei reati a lui ascritti, unificati ne! vincolo della continuazione;

– Rosario Cappello alla pena di anni sedici e mesi sei di reclusione, e pene accessorie, in quanto colpevole dei reati a lui ascritti, unificati nel vincolo della continuazione;

– Giuseppe Cappello alla pena di anni sei di reclusione ed euro 1.000 di multa in quanto colpevole del reato ascrittogli;

– Battista Cosentino alla pena di anni quindici di reclusione, e pene accessorie, in quanto colpevole dei reati a lui ascritti, unificati nel vincolo della continuazione;

– Francesca Teresa Meliadò alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione in quanto responsabile dei reati ascrittile, unificati per continuazione, previo riconoscimento a ciascuno di essi della circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen..

2. Con sentenza resa in data 12 aprile 2019 all’esito di giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato nel separato procedimento nr. 547/19 R.G.N.R. il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro dichiarava:

– Giuseppe Giampà e Angelo Torcasio colpevoli dei reati loro ascritti ai capi 15), 15- ter) e 15 -quater) relativi al concorso nell’omicidio di Vincenzo Torcasio, detto Carrà, 16), 16 -ter) e 16 -quater) relativi al concorso nell’omicidio di Francesco Torcasio, detto Carrà,

– Giuseppe Giampà colpevole dei reati di cui ai capi 17) e 17 -bis) relativi al concorso nel tentato omicidio di Umberto Egidio Muraca e di Angelo Francesco Paradiso, dei reati di cui ai capi 74) di concorso nella rapina in danno di SDA, 76) di concorso nella rapina in danno di Grazia Dell’Olio, Nicola Greco e Alberto Antonio Viscomi e 77) di concorso nella rapina in danno di Daniela Canino, titolare della gioielleria Le Meraviglie con sede in Catanzaro;

– Angelo Torcasio dei reati di cui ai capi 1) di partecipazione ad associazione di stampo mafioso e 27) di estorsione aggravata in danno di Francesco Giampà e Pietro Giampà titolari di esercizi commerciali;

– Saverio Cappello, Rosario Cappello e Giuseppe Cappello colpevoli del reato loro ascritto al capo 1 di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, denominata cosca Giampà);

– Battista Cosentino colpevole dei reati ascrittigli al capo 1) di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, denominata cosca Giampà ed al capo 79) di concorso in rapina in danno di Vincenzo Giampà, unificati dal vincolo della continuazione, e, unificati i reati nel vincolo della continuazione e riconosciuta a tutti i predetti imputati la circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, li condannava alle pene di:

– anni sedici e mesi sei di reclusione Giuseppe Giampà;

– anni quindici e mesi otto di reclusione Angelo Torcasio;

– anni cinque di reclusione Saverio Cappello;

– anni sette e mesi quattro di reclusione Rosario Cappello;

– anni quattro di reclusione Giuseppe Cappello;

– anni sette di reclusione Battista Cosentino.

Li condannava altresì alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni a favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione in favore di queste delle spese di costituzione e difesa.

3. Proposto appello da parte degli imputati avverso entrambe le predette sentenze in riferimento al trattamento sanzionatorio inflitto a ciascuno di essi, la Corte di Assise di appello di Catanzaro provvedeva alla riunione dei due procedimenti, siccome connessi sul piano soggettivo ed oggettivo e, con sentenza in data 10 dicembre 2019, riformava parzialmente le due pronunce di primo grado e, per l’effetto, unificati i reati nel vincolo della continuazione, rideterminava le pene inflitte nei seguenti termini:

– in anni venticinque e mesi cinque di reclusione nei confronti di Giuseppe Giampà, previa applicazione della continuazione tra i reati giudicati e quelli oggetto delle sentenze del 22 gennaio 2015 della Corte di appello di Catanzaro, del 3 marzo 2014 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro e del 29 ottobre 2013 della Corte di appello di Catanzaro;

– in anni diciotto e mesi undici di reclusione nei confronti di Angelo Torcasio;

– in anni quindici di reclusione nei confronti di Saverio Cappello;

– in anni tredici, mesi dieci e giorni venti di reclusione nei confronti di Rosario Cappello;

– in anni tre, mesi dieci di reclusione ed euro 1.000,00 di multa nei confronti di Giuseppe Cappello;

– in anni nove, mesi cinque e giorni venti di reclusione nei confronti di Battista Cosentino;

– in anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 1.200,00 di multa nei confronti di Francesca Teresa Meliadò, previa unificazione dei reati giudicati con quelli oggetto della sentenza del 22 gennaio 2015 della Corte di appello di Catanzaro.

4. Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.

4.1 Giuseppe Giampà per il tramite dell’avv.to Civita (OMISSIS) ha dedotto:

a) mancanza di motivazione, anche in senso grafico, in ordine a tutti i profili di quantificazione della pena e violazione di legge in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen..

La sentenza non offre i criteri per comprendere il ragionamento che ha portato a determinare la pena base, quale efficacia abbiano le aggravanti applicate e l’attenuante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., non applicata nella massima estensione possibile, quale pena sia stata inflitta per ciascun reato.

Inoltre, con l’atto di appello si era argomentato ampiamente circa l’importanza della collaborazione prestata dal ricorrente anche in dipendenza del suo ruolo criminale di reggente della cosca omonima, il che aveva consentito di svelare vicende del tutto ignote agli inquirenti ed avrebbe dovuto indurre ad applicare la predetta attenuante con effetti più favorevoli.

b) Mancanza di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Con l’atto di appello si era rappresentato che la collaborazione con la giustizia ha segnato anche un profondissimo mutamento di personalità e di vita del ricorrente, che andava autonomamente considerato.

Avviata spontaneamente la collaborazione, egli ha fornito innumerevoli dichiarazioni auto ed etero-accusatorie ed è positiva la prognosi sulla sua pericolosità sociale per la totale rescissione di ogni legame con l’ambiente criminale di provenienza, ma tali elementi non sono stati minimamente considerati dal giudice di appello.

c) Mancanza di motivazione in relazione alla quantificazione della pena base e degli aumenti di pena per continuazione.

4.2 Angelo Torcasio a mezzo del difensore, avv.to Valeria (OMISSIS) ha lamentato:

a) inosservanza ed erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

La sentenza impugnata non offre indicazioni sulla pena base ed il diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato con la già avvenuta considerazione del comportamento processuale ai fini del riconoscimento della diminuente per la collaborazione e con l’omessa indicazione di altri elementi positivi di valutazione, non ha considerato che nell’atto di appello si erano rappresentati il ravvedimento, la confessione resa, il mutamento di valori etici e di prospettive di vita, lo stato di libertà acquisito in assenza di nuove violazioni o di richiami, la frequentazione di corsi di qualificazione professionale.

In tal senso avrebbe dovuto tenersi conto della condotta successiva al reato, come affermato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 183 del 2011.

b) Inosservanza ed erronea applicazione della legge in relazione all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello negato l’applicazione della attenuante speciale della collaborazione nella sua massima estensione senza avere fornito una qualsiasi motivazione sul punto, nonostante l’apporto conoscitivo molto rilevante e genuino dato al ricorrente alla conoscenza di molteplici fatti criminosi senza che tale comportamento abbia trovato adeguato riconoscimento nella determinazione della pena.

4.3 Saverio, Rosario e Giuseppe Cappello con unico ricorso a firma dell’avv.to M. Claudia (OMISSIS) hanno dedotto violazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen. ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che sono state richieste, non per la condotta ante delictum, ma per quella successiva, posto che i ricorrenti, scelta la strada della collaborazione con la giustizia, hanno sempre mantenuto una condotta processuale coerente ed adeguata alla condizione di collaboratore di giustizia, così consentendo di svelare fatti molto complessi di rilevanza penale.

La Corte di appello non ha considerato che, come argomentato dalla Suprema Corte, «In tema di circostanze, gli elementi costitutivi di una circostanza attenuante, comune o speciale, ben possono essere valutati anche ai fini del più ampio giudizio che concerne il riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen. » (sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Rv. 271099).

Del resto non è concepibile per chi collabora indicare elementi, diversi dal comportamento processuale, per legittimare la richiesta dell’ulteriore attenuazione della pena.

Non si è considerato che Giuseppe Cappello era incensurato, ma anche per la sua posizione la Corte di appello ha inteso ribadire le stesse argomentazioni espresse per gli altri coimputati, basate sulla gravità dei reati di associazione mafiosa armata.

4.4 Battista Cosentino a mezzo del difensore, avv.to Manfredo (OMISSIS), ha dedotto con unico motivo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62-bis cod. pen. per l’omessa motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Con l’atto di appello si era chiesto di ridurre la pena in concreto irrogata mediante: l’adozione della pena base nel minimo edittale, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti e l’aumento a titolo di continuazione ex art. 81 c.p.v. nella misura minima.

Per contro, la Corte di appello si è limitata a rideterminare la pena, senza fornire giustificazioni sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che non restano precluse dal riconoscimento dell’attenuante speciale della collaborazione di cui all’art. 416-bis.1. comma 3 cod. pen. e che si fondano su distinti e diversi presupposti, ossia su elementi non contemplati legislativamente come gli aspetti inerenti alla personalità del reo.

4.5 Francesca Teresa Meliadò per il tramite dell’avv.to Civita (OMISSIS) ha dedotto:

a) violazione di legge in relazione all’erronea individuazione del reato più grave ai fini della continuazione in una delle cinque estorsioni aggravate senza altre specificazioni nonostante con la sentenza di appello fosse stata riconosciuta la continuazione anche con i reati giudicati da altra sentenza definitiva, fra i quali vi era il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., da ritenersi più grave secondo una valutazione da condurre “in astratto”, come affermato dalle Sezioni Unite (n. 25939, 13 giugno 2013) ed in base anche alle circostanze contestate.

b) Mancanza di motivazione, anche in senso grafico, quanto all’applicazione non nella massima estensione della circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..

Dalla sentenza impugnata non è possibile comprendere il ragionamento che ha portato a determinare la pena base, quale efficacia abbiano le aggravanti applicate e l’attenuante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quale pena sia stata inflitta per ciascun reato.

Inoltre, con l’atto di appello si era argomentato ampiamente circa l’importanza della collaborazione prestata dalla ricorrente, che, in quanto moglie del capoclan Giuseppe Giampà ed in possesso di un ampio bagaglio di conoscenze sulle vicende ‘ndranghetistiche, aveva dato un apporto rilevante alle indagini, cosa che avrebbe dovuto indurre ad applicare la predetta attenuante con effetti più favorevoli.

c) Mancanza di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

La sentenza impugnata non ha offerto valutazioni differenziate per le posizioni dei vari imputati, aderenti alla loro personalità; nel caso della ricorrente non sono state considerate la sua incensuratezza e la posizione meno compromessa nell’ambito delle azioni criminose della cosca.

Con l’atto di appello si era rappresentato che la collaborazione con la giustizia ha segnato anche un profondissimo mutamento di personalità e di vita della ricorrente, che andava autonomamente considerato.

Avviata spontaneamente la collaborazione, ella, in giovanissima età al momento dei fatti, coinvolta perché moglie di Giuseppe Giampà, ha fornito innumerevoli dichiarazioni auto ed etero-accusatorie ed è positiva la prognosi sulla sua pericolosità sociale per la totale rescissione di ogni legame con l’ambiente criminale di provenienza, ma tali elementi non sono stati minimamente considerati dal giudice di appello.

Inoltre, i fatti commessi sono risultati molto meno gravi di quanto normalmente accade nelle estorsioni mafiose poiché negli episodi di cui ai capi 84) e 95) ella si era limitata a richiedere agli esercenti uno sconto speciale per sé ed il marito in relazione ad un quantitativo limitato di merce, già proposta a prezzi di saldo stagionale, dimostrando un dolo lieve.

d) Mancanza di motivazione in relazione alla quantificazione della pena base e degli aumenti di pena per continuazione.

5. Le difese dei Cappello e di Angelo Torcasio hanno proposto richiesta di trattazione orale del procedimento, che è stata respinta perché tardivamente formulata.

Si è, dunque, proceduto alla trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.I. n. 137 del 2020 ed il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr.ssa Assunta Cocomello, ha rassegnato le proprie conclusioni, chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.

Con memoria la difesa di Angelo Torcasio ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

la difesa di Meliadò ha replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale, segnalando l’omessa trattazione del primo motivo del proprio ricorso, la cui fondatezza discende da un semplice calcolo matematico e ha ulteriormente illustrato i restanti motivi già proposti, insistendo per il loro accoglimento.

Considerato in diritto

I ricorsi sono inammissibili e devolvono questioni che, laddove coincidenti, possono essere trattate in modo unitario per tutti i ricorrenti.

1. Le impugnazioni proposte investono con similari argomentazioni in primo luogo il punto della decisione che ha respinto la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

1.1 Al riguardo già le due separate sentenze di primo grado hanno rilevato che, pur potendosi positivamente apprezzare il contributo conoscitivo offerto dagli imputati, risultato decisivo per la comprensione della dinamica dei fatti criminosi giudicati ed integrante ampia confessione, tale da consentire di riconoscere loro la circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, ciò nonostante non erano rintracciabili altri elementi positivi diversi dalla collaborazione prestata con la giustizia per accordare anche le attenuanti generiche.

Inoltre, le vicende giudicate sono state apprezzate come integranti reati stimati “gravissimi”, perché consistenti in omicidi consumati o tentati, in partecipazione ad associazione di stampo mafioso dedita anche al traffico di stupefacenti, in estorsioni aggravate, commessi per avvantaggiare una formazione di ‘ndrangheta o comunque con modalità tipicamente mafiose.

Anche la valutazione della personalità degli autori di tali illeciti è stata considerata alla luce dei precedenti, per alcuni specifici, tranne che per Giuseppe Cappello, risultato incensurato, ma resosi responsabile di reato di particolare gravità, tale da non renderlo meritevole dell’attenuazione di pena invocata.

1.2 Ebbene, la decisione sul punto risulta supportata dalla chiara e compiuta esposizione delle ragioni giustificative, il che consente di escludere qualsiasi vizio di carenza o illogicità della motivazione, basate su una pluralità di profili, attinenti sia ai fatti di reato, alla loro reale offensività e pericolosità per le modalità esecutive e le finalità perseguite, sia alla personalità dei loro responsabili, esaurendo la disamina degli aspetti oggettivi e soggettivi delle fattispecie concrete.

1.3 Per contro, i ricorrenti si lamentano dell’omessa considerazione delle rispettive confessioni rese, dell’importanza dell’apporto conoscitivo fornito, della resipiscenza dimostrata anche perseverando nel tenere regolare condotta, del mutamento radicale delle abitudini di vita, ma in realtà indicano profili che i giudici di merito hanno già ampiamente valutato quali presupposti per riconoscere la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. con effetti di marcata attenuazione del regime sanzionatorio con riferimento al delitto di omicidio, ritenuto di maggiore gravità.

Quanto poi all’allontanamento dalla consorteria criminosa ed alla mancata commissione di ulteriori reati dopo avere intrapreso la scelta della collaborazione con la giustizia, trattasi di aspetti inerenti alla conservazione dello “status” di collaboratore, che però sono stati ritenuti di minor valenza rispetto a profili marcatamente negativi, rintracciati nei fatti e nelle personalità individuali, dedotti dalla pluralità e allarmante qualità dei fatti di reato e anche dei precedenti penali, connotanti carriere criminali significative per l’elevata pericolosità sociale dei loro autori.

1.4 In punto di diritto, questa Corte ha già affermato in passato con condivisibile orientamento, che le circostanze attenuanti generiche assolvono alla funzione di consentire al giudice di superare la rigidità dei limiti edittali di pena e di adeguarla al caso concreto ed alla personalità di colui che lo ha commesso, valorizzando elementi che, per la loro varietà casistica, non si prestano ad essere inclusi in una previsione generalizzata e che vengono individuati, facendo ricorso ai criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., ossia ai motivi della condotta, alle circostanze che lo hanno accompagnato, al danno cagionato, al comportamento anche successivo tenuto dal reo, tutti dati di conoscenza indicativi della meritevolezza di un adattamento della pena edittale prevista per ciascuna fattispecie criminosa.

E’ altresì noto che la loro applicazione «non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse» (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Storace, Rv. 270986).

Nella conduzione del relativo giudizio il giudice gode di ampia discrezionalità, essendogli consentito negare le attenuanti generiche in forza della natura e della gravità del fatto, oltre che della negativa personalità del suo autore, quali profili di disvalore di particolare rilevanza e preponderanti, tali da superare eventuali aspetti positivi, quali il sincero pentimento e la leale collaborazione con la giustizia.

La relativa valutazione di fatto deve essere sorretta da motivazione effettiva, che, se congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in fase di legittimità neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori favorevoli, indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, rv. 242419; sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, rv. 249163), non essendo necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, bastando il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

Quanto al rapporto tra tale istituto e la circostanza attenuante prevista dall’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen., il cui riconoscimento postula l’accertamento del proficuo contributo fornito alle indagini o dell’aiuto offerto per evitare conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa, quindi la positiva verifica di presupposti diversi da quelli richiesti per applicare le circostanze attenuanti generiche, fondate su una valutazione complessiva del fatto in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, in linea di principio non sussiste, nè alcuna incompatibilità, né alcun vincolo alla loro concessione contestuale, dipendendo la soluzione concreta dalle situazioni specifiche.

E’, però, certo che l’applicazione dei due istituti non può essere giustificata in forza dello stesso dato positivo, perché tanto si risolverebbe in «un’inammissibile ripetuta valorizzazione dei medesimi elementi» (in tali termini Sez. 5, n. 34574 del 13/07/2010, Russo, rv. 248176, nonchè Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Furnari, Rv. 276111; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Aruta ed altri, Rv. 271099; Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012, P.C., Adamo e altri, Rv. 254299; Sez. 6, n. 20145 del 15/04/2010, Cantiello e altri, Rv. 247387; Sez. 1, n. 14527 del 3/2/2006, Cariolo, Rv. 233938).

1.5 Deve, dunque, concludersi che la sentenza impugnata non è incorsa in violazione di legge, né in contraddizioni logiche, perché, senza essersi limitata a porre in evidenza la mera gravità del fatto, quale profilo in sè ostativo, ha, invece, correttamente operato, in conformità con i principi in precedenza illustrati, una complessiva valutazione degli elementi influenti sul giudizio, riconoscendo la prevalenza di quelli negativi e fornendo sul punto specifica e congrua motivazione.

Per contro, i ricorrenti pretendono da questa Corte una rivisitazione in senso più favorevole di tale giudizio sulla scorta dell’assegnazione di un rilievo predominante agli elementi dagli stessi indicati, che i giudici di merito non hanno affatto ignorato, ma ritenuto insufficienti a consentire il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Pertanto, non giova all’accoglimento delle loro tesi richiamare i condivisibili principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 183 del 2011 che ha dichiarato illegittima la disposizione del secondo comma dell’art. 62-bis cod. pen. nella parte in cui non consente di prendere in considerazione anche il comportamento successivo al reato, dal momento che lo stesso è già stato tenuto nel debito conto.

Del pari, l’affermazione, secondo la quale al collaboratore di giustizia non sarebbe consentito realizzare condizioni diverse dal comportamento processuale per poter beneficiare delle attenuanti generiche, non coglie nel segno: non compete al giudice di legittimità fornire indicazioni in tal senso, ma, a livello esemplificativo, potrebbero in tal senso valutarsi eventuali iniziative di riparazione dei pregiudizi arrecati alle molteplici persone offese o comportamenti solidaristici in favore della collettività.

1.6 Va soltanto aggiunto che, quanto alla posizione di Giuseppe Cappello, la condizione di incensuratezza, per espresso divieto normativo contenuto nell’art. 62- bis, comma 2, cod. pen., non può da sé giustificare il riconoscimento delle predette attenuanti e che, quanto alla posizione di Francesca Teresa Meliadò, la giovane età e le modalità non particolarmente allarmanti delle condotte estorsive compiute costituiscono profili fattuali che, il primo è imprecisato nel suo significato concreto rispetto a condotte estorsive di cui aveva beneficiato in prima persona, il secondo ha già trovato congruo riconoscimento nel contenimento della pena base, di appena due mesi superiore al minimo editale assoluto, nonché negli aumenti di pena molto modesti per i reati avvinti dal vincolo della continuazione.

2. Risultano inammissibili per manifesta infondatezza e genericità di formulazione i motivi articolati nell’interesse di Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio e Francesca Teresa Meliadò in ordine alla mancata applicazione della norma di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. nella massima estensione possibile.

Non tengono conto, infatti, che la pronuncia impugnata ha stabilito -grazie all’applicazione della predetta attenuante ed in funzione di una sensibile attenuazione del rigore delle pene inflitte nelle due sentenze di primo grado proprio a ragione della più favorevole considerazione dell’apporto conoscitivo fornito dagli imputati- in anni quindici di reclusione la pena base inflitta a Giampà per uno degli omicidi commessi, in anni tredici e mesi undici di reclusione la pena base inflitta a Torcasio per uno degli omicidi commessi ed in anni cinque e mesi due di reclusione ed euro 900,00 di multa la pena base stabilita per la Meliadò per una delle cinque estorsioni compiute per le posizioni dei primi due ricorrenti si ricorda che la disposizione di legge applicata prevede la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella da dodici a venti anni di reclusione, per cui in concreto i giudici di appello si sono attenuti alla norma e hanno individuato sanzione pari alla media edittale per Giampà e non molto superiore al minimo per Torcasio.

Le difese, nell’invocare un trattamento sanzionatorio ancora più mite, hanno richiamato il contributo conoscitivo offerto a questo e ad altri processi dai ricorrenti ed il mutamento di vita, ma ne hanno trattato in termini generici senza illustrare specifici profili già rappresentati ai giudici di appello e non considerati o travisati nel loro significato dimostrativo.

Al contrario, proprio per un’attenuazione del giudizio di pericolosità sociale, giustificato dal diverso percorso di vita e dai risultati della collaborazione prestata, ossia dagli stessi elementi che si assume infondatamente non essere stati presi in considerazione, in sentenza si è ritenuto necessario intervenire a modificare in termini meno afflittivi le pene stabilite all’esito dei giudizi di primo grado.

3. Non trovano rispondenza nel percorso giustificativo della sentenze in esame nemmeno le doglianze, proposte nell’interesse di Giampà, Torcasio e Meliadò sull’assoluta mancanza di indicazioni esplicative del calcolo della pena, sia quella base, che quella risultante dall’applicazione delle circostanze e della continuazione.

Premesso che la Corte di Assise di appello, modificando in melius le statuizioni delle sentenze di primo grado, ha riconosciuto la continuazione per Giampà e Meliadò anche in relazione ai reati giudicati con sentenze già irrevocabili e ha operato una sensibile riduzione degli incrementi di pena stabiliti per tutti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, la sentenza in verifica alle pagg. 14-16 riporta un prospetto analitico del procedimento di computo seguito per la posizione di ciascun imputato, ove sono specificati: la pena base per il reato più grave, determinata per Giampà in funzione della gravità e della pluralità dei reati commessi, per Torcasio in considerazione della particolare vicenda personale, per Meliadò in relazione ad una delle estorsioni commesse e, secondo il calcolo riportato nella sentenza di primo grado, in misura inferiore a quella già inflitta perché pari ad anni cinque, mesi due di reclusione ed euro 900,00 di multa, così già ridotta per l’attenuante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e superiore al minimo assoluto di soli due mesi di reclusione; l’aumento sulla pena base operato per ciascuno dei reati unificati per continuazione, sia in riferimento a quelli giudicati nei due procedimenti riuniti, sia a quelli oggetto delle tre sentenze irrevocabili, già emesse nei confronti di Giampà e della sentenza irrevocabile emessa nei confronti di Meliadò; la pena complessiva ed il risultato conseguito dopo l’applicazione della diminuente per il rito abbreviato.

In tal modo tutte le componenti che hanno concorso a determinare la sanzione inflitta sono indicati e chiaramente intelligibili, oltre che verificabili quanto a correttezza del procedimento e dell’esito conclusivo, ritenuto congruo e proporzionato alle vicende giudicate.

Quanto alla posizione di Meliadò, va soltanto aggiunto che sotto nessun profilo è stata dedotta l’illegalità della pena inflitta, inferiore di tre anni di reclusione e di 500,00 euro di multa rispetto a quella stabilita nella sentenza di primo grado con un abbattimento pari a quasi la metà, sicchè la pretesa oscurità del procedimento di calcolo non rivela nessun pregiudizio reale.

Si ricorda che anche in riferimento alle scelte sanzionatorie operate dal giudice, l’ammissibilità del ricorso per cassazione che lamenti la mancata determinata della pena base o dell’indicazione del quantum di altri elementi concorrenti al risultato finale è subordinata alla deduzione di un interesse concreto ed attuale a sostegno della doglianza.

4. Resta da aggiungere la palese inammissibilità del primo motivo di ricorso, proposto nell’interesse di Meliadò: non è rintracciabile in capo alla ricorrente un qualunque interesse, concreto ed attuale -inteso quale possibilità di conseguire un esito decisorio più favorevole- a lamentare l’eventuale errore in punto di diritto denunciato.

L’accoglimento del motivo dovrebbe tradursi nell’annullamento della sentenza impugnata perché sia individuata quale base di calcolo una pena superiore a quella determinata nella sentenza e quindi in un effetto pregiudizievole per l’imputata in contrasto col principio generale che vieta la reformatio in peius della sentenza in punto di pena (Sez. 4, n. 3038 del 24/05/2000, Trixi, Rv. 216804; Sez. 6, n. 10587 del 21/09/1992, D’Angelo, Rv. 192136).

Si ricorda che l’interesse, richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; non è, dunque, sufficiente a sostenere la richiesta di delibazione nel merito dell’impugnazione la deduzione della violazione di una norma di diritto formale, sostanziale o processuale, se da tale violazione non sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e se nel giudizio di rinvio non possa ipoteticamente conseguirsi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995 Timpani, Rv. 203093).

Va formulato il seguente principio di diritto: «In tema di reato continuato, è inammissibile per carenza di un interesse concreto ed attuale il ricorso dell’imputato che, contestando, sotto il profilo della violazione di legge, l’individuazione da parte del giudice di merito del reato di maggiore gravità, solleciti l’annullamento della sentenza impugnata sul punto, in quanto il diverso giudizio eventualmente conducibile nella fase di rinvio determinerebbe una non consentita reformatio in peius della sentenza per la necessità di aumentare la pena base per il diverso reato considerato più grave».

Per le considerazioni esposte i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con la conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno, in relazione ai profili di colpa, insiti nella formulazione di impugnazioni di siffatto tenore, di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in euro 3.000,00.

5. All’esito del processo non può conseguire l’accoglimento della richiesta delle parti civili costituite Regione Calabria e Comune di Lamezia Terme di liquidazione degli oneri di difesa e rappresentanza nel giudizio di legittimità, poiché non interessate ad interloquire rispetto al tema della sussistenza o meno di elementi circostanziali in grado di attenuare il trattamento punitivo.

Come più volte affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 15482 del 19/03/2018, P.C. in proc. Rinciari, Rv. 272854; Sez. 1, n. 51166 del 11/06/2018, Gatto, Rv. 274935; Sez. 5, n. 5262 del 12/12/2013, Dusi, Rv. 258724; Sez. 1, n. 38701 del 10/01/2013, P.C. e Di Sibbio, Rv. 256889; Sez. 5, n. 47876 del 12/11/2012, Adamo, rv. 254525) il potere di impugnazione della parte civile è circoscritto ai casi tassativamente previsti dall’art. 576 cod. proc. pen. ossia, sul piano del contenuto, ai capi della sentenza che riguardano l’azione civile.

Pertanto, le questioni che attengono al calcolo della pena, al riconoscimento di circostanze attenuanti, al bilanciamento delle circostanze attengono soltanto all’azione penale ed alle conseguenze per l’imputato derivanti dall’affermazione della responsabilità, ma non incidono sotto nessun profilo sull’azione civile e sulla liquidazione dei danni spettanti alle parti civili.

Difetta, dunque, un interesse processuale specifico a partecipare al giudizio di legittimità in cui si controverta degli aspetti citati, il che le priva del diritto di ottenere il rimborso delle spese di costituzione e rappresentanza sostenute nel presente grado.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Nulla quanto alle spese delle parti civili Regione Calabria e Comune di Lamezia Terme.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 10 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.