Design industriale, non è plagio ispirarsi a un allestimento artistico (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 29 aprile 2024, n. 11413).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI – Presidente –

MARCO MARULLI                                        – Consigliere –

GIULIA IOFRIDA                                         – Consigliere –

ROSARIO CAIAZZO                                     – Consigliere Rel. –

MASSIMO FALABELLA                                  – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 24949 del 2022 proposto da

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliata presso gli avv.ti (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), dai quali è rappresentata e difesa, per procura speciale in atti;

-ricorrente-

-contro-

(omissis) s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis) 43, presso l’avv. (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende, unitamente all’avv. (omissis) (omissis), per procura speciale in atti;

(omissis) (omissis) (omissis), elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis) 28, presso l’avv. (omissis) (omissis), dal quale è rappresentata e difeso unitamente agli avv.ti (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), per procura speciale in atti;

-controricorrenti-

avverso la sentenza n. 2089/2022 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 14.06.2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23.2.2024 dal Cons. rel., dott. ROSARIO CAIAZZO.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, su domanda dell’arch. (omissis) (omissis) (figlia ed erede dell’arch. (omissis) (omissis) (omissis)), con sentenza del 2022 ha accertato che la lampada “1954” (progettata dall’arch. (omissis) (omissis) (omissis), figlio di un fratello di (omissis) (omissis), e realizzata su licenza d’uso, dalla (omissis) (omissis) s.a.s.) aveva costituito plagio dell’opera di design industriale creata anche da (omissis) (omissis), e realizzata in occasione dell’allestimento proposto per la sezione industrial Design della X Triennale del 1954.

Al riguardo, il Tribunale ha osservato che:

l’apporto creativo e il valore artistico si ravvisavano anche nella sola lampada, estrapolata cioè dal contesto del più ampio allestimento ove risultava inserita, come elemento di spicco dello stesso e comunque senz’altro dotato di piena autonomia, al di là della sua contingente destinazione funzionale nello specifico contesto dello stand espositivo;

anche la genesi progettuale confermava tale indipendenza, poiché vi erano bozzetti realizzativi originali dell’epoca che davano conto del suo sviluppo in via autonoma;

lo stesso convenuto aveva riconosciuto tale circostanza in occasione d’un’intervista, dichiarando che nell’allestimento della triennale del 1954 comparivano dei corpi illuminanti molto semplici, però di grande effetto dal punto di vista della resa;

in definitiva, la lampada progettata (anche) da (omissis) (omissis) (omissis) era annoverabile tra le espressioni più rilevanti delle concezioni progettuali del design, il cui interesse e valore estetico rimaneva tuttora intatto a distanza di decenni dalla sua creazione, a conferma della specifica capacità rappresentativa di un gusto artistico che differenziava tale prodotto dalla congerie delle produzioni di design di effimera e ordinaria concezione;

la valutazione sul plagio era resa più agevole dall’accostamento delle immagini fotografiche, entrambe estratte da un catalogo della (omissis) (omissis) s.a.s. in atti;

vi erano soltanto due variazioni, egualmente irrilevanti, la prima dimensionale, la seconda differenza era invece di carattere puramente funzionale;

in sostanza, l’originario allestimento era realizzato con l’uso di 22 coni da quattro metri di diametro e con un elemento illuminante – il faretto – posto fuori dal cono, mentre la lampada disegnata dall’appellante, e prodotta dalla (omissis) (omissis), presentava la dimensione di un normale lampadario e l’elemento illuminante era posizionato all’interno del cono trasparente.

Conseguentemente, il Tribunale ha inibito ogni ulteriore attività di fabbricazione e vendita, ha ordinato il ritiro dal commercio delle lampade realizzate, la pubblicazione dell’intestazione e del dispositivo della sentenza, ha fissato la penale per ogni prodotto reperito in commercio e ha condannato i convenuti al pagamento della somma di euro 1.100,00 a titolo di risarcimento dei danni.

2. Con sentenza del 14.6.2022, la Corte territoriale ha accolto l’appello di (omissis) (omissis) (omissis), osservando che:

era da premettere la decisione secondo la ragione più liquida, dando rilievo al profilo ritenuto assorbente, ovvero di più pronta soluzione, afferente all’accertamento dell’opera di design, per la quale era stata chiesta la tutela d’autore;

al riguardo, non era condivisibile la ricostruzione effettuata dal Tribunale, in applicazione del principio di diritto secondo il quale “ai fini della tutelabilità, per la normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria, l’art. 2, n.10, l. n. 633/41, esige che l’opera di industrial design abbia un quid pluris costituito dal valore artistico, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, che può essere ricavato da una serie di parametri oggettivi (quali, il riconoscimento, da parte egli ambienti culturali ed istituzionali, delle qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità, ovvero la creazione da parte di un noto artista (Cass., n. 23292/15);

pertanto, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, era da ritenere che il carattere creativo dell’opera potesse e dovesse essere riconosciuto al complessivo allestimento realizzato dai fratelli (omissis) per la manifestazione della Triennale, e non già alla singola lampada che di detto allestimento costituiva una componente;

infatti, anche i riconoscimenti attribuiti ai fratelli (omissis), come richiamati nella sentenza impugnata, avevano sempre fatto riferimento all’allestimento nel suo complesso e non già al singolo corpo illuminante, in particolare;

che sia il diploma di gran premio, sia i vari articoli giornalistici citati sottolineavano che “era forse nel settore dell’allestimento che i (omissis) coglieranno, più che nel disegno degli oggetti, la condizione sperimentale più libera … o meglio la più ampia possibilità di infrazione rispetto alle regole metodologiche per la costituzione dell’oggetto industriale che essi stessi si erano fissate…

L’allestimento è colto dai (omissis) quale magistrale esperimento di concisione”; l’allestimento era accompagnato da riproduzioni fotografiche nel suo complesso, connotato dalla presenza di decine di ombrelli luminosi e dalla valorizzazione della scelta espositiva di porre i 150 oggetti di design, selezionati per l’esposizione, su sottostanti pedane dal colore scuro, al fine da far concentrare l’attenzione dell’osservatore sugli oggetti; pertanto, sulla scorta delle produzioni effettuate dalla parte appellata, doveva ritenersi che la percezione dell’opera del design si fosse consolidata nella collettività, e in particolare negli ambienti culturali in senso lato, nella sua funzione scenografica, e che il rilievo iconico della stessa non fosse da attribuire al corpo illuminante in sé e per sé, bensì al suo utilizzo quale strumento dello spazio espositivo, ridotto ad un contenitore buio, di cui restava solo la dimensione orizzontale, spezzata dalle sequenze articolate di grandi pedane; la tutela d’autore era dunque da limitare all’allestimento nel suo complesso e non al singolo strumento illuminante per il quale non erano emersi successivi ed ulteriori riconoscimenti specifici, anche considerando che nel mercato attuale dei prodotti illuminotecnici esistevano molteplici esempi di lampade conoidali a base larga, senza che detta solo circostanza possa, di per sé, integrasse un’ipotesi di plagio della precedente idea di cui al citato allestimento; in particolare, nella specie non sussistevano le caratteristiche delle opere del disegno industriale, di cui all’art. 2, n. 10, della l. n. 633/41, cioè il fatto che esse trovavano la loro collocazione nella fase progettuale di un oggetto destinato ad una produzione seriale; inoltre, era da considerare che la rilevante differenza funzionale degli oggetti in questione (faretto illuminante posto all’esterno della lampada nella scenografia della triennale, e corpo illuminante interno al telo nella lampada in questione), lungi dal costituire un elemento irrilevante, appariva tale da escludere in radice la stessa ipotesi di plagio, concorrendo ad integrare una diversa modalità diffusiva della luce ed un diverso impatto visivo e stilistico; in definitiva, il compendio delle suddette circostanze era idoneo ad escludere la fondatezza dell’originaria domanda.

3. (omissis) (omissis) ha proposto ricorso i n cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria.

La (omissis) s.a.s. e (omissis) (omissis) (omissis) hanno resistito con controricorso, illustrato da memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, in ordine al riconoscimento del valore artistico dell’opera in questione, a norma dell’art. 2, n.10, l. n. 633/41, a prescindere dal valore artistico dell’allestimento nel suo complesso.

Al riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia escluso che la lampada, oggetto di causa, presenti valore artistico da tutelare, attraverso un esame limitato e parziale dei documenti prodotti, sul rilievo, anzitutto, che le immagini fotografiche dell’esposizione dedicata all’Industriale Design della Triennale del 1954 trascurino quasi del tutto gli altri oggetti in esposizione, evidenziando il valore artistico della lampada quale iconica sorgente di luce, quasi teatrale.

La ricorrente rileva in particolare che:

– le foto o non riprendono il faretto illuminante o gli danno comunque visibilità e rilievo marginali, trattandosi in sostanza della sorgente luminosa imposta dalla tecnologia dell’epoca;

– la Corte territoriale non ha tenuto conto che era la genesi del progetto a dimostrare come la lampada avesse un’identità sua, mentre del futuro allestimento sottostante vi erano soli i tavoli/ripiani d’appoggio per l’oggettistica varia che accompagnerà i grandi ombrelli illuminanti.

5. Il secondo motivo denunzia errata applicazione dei parametri, soggettivi e oggettivi, utilizzabili per decidere sul valore artistico di un’opera di design industriale, ed erronea interpretazione della normativa italiana e comunitaria in materia.

Al riguardo, la ricorrente lamenta: l’erronea interpretazione della sentenza della cassazione richiamata dalla Corte d’appello circa i parametri oggettivi che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, ricorrevano nella fattispecie, almeno nella modalità del plagio parziale, cioè limitato al valore artistico della sola lampada; la mancata considerazione da parte della Corte territoriale del fatto che, mentre l’allestimento complessivo era stato diretto dai fratelli (omissis), ma aveva visto la partecipazione di altri sette artisti, la lampada era stata ideata e progettata solo da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis); il fatto che la Corte d’appello non avesse motivato sulle ragioni per le quali il valore creativo della lampada sarebbe da escludere sotto il profilo dell’autore, data la fama dei due ideatori (richiamando al riguardo ordinanze di questa Corte); che, in particolare, non fossero stati valutati il carattere creativo ed artistico sulla scorta dell’ordinamento comunitario; infatti, la sentenza 12.9.2019 della CGUE (come la successiva 16.6. 20 20) aveva affermato, in sede di rinvio pregiudiziale, il riconoscimento della tutela autorale, ai sensi della direttiva 2001/29, a tutte quelle opere, anche del design industriale, che soddisfano le due esigenze menzionate in sentenza, l’originalità e l’individuabilità (cioè è sufficiente che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando libere scelte creative, con riferimento ad un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività).

6. Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 2, n. 1°, l. n. 633, con riferimento all’accezione di “industrialità”, avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la lampada non possa essere inclusa nell’ambito d’applicazione del citato art. 2, in quanto la sua destinazione non era quella della produzione seriale, ma solo quella dell’utilizzo come sfondo scenografico, sul presupposto che l’opera non era stata ancora sfruttata dai legittimi eredi (omissis); sul punto, ai fini della configurabilità del design industriale, era irrilevante l’effettiva industrializzazione dello stesso, essendo ai fini della tutela sufficiente che la destinazione alla produzione seriale sia limitata al livello progettuale (come peraltro confermato dal fatto che a distanza di oltre 60 anni, altra lampada ideata dai (omissis), rieditata , era stata commercializzata).

7. Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 12 l.a., con riferimento all’utilizzazione dell’opera da parte dei controricorrenti; in subordine, violazione dello stesso art. 12, quale plagio parziale, con riguardo all’utilizzazione della lampada intesa come parte dell’allestimento complessivo, ovvero, in via più gradata, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla medesima questione.

In particolare, la Corte territoriale si duole che la Corte d’appello non abbia neppure esaminato la questione del plagio parziale, riferito alla lampada come elemento dell’allestimento complessivo del 1954, atteso che essa era immediatamente riconducibile alla matrice originaria dei fratelli Castiglioni, riproducendone esattamente la stessa funzione d’illuminazione.

8. I quattro motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati.

9. La questione, di fatto e di diritto, oggetto di causa, presuppone, per il suo corretto inquadramento, l’esposizione dell’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.

L’opera di industrial design può ricevere tutela nell’ambito del diritto d’autore ove, ai sensi dell’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941, contenga un quid pluris, costituito dal valore artistico -che va provato da chi ne invoca la protezione – sulla base di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento delle qualità estetiche ed artistiche da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato tale da trascendere quello legato alla funzionalità, la creazione da parte di un noto artista(Cass., n. 33199/2023; n. 23292/2015).

Il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell’opera di industrial design non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, ma va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista (Cass., n. 7477/2017).

In tema di proprietà intellettuale, l’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941 (applicabile ratione temporis), a mente del quale sono comprese nella protezione delle opere del disegno industriale quelle «che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico», va interpretato nel senso che i menzionati parametri debbono risultare riconoscibili, anche attraverso il ricorso a criteri indiziari (riconoscimento in ambiti critico – specialistici, presenza di tratti sicuramente innovativi, sia sul terreno progettuale che realizzativo, precoce ed attendibile musealizzazione), opportunamente pesati (ove presenti), sulla base di un giudizio ex ante, formulato -se del caso – attraverso il ricorso all’esperienza e al sapere specialistico di consulenti idonei a fornire al giudice validi elementi di valutazione (Cass., n. 22118/2015).

Ai sensi dell’art. 2, n. 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633, ai fini della tutelabilità, in base alla normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria (cosiddetta industrial design) – caratterizzata dall’esigenza di coniugare i valori estetici con quelli funzionali, e soprattutto di concepire la forma di un prodotto in serie a livello industriale in modo che sia al tempo stesso esteticamente pregevole e adatta alla sua funzione pratica ed alle esigenze della produzione – è necessaria, oltre che alla sussistenza delle caratteristiche di creatività, originalità e novità, proprie dell’opera dell’ingegno, la scindibilità del valore artistico dell’opera stessa dal carattere industriale del prodotto al quale essa è in concreto associata, scindibilità da intendersi in senso ideale, quale idoneità dell’opera ad essere oggetto di un’autonoma valutazione a prescindere dal supporto materiale sul quale essa possa essere stata apposta (Cass., n. 10516/1994).

La protezione del diritto d’autore postula il requisito dell’originalità e della creatività, consistente non già nell’idea che è alla base della sua realizzazione, ma nella forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione (Cass., n. 10300/2020).

10. Il quadro normativo europeo di riferimento muove da una lettura combinata delle Direttive Europee n. 2001/29 e n. 98/71 e del Regolamento EU 06/2002, in ordine alla definizione de l termine di «opera».

Ebbene, la nozione di «opera» considerata dall’insieme di dette disposizioni costituisce, come peraltro risulta da costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata ed applicata in modo uniforme, e che presuppone l’esistenza di un oggetto originale, nel senso che, detto oggetto, deve rappresentare una creazione intellettuale propria del suo autore, e che tale qualifica è riservata agli elementi che sono espressione di tale creazione.

Tuttavia, entrando ancor più nel dettaglio, risulta, da costante giurisprudenza comunitaria che, perché un oggetto possa essere considerato originale, è necessario e sufficiente che questo rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; per contro, quando la realizzazione di un oggetto è stata determinata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o altre vincoli che non lascino margine per la libertà creativa, non può ritenersi che tale oggetto presenti l’originalità necessaria per poter costituire “un’opera”, non essendo necessario il requisito ulteriore costituito dall’effetto visivo da essa prodotto rilevante da un punto di vista estetico (CG U E, 12.9.2019, causa C-683/17; in tal senso, anche Cass., n. 8433/2020).

Di conseguenza, si è ritenuto che occorre svolgere un ragionamento inverso, scremando l’oggetto da quegli elementi proteggibili esclusivamente da titoli industriali, per cui la nozione di «opera» implica necessariamente l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione ed oggettività.

L’individuazione dell’oggetto è quindi una ricerca necessaria che va svolta su basi oggettive per evitare problemi di certezza del diritto; la percezione e le sensazioni soggettive di coloro che osservano l’opera rappresentano comunque elementi strumentali a tal fine, ma non sono decisivi.

Alla luce dell’insieme di tali osservazioni, si arriva ad una prima conclusione e cioè che sono qualificabili come «opere» quei modelli che rappresentano una creazione intellettuale originale propria dell’autore.

In questo contesto, comunque suscettibile di interpretazioni contrastanti, il legislatore comunitario ha optato per un sistema secondo il quale la protezione riservata ai disegni e modelli e quella assicurata dal diritto d’autore non si escludono a vicenda, anzi può verificarsi il cumulo della protezione.

11. Ora, nella specie, va premesso che le eccezioni d’inammissibilità sono infondate, sia sotto il profilo della mancata censura della ratio a sostegno della sentenza impugnata, relativamente all’insussistenza del plagio, poiché la ricorrente ha espressamente criticato tale parte della sentenza, sia in ordine alla carenza di autosufficienza, emergendo dai vari motivi di ricorso una chiara descrizione dei fatti di causa.

12. Il collegio ritiene che non meriti censura l’argomentazione della Corte d’appello, a tenore della quale il carattere creativo dell’opera possa e debba essere riconosciuto al complessivo allestimento e non alla lampada, avulsa dallo stesso allestimento che caratterizzava l’opera esposta alla triennale del 1954.

Invero, secondo la Corte territoriale, “sulla scorta delle produzioni effettuate dalla parte appellata, deve ritenersi che la percezione dell’opera del design si sia consolidata nella collettività, e in particolare negli ambienti culturali in senso lato, nella sua funzione scenografica, e che il rilievo iconico della stessa non sia da attribuire al corpo illuminante in sé e per sé, bensì al suo utilizzo quale strumento dello spazio espositivo, ridotto ad un contenitore buio, di cui resta solo la dimensione orizzontale, spezzata dalle sequenze articolate di grandi pedane; la tutela d’autore era dunque da limitare all’allestimento nel suo complesso e non al singolo strumento illuminante per il quale non erano emersi successivi ed ulteriori riconoscimenti specifici”.

La ricorrente lamenta, al riguardo, che il giudice di secondo grado, sovvertendo la motivazione del Tribunale, abbia valutato in maniera parziale le immagini fotografiche prodotte che ponevano in primo piano le lampade, ritratte dal basso, quali iconiche sorgente di luce- quasi come oggetto teatrale, trascurando quasi del tutto gli altri oggetti in esposizione.

13. Ora, la Corte d’appello, nel ribaltare la decisione di primo grado, ha evidenziato le differenze sostanziali tra l’originario allestimento- realizzato con l’uso di ventidue coni da quattro metri di diametro e con un elemento illuminante, il faretto, posto fuori dal cono – e la lampada disegnata dall’appellante, prodotta da (omissis), che presenta la dimensione di un normale lampadario, mentre l’elemento illuminante è posizionato all’interno del cono trasparente.

In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che “.. il tutto non senza considerare, infine, come la rilevante differenza funzionale che connota gli oggetti in questione (faretto illuminante posto all’esterno della lampada nella scenografia della Triennale e corpo illuminante interno al telo nella lampada per cui è qui processo), lungi dal costituire mero elemento “irrilevante” (come asserito dal Tribunale), appaia tale da escludere in radice la stessa ipotesi di plagio evocata da parte appellata, concorrendo a integrare una diversa modalità diffusiva della luce ed un diverso impatto visivo e stilistico.”

In sostanza, non può condividersi la diversa interpretazione del Tribunale, secondo la quale l’apporto creativo era ravvisabile anche nella sola lampada, sebbene estrapolata dal contesto del più ampio allestimento ove risultava inserita, quale elemento di spicco dello stesso, dotato di piena autonomia.

Invero, nell’opera per cui è causa, le differenze che la lampada presenta rispetto al bene esposto alla triennale connota una diversa modalità diffusiva della luce , tale da escludere ogni forma di plagio parziale.

Argomentando da tale premessa fattuale, la Corte territoriale ha condivisibilmente ritenuto che, difformemente da quanto affermato dal Tribunale, il carattere creativo dell’opera potesse e dovesse essere riconosciuto al complessivo allestimento, realizzato dai fratelli (omissis) per la manifestazione della Triennale, e non già alla singola lampada, che di detto allestimento costituiva una componente.

Il collegio ritiene, pertanto, che la doglianza relativa alla diversa valutazione della consistenza dell’opera da tutelare, effettuata dalla Corte d’appello rispetto a quella del Tribunale, non sia sindacabile in sede di legittimità, involgendo un sostanziale riesame dei fatti. Invero, la protezione del diritto d’autore postula il requisito dell’originalità e della creatività, consistente non già nell’idea che è alla base della sua realizzazione, ma nella forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione (Cass., n. 10300/20).

Ne consegue l’infondatezza del la doglianza afferente all’erronea applicazione dei parametri, soggettivi ed oggettivi, che il giudice deve applicare per determinare la sussistenza, o meno, del valore artistico in un’opera del design industriale, ai fini della sua inclusione fra le opere di cui all’art. 2, n.10, l.d.a.

In proposito, giova rilevare che, nella sentenza impugnata, tali parametri sono stati ravvisati rispetto all’allestimento complessivo dell’opera mentre, come detto, è stata esclusa la tutela della lampada, in sé, estrapolata dallo stesso allestimento della Triennale del 1954; peraltro, la sentenza impugnata ha evidenziato che per il singolo strumento illuminante non erano emersi successivi ed ulteriori riconoscimenti specifici.

Circa il riferimento al valore artistico-creativo dell’allestimento, è vero che, come assume la ricorrente, esso non è richiesto dall’orientamento della CGUE che, nella citata sentenza del 2019 – le cui statuizioni sono state confermate nella successiva sentenza dell’11.6.20 – ha ritenuto sufficienti, ai fini della tutela autoriale, i requisiti dell’originalità e dell’individualità (in ciò ravvisandosi un contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, invece, richiede un quid pluris costituito dal valore artistico dell’opera: v. Cass., n. 33100/23).

Tuttavia, nella specie, la questione del carattere artistico della lampada in questione non assume rilevanza, atteso che, per quanto esposto, proprio sulla scorta delle produzioni della ricorrente, deve ritenersi che la percezione dell’opera di design si sia consolidata nella collettività e, in particolare, negli ambienti culturali in senso lato, nella sua funzione scenografica, e che il rilievo iconico della stessa non sia da attribuire al corpo illuminante in sé e per sé, bensì al suo utilizzo quale strumento di costruzione dello spazio espositivo, ridotto ad un contenitore buio, di cui resta solo la dimensione orizzontale, spezzata dalle sequenze articolate di grandi pedane.

Né la mancata destinazione della lampada alla produzione seriale costituisce un elemento rilevante ai fini della decisione della causa, avendo peraltro la sentenza impugnata affermato che la destinazione dell’opera non era mai stata quella della produzione seriale, ma solo quella dell’utilizzo quale sfondo scenografico.

Ne consegue altresì l’infondatezza della doglianza afferente al plagio parziale, per le medesime ragioni sopra evidenziate.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio della 1° sezione civile del 23 febbraio 2024.

Il Presidente

Umberto L.C.G. Scotti

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.