REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta da
Felice Manna – Presidente –
Vincenzo Picaro – Consigliere –
Mauro Criscuolo – Consigliere – Rel. –
Antonio Mondini – Consigliere –
Valeria Pirari – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 31542-2020 proposto da:
(omissis) (omissis) (omissis) SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA (omissis) (omissis) 12, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), rappresentata e difesa dell’avvocato (omissis) (omissis) (omissis) giusta procura in calce al ricorso;
–ricorrente–
contro
COMUNE DI CATANIA, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis), giusta procura in calce al controricorso;
–controricorrente–
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di CATANIA n. 631/2020, depositata il 17 marzo 2020;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. ALDO CENICCOLA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie della ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udite il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. ALDO CENICCOLA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l‘avvocato (omissis) (omissis) (omissis) per la ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione regolarmente notificato in data 23.7.2013, la (omissis) (omissis) (omissis) s.r.l. ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Catania il Comune di Catania per la condanna al pagamento della somma di euro 1.006.291,33 quale compenso per il servizio di custodia svolto dal 1984 al 1998 su n. 88 veicoli consegnati dalle forze dell’ordine, in quanto rinvenuti in stato di abbandono sul suolo pubblico e non sottoposti a sequestro.
Con sentenza pubblicata in data 1.10.2015 il Tribunale di Catania, in accoglimento della domanda attorea, ha accertato la responsabilità del Comune di Catania per la custodia dei predetti veicoli, riconoscendolo debitore per il quantum allegato e condannandolo altresì a provvedere alla rottamazione e alla cancellazione dal PRA dei mezzi a proprie cure e spese.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Comune di Catania ribadendo le eccezioni sollevate in primo grado e contestando altresì la mancata applicazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 15 del DPR n. 915/1982, vigente ratione temporis, dalla cui ratio legis si evincerebbe la finalità del conferimento dei veicoli alla società appellata da rinvenirsi nella demolizione degli stessi piuttosto che nella loro custodia, anche considerate le precarie condizioni in cui versavano, tali da non esigere alcuna particolare necessità di conservazione in vista di un possibile futuro riutilizzo.
La Corte d’Appello di Catania, all’esito del contraddittorio, con sentenza n. 631/2020, pubblicata in data 17.03.2020, ha accolto le doglianze dell’appellante ed ha riformato la sentenza di primo grado concludendo per il rigetto della domanda attorea.
In particolare, dopo aver ricordato che tutti i veicoli erano stati consegnati all’attrice in quanto rivenuti sul suolo pubblico ed in evidente stato di abbandono, e spesso mancanti di parti necessarie al loro funzionamento, osservava come la loro rimozione fosse avvenuta senza alcuna finalità di conservazione, attesa anche la mancata adozione di un provvedimento di sequestro.
Ai sensi dell’art. 15, co. 2 e 4, del DPR n. 915/1982 (norma poi abrogata con il D. Lgs. n. 22/1997, art. 56) la finalità del conferimento delle auto era quella di permetterne la demolizione, in quanto non più utilizzabili.
La successiva abrogazione ad opera del D. Lgs. n. 56/1997 non incide su tale conclusione, anche alla luce che tale nuova fonte ha previsto l’emanazione di un regolamento per la disciplina dei casi di conferimento in esame.
Il DM n. 460/1999 è appunto il regolamento attuativo della legge, che fornisce una disciplina più dettagliata, ma applicabile, come già opinato dal Tribunale, anche retroattivamente.
Dalla disciplina de qua si ricava che non vi era alcuna finalità di custodia nella consegna dei veicoli alla società attrice, essendo lo scopo unicamente quello di permetterne in tempi ristretti la demolizione, senza alcuna necessità di acquisire autorizzazioni. Ne discendeva, quindi, che la domanda attorea non poteva trovare accoglimento.
2. Per la cassazione della sentenza di appello, la (omissis) (omissis) (omissis) S.r.l. propone ricorso sulla base di due motivi, illustrati da memorie.
Il Comune di Catania resiste con controricorso.
3. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione di legge in relazione all’art 15, co 2 e 4, del DPR n. 915/1982 e agli artt. 1 e 2 del D.M. n. 460/1999.
Nello specifico, il giudice di seconde cure avrebbe fondato il proprio convincimento esclusivamente sul dictum di cui all’art 15, co. 2 e 4, del DPR n. 915/1982 nella parte in cui legittima il depositario in possesso di apposita licenza rilasciata dall’ente proprietario della strada alla demolizione del veicolo entro 180 giorni dal conferimento, erroneamente estendendolo alla custodia di tutti gli 84 veicoli oggetto del giudizio, senza differenziare tra quelli conferiti nel periodo anteriore all’entrata in vigore del D. Lgs 285/92 (C.d.S.) e quelli conferiti in epoca successiva.
Per questi ultimi opererebbe, piuttosto, il combinato disposto dell’art. 14 del C.d.S e degli artt. 1 e 2 del D.M. n. 460/1999, applicabile retroattivamente, con la conseguente attribuzione diretta in capo all’ente comunale, proprietario delle strade, dell’onere di provvedere non solo alla rimozione ma altresì allo smaltimento dei veicoli abbandonati e non reclamati dai proprietari, sopportandone i relativi oneri economici.
Tanto premesso, pur sostenendo l’operatività ratione temporis dell’art 15 del DPR n. 915/1982 – successivamente abrogato dall’art 56 del D. Lgs. n. 22/1997, che ha previsto l’emanazione del regolamento di cui al DM n. 460/99 – la norma risulterebbe in concreto inapplicabile nel caso di specie, nella misura in cui subordina l’attività di rottamazione del veicolo da parte del centro depositario al preventivo rilascio di un’autorizzazione da parte dell’ente proprietario, non pervenuta da parte del Comune di Catania.
Con il secondo motivo la società ricorrente si duole del vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art 360, co. 1, n. 5, c.p.c.
In particolare, la doglianza concerne i provvedimenti dirigenziali A09/383 e A09/384 del 29.5.2017, depositati telematicamente nel giudizio di appello da parte della società ricorrente, dai quali risulta che il Comune di Catania abbia ottemperato con ritardo alla prescrizione di cui all’art 15 DPR n. 915/1982, provvedendo così ad acquisire i veicoli al patrimonio comunale ai fini della demolizione ed autorizzando la società alla rottamazione in violazione del termine legale ivi previsto.
Tale elemento probatorio sarebbe esemplificativo della negligenza ascrivibile all’ente comunale e della conseguente impossibilità da parte della società di provvedere in via autonoma alla demolizione.
4. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
Reputa il Collegio di dovere assicurare al riguardo continuità ai principi di recente affermati da questa Corte, con la pronuncia n. 14533/2024, la cui massima recita che: In tema di deposito di veicoli rimossi e non reclamati dai proprietari di cui al d.m. n. 460 del 1999, l’incarico del gestore del centro di raccolta si sostanzia nell’obbligo di procedere alla demolizione e allo smaltimento del veicolo, equiparato a cosa abbandonata ai sensi dell’art. 923 c.c.; pertanto è escluso che l’inerzia nel compimento delle attività previste dalla predetta norma, tra loro indipendenti e non subordinate all’onere di cancellazione dal registro del P.R.A., possa essere compensata a titolo di deposito in quanto attività che resta priva di giustificazione causale ove protratta oltre il termine di cui all’art. 1, comma 2, come richiamato dal comma 3, del d.m. citato.
La ricorrente nella sostanza non contesta che in relazione ai veicoli affidati in epoca anteriore all’emanazione del codice della strada di cui al D. Lgs. n. 285/1992, la soluzione del giudice di appello sia corretta, ma assume che viceversa il quadro normativo non permetterebbe di pervenire a tale conclusione per i veicoli oggetto di successivo affidamento, ed a tal fine le tesi difensive appaiono prevalentemente sorrette dal richiamo al contenuto del DM n. 460/1999, la cui portata retroattiva è stata affermata dal giudice di merito.
In disparte il difetto di specificità del motivo, nella parte in cui non identifica i veicoli in base al discrimen temporale dallo stesso suggerito, è proprio il carattere retroattivo del detto DM, e la sua corretta esegesi, quale già offerta da questa Corte, ad imporre il rigetto del ricorso.
La sentenza n. 14533/2024, ha proceduto alla ricostruzione sistematica delle norme regolatrici della fattispecie del conferimento provvisorio dei veicoli presuntivamente abbandonati ad uno dei centri di raccolta individuati annualmente dai prefetti, la cui individuazione avviene con le modalità di cui all’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 571, tra quelli autorizzati ai sensi dell’art. 46 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Secondo il primo comma dell’art. 1 del Regolamento recante la disciplina dei casi e delle procedure di conferimento ai centri di raccolta dei veicoli a motore o rimorchi rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e di quelli acquisiti ai sensi degli articoli 927- 929 e 923 del codice civile, adottato con decreto ministeriale 22/10/1999 n. 460, devono intendersi come presuntivamente abbandonati i veicoli a motore o i rimorchi privi della targa di immatricolazione o del contrassegno di identificazione, ovvero di parti essenziali per l’uso o la conservazione.
Ai sensi dello stesso articolo, gli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del decreto legislativo 30/04/1992 n. 285, oltre a procedere alla rilevazione di eventuali violazioni alle norme di comportamento del codice della strada, devono dare atto, in separato verbale di constatazione, dello stato d’uso e di conservazione del veicolo e delle parti mancanti; dopo aver accertato, poi, che nei riguardi del veicolo non sia pendente denuncia di furto, ne dispongono il conferimento provvisorio ad uno dei suddetti centri di raccolta, procedendo contestualmente alla notificazione al proprietario del veicolo, se identificabile.
Il secondo comma dello stesso art. 1, quindi, stabilisce che, trascorsi sessanta giorni dalla notificazione, ovvero dal rinvenimento, qualora non sia identificabile il proprietario, il veicolo non reclamato dagli aventi diritto si considera cosa abbandonata ai sensi dell’art. 923 del codice civile.
Ai sensi del terzo comma, infine, è stabilito che, decorso lo stesso termine dei sessanta giorni dalla notificazione o dal rinvenimento in caso di proprietario non identificabile, il centro di raccolta conferitario procede alla demolizione e al recupero dei materiali, «previa cancellazione dal pubblico registro automobilistico (P.R.A.)., ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 103 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ferma restando la necessità di comunicazione da parte degli organi di polizia di tutti i dati necessari per la presentazione, da parte del centro di raccolta, della formalità di radiazione».
Ancora e, in particolare, è stato evidenziato che, nella seconda parte dello stesso terzo comma è previsto che la presentazione della richiesta di cancellazione sia corredata dell’attestazione dell’organo di polizia sulla sussistenza delle condizioni previste nel comma 1, nonché sul fatto che il veicolo non risulta oggetto di furto al momento della demolizione e dalla dichiarazione del gestore dello stesso centro di raccolta conferitario sul mancato reclamo del veicolo ai sensi del comma 2); è altresì regolato, nella terza parte, l’onere, a carico dei gestori dei centri di raccolta, della restituzione al P.R.A. delle targhe e dei documenti di circolazione.
Dalla stessa formulazione letterale dell’articolo, dunque, deve reputarsi evidente che l’incarico del gestore del centro di raccolta si sostanzia non nell’obbligo di custodia, ma nell’obbligo di procedere alla demolizione e al recupero dei materiali e nell’onere di cancellazione dal registro del P.R.A.: a riprova della correttezza di questa lettura, deve considerarsi che inequivocabilmente il comma secondo dello stesso articolo prevede che il veicolo divenga res nullius ex 923 cod. civ. già decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione, ovvero, qualora non sia identificabile il proprietario, dal rinvenimento, senza che il veicolo sia stato reclamato dagli aventi diritto.
Evidentemente, un deposito in custodia che si protragga dopo questo termine di sessanta giorni non avrebbe più alcuna giustificazione causale.
Alla luce di tale puntualizzazione, ed a confutazione dell’assunto di parte ricorrente, può quindi affermarsi che l’onere di cancellazione non costituisce un adempimento presupposto della demolizione e dello smaltimento; le due attività di cancellazione e demolizione con smaltimento, demandate al gestore, sono tra loro indipendenti, seppure entrambe dovute, sicché la prima, se non compiuta, non costituisce impedimento della seconda.
La mancanza di un nesso di interdipendenza tra le due attività risulta dalla ricostruzione sistematica delle norme richiamate dalla prima parte del terzo comma dello stesso art. 1.
Qui è, infatti, stabilito che, «decorso tale termine (ancora una volta i sessanta giorni dalla notificazione o dal rinvenimento) il centro di raccolta di cui al precedente comma 1 procede alla demolizione e al recupero dei materiali, previa cancellazione dal pubblico registro automobilistico (P.R.A.), ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 103 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285».
Ebbene, in effetti il richiamato art. 103 del decreto legislativo 30/04/1992 n. 285 (Codice della strada) prevedeva, al terzo comma, che i gestori di centri di raccolta e di vendita di motoveicoli, autoveicoli e rimorchi da avviare allo smontaggio ed alla successiva riduzione in rottami non potessero «alienare, smontare o distruggere i suddetti mezzi senza aver prima adempiuto», qualora gli intestatari o gli aventi titolo non lo avessero già fatto, «ai compiti di cui al comma 1» (cioè alla cancellazione dall’archivio nazionale dei veicoli e dal P.R.A., restituendo le relative targhe e la carta di circolazione n.d.r.); quindi, al quarto comma, aggiungeva che «agli stessi obblighi di cui al comma 3 sono soggetti i responsabili dei centri di raccolta o altri luoghi di custodia di veicoli rimossi ai sensi dell’art. 159 (dello stesso cod. strada, n.d.r.) nel caso di demolizione del veicolo prevista dall’art. 215, comma 4»; nella statuizione erano, perciò, compresi anche i veicoli rimossi ai sensi del comma 5 dell’art. 159 cod. strada, cioè «i veicoli in sosta, ove per il loro stato o per altro fondato motivo si possa ritenere che siano stati abbandonati».
Questi commi terzo e quarto dell’art. 103 cod. strada, tuttavia, sono stati abrogati, sin dal 1997, dall’articolo 56, lettera f-bis, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, come modificato dall’articolo 7, comma 19, del d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389; successivamente, l’abrogazione è stata confermata dall’ articolo 264, comma 1, lettera g) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Con questa abrogazione, in sostanza, la materia era stata già ricondotta, prima dell’adozione del decreto, alla disciplina dello smaltimento dei rifiuti.
Infatti, nell’art. 46 (Veicoli a motore e rimorchi) dello Titolo III (Gestione di particolari categorie di rifiuti) dello stesso d.lgs. n. 22/1997, era stato stabilito, al comma 3, che «i veicoli a motore o rimorchi rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e quelli acquisiti per occupazione ai sensi degli articoli 927-929 e 923 del codice civile (cioè i veicoli del d.m. 460/99, n.d.r.) sono conferiti ai centri di raccolta di cui al comma 1 nei casi e con le procedure determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, dell’ambiente e dell’industria, del commercio e dell’artigianato e dei trasporti e della navigazione»; al successivo comma 6-bis, quindi, era stato sì previsto che «i gestori di centri di raccolta, i concessionari e i gestori delle succursali delle case costruttrici» non possano alienare, smontare o distruggere i veicoli a motore e i rimorchi da avviare allo smontaggio ed alla successiva riduzione in rottami senza aver prima adempiuto ai compiti di cui al comma 5, cioè alla cancellazione, ma soltanto nelle ipotesi in cui la demolizione fosse chiesta dal proprietario (il richiamo era ai primi due commi dello stesso articolo e non al comma 3 che disciplinava l’ipotesi del conferimento per cui è giudizio); come precisato dal comma 6- quater, poi, la necessità della previa cancellazione ricorreva anche per la demolizione dei veicoli abbandonati soltanto nel caso dell’articolo 215, comma 4, cod. strada, cioè quando la demolizione costituisse sanzione accessoria (ciò che la stessa ricorrente nega si avvenuto, allorché a pag. 20 del ricorso riferisce che i veicoli per cui è chiesto il compenso non erano sottoposti ad alcun sequestro giudiziario o amministrativo).
Perciò anche tenuto conto dell’epoca della consegna dei veicoli per cui è giudizio (tra il 1984 ed il 1998), deve reputarsi che il legislatore avesse escluso un nesso di interdipendenza tra le due attività di demolizione e cancellazione, seppure, come detto, entrambe dovute dal gestore del centro conferitario.
Per queste premesse, deve escludersi che l’inerzia nell’attività di smaltimento protrattasi nel tempo possa essere compensata sotto forma di oneri di custodia, perché oggetto dell’obbligo conseguente al conferimento non era la custodia del veicolo, ma il suo smaltimento e l’adempimento dell’obbligo di provvedere alla demolizione non era subordinato al previo ottenimento del provvedimento di cancellazione.
Tale ultima considerazione rende altresì evidente l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, in quanto il fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina (provvedimenti dirigenziali del Comune di Catana del 29 maggio 2017, ragionevolmente emessi proprio al fine di dare attuazione a quanto disposto nella sentenza di primo grado poi riformata dalla decisione oggi gravata), appare privo di decisività, non incidendo sulla conclusione per cui l’inerzia del Comune di Catania non ha inciso sulla necessità che la ricorrente dovesse autonomamente e tempestivamente adempiere a quanto prescrittole, non potendo quindi accampare alcuna pretesa a titolo di custodia dei veicoli protrattasi oltre i tempi contenuti dettati per la loro demolizione.
5. Il ricorso è rigettato, ed al rigetto consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio.
6. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 10.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Cassazione, il giorno 5/11/2024.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2024.