Dipendenti: se la “tuta” è facoltativa niente tempo di vestizione e svestizione (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 16 maggio 2024, n. 13639).

LA  CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO – Presidente –

Dott. FABRIZIO AMENDOLA – Rel. Consigliere –

Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO – Consigliere –

Dott. GUALTIERO MICHELINI – Consigliere –

Dott. ELENA BOGHETICH – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 17182-2022 proposto da:

(omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) elettivamente domiciliati in Roma, (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) rappresentati e difesi dall’avvocato (omissis) (omissis);

ricorrenti

contro

(omissis) S.P.A. (già (omissis) S.R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 315/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/04/2022 R.G.N. 649/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO CHE

1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) nei confronti della (omissis) S.r.l. volte ad ottenere il riconoscimento come orario di lavoro del tempo di vestizione e svestizione (ed. tempo-tuta) per una durata pari a venti minuti per ogni turno di lavoro dal febbraio 2014 al luglio 2019;

2. la Corte, in estrema sintesi, ha accertato che “dalle risultanze istruttorie, inclusa l’escussione testimoniale, é emersa chiaramente l’assenza dell’elemento costitutivo dell’obbligazione retributiva rivendicata dai lavoratori, ossia l’esercizio datoriale del potere di eterodirezione riguardo al tempo, al modo e al luogo della vestizione e della svestizione”;

in particolare la Corte del merito ha acclarato “come tutti i lavoratori di (omissis) non avevano, e non hanno, alcun obbligo di indossare gli abiti da lavoro (il cui utilizzo resta facoltativo) negli appositi spogliatoi ubicati all’interno dei locali aziendali, ben potendo recarsi al lavoro e far ritorno a casa indossandoli”; ha poi ribadito che “i dipendenti di (omissis) sono liberi di indossare capi di vestiario personali, non sussistendo alcun obbligo imposto da (omissis) di indossare gli indumenti da lavoro forniti e di portare a casa gli indumenti da lavoro per lavarli presso la propria abitazione, a dimostrazione del fatto che non vi e alcun obbligo per i dipendenti di tenere e di lavare gli indumenti da lavoro in azienda”; “con riferimento ai DPI specifici (come, ad esempio, i guanti da lavoro e in nitrile, gli occhiali, le visiere di protezione, le mascherine per le polveri e le cuffie antirumore) utilizzati esclusivamente in caso di necessità e conservati in armadietti di reparto, assegnati a ciascun lavoratore, viene confermato – secondo la Corte territoriale – che il problema circa l’asserita mancanti retribuibilità non si pone, dal memento che ad essi si accede solo dopo aver timbrato il cartellino, durante l’orario di lavoro”;

3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con due motivi, cui ha resistito la società con controricorso;

entrambe le parti hanno comunicato memorie;

all’esito della camera di consiglio, ii Collegio si e riservato ii deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

CONSIDERATO CHE

1. i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;

1.1. col primo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, d.lgs. 66/2003, art. 2, par. 1, Direttiva 2003/88 e art. 2094 cc in ordine alla ricomprensione delle operazioni di vestizione/svestizione nell’orario di lavoro per implicita disciplina di impresa (art. 360, co. 1, n. 3 cpc)”, si deduce che la Corte di Appello di Bologna sarebbe incorsa in errore “laddove ha proceduto alla ricostruzione del principio del tempo di lavoro ricomprendendovi esclusivamente le operazioni in senso stretto riconducibili alla prestazione lavorativa, in quanto specificamente oggetto della disciplina organizzativa di impresa”;

1.2. con il secondo motivo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 74, 1, d.lgs. 81/2008 e dell’art. 2087 cc in ordine alla definizione di dispositivi di protezione individuale (art. 360, co. 1, n. 3 cpc)”; si lamenta che la Corte di Appello di Bologna avrebbe “preteso di escludere la possibilità di configurazione di una divisa da lavoro per il solo fatto che gli indumenti utilizzati per l’esecuzione della prestazione lavorativa (conduzione impianti in una industria oleochimica) non siano finalizzati alla protezione di un rischio specificamente individuato e tipizzato dalla disciplina aziendale”;

2. i motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per connessione, non meritano accoglimento;

2.1. la sentenza impugnata é, infatti, conforme alla giurisprudenza in materia secondo cui il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro (tra le molte v. Cass. n. 5437 del 2019; n. 33258 del 2021; Cass. n. 32477 del 2021; Cass. n. 30958 del 2022, alle quali si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per ogni ulteriore aspetto qui non specificamente esaminato);

in particolare, ancora di recente si é ribadito che l’accertamento in ordine al fatto che le operazioni di vestizione e svestizione rientrino o meno nel potere di conformazione della prestazione da parte della società datrice – in ordine al luogo ed alle modalità della prestazione, all’ottemperanza a prescrizioni datoriali contenute nel regolamento aziendale ed alla interpretazione del medesimo, al collegamento funzionale all’espletamento dell’attività in conformità con le previsioni di legge in tema di igiene – costituisce indagine di competenza del giudice del merito, in quanto tale sottratta al sindacato di legittimità di questa Corte (Cass. n. 33937 del 2023);

2.2. parte ricorrente, con motivi che solo formalmente evocano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, nella sostanza pretende di sollecitare una nuova indagine suI fatto, senza neanche misurarsi adeguatamente con taluni accertamenti contenuti nella sentenza impugnata secondo cui – come ricordato nello storico della lite – “tutti i lavoratori di (omissis) non avevano, e non hanno, alcun obbligo di indossare gli abiti da lavoro (il cui utilizzo resta facoltativo) e “non sussistendo alcun obbligo impasto da (omissis) di indossare gli indumenti da lavoro forniti”; come pure si trascura l’accertamento secondo il quale per i “DPI specifici (come, ad esempio, i guanti da lavoro e in nitrile, gli occhiali, le visiere di protezione, le mascherine per le polveri e le cuffie antirumore) utilizzati esclusivamente in caso di necessità e conservati in armadietti di reparto, assegnati a ciascun lavoratore, viene confermato – secondo la Corte territoriale – che il problema circa l’asserita mancanza di retribuibilità non si pone, dal momento che ad essi si accede solo dopo aver timbrato il cartellino, durante l’orario di lavoro”;

3. pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con spese regolate secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delie spese liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20 marzo 2024

Il Presidente

Dott.ssa Adriana Doronzo

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.