Patto commissorio e patto di retrovendita: necessaria una valutazione complessiva degli interessi delle parti (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 14 maggio 2024, n. 13210).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Mario BERTUZZI              – Presidente

Aldo CARRATO                 – Consigliere

Antonio MONDINI            – Consigliere

Cesare TRAPUZZANO       – Consigliere Rel.

Cristina AMATO                – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 5169/2019) proposto da:

(omissis) (omissis) (C.F.: (omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. (omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in Roma, via (omissis) (omissis) n. 7, presso lo studio dell’Avv. (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis) (C.F.: (omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dall’Avv. (omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in Roma, via (omissis) n. 137, presso lo studio dell’Avv. (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 5329/2018, pubblicata il 21 novembre 2018, notificata a mezzo PEC il 27 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 aprile 2024 dal Consigliere relatore Dott. Cesare Trapuzzano;

viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Carmelo Celentano, che ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;

lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;

sentiti, in sede di discussione orale all’udienza pubblica, gli Avv.ti (omissis) (omissis) per il ricorrente e (omissis) (omissis) per il controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1.– (omissis) (omissis) conveniva, davanti al Tribunale di Avellino, (omissis) (omissis), chiedendo – in via principale – che fosse dichiarata la nullità della compravendita conclusa con atto pubblico del 1° settembre 2008, rep. n. 206.908, racc. n. 31.456, registrata il 5 settembre 2008, al n. 6132, serie 1T, tra il venditore (omissis) (omissis) e l’acquirente (omissis) (omissis), rappresentato dal procuratore speciale (omissis) (omissis), avente ad oggetto l’immobile ubicato in (omissis) (omissis), alla via (omissis) n. 30, per violazione del divieto di patto commissorio, o – in via gradata – che fosse pronunciato l’annullamento del contratto, per essere stato il consenso dell’alienante estorto con violenza.

Al riguardo, esponeva l’istante:

– che il (omissis) aveva mutuato, in favore del (omissis), nel giugno 2007, ingenti somme di denaro, che avrebbero dovuto essere restituite nell’arco di un anno con gli interessi maturati;

– che il 19 luglio 2008 il (omissis), non avendo restituito le somme ricevute, sottoscriveva scrittura privata con la quale concedeva la facoltà al mutuante di iscrivere ipoteca sull’immobile di sua proprietà e contestualmente rilasciava tre titoli bancari, dell’importo complessivo di euro 730.000,00, in favore del (omissis);

– che, con preliminare del 23 agosto 2008, il (omissis) prometteva di vendere al (omissis) l’immobile di cui era proprietario, con patto di retrovendita ove il (omissis) avesse restituito la somma mutuata; che il 1° settembre 2008 era stipulato l’atto di vendita di detto immobile;

– che era stato costretto a stipulare la vendita, benché non voluta, e a subirne un determinato contenuto, poiché il (omissis) aveva minacciato di far valere un diritto intervenuto in un momento anteriore al negozio di vendita.

Si costituiva in giudizio (omissis) (omissis), il quale contestava la fondatezza delle pretese avversarie e, in particolare, deduceva:

– che il proprio credito pari ad euro 730.000,00 non traeva origine da un contratto di mutuo, bensì da una truffa che aveva subito, avendo consegnato detta somma al (omissis) affinché fosse investita presso un istituto di credito svizzero, investimento invece non effettuato;

– che vani erano stati i tentativi di ottenere la restituzione della somma indicata, sicché, al fine di ottenere parte di tale somma, era stato stipulato un contratto di vendita, quale soluzione proposta dallo stesso (omissis) in assenza di qualsivoglia coercizione.

Per l’effetto, chiedeva il rigetto delle domande attoree e spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo che il (omissis) fosse condannato al pagamento della somma consegnata, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Con autonomo ricorso ex art. 702-bisc.p.c. vigente ratione temporis, depositato il 26 luglio 2010, (omissis) (omissis) adiva il Tribunale di Avellino al fine di sentire condannare (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) al rilascio del bene che aveva acquistato, procedimento di cui era disposta la sospensione in attesa della definizione del procedimento pregiudiziale sull’accertamento della validità della vendita.

Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse con i testi (omissis) (omissis) (fratello dell’attore), (omissis) (omissis) (moglie dell’attore) e (omissis) (omissis) (procuratore speciale del convenuto) ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio estimativa del valore del bene alienato. Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1280/2014, depositata il 16 ottobre 2014, rigettava le domande proposte da (omissis) (omissis) e, per l’effetto, condannava quest’ultimo al rilascio, in favore di (omissis) (omissis), dell’immobile oggetto di vendita mentre accoglieva la domanda riconvenzionale proposta da (omissis) (omissis) e, per l’effetto, condannava (omissis) (omissis) al pagamento, in favore del convenuto, della somma di euro 400.219,00, oltre interessi dalla costituzione in mora al soddisfo.

2.– Con atto di citazione notificato il 20 ottobre 2014, proponeva appello (omissis) (omissis), il quale lamentava:

1) la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché ultrapetita era stato ordinato il rilascio dell’immobile, sebbene nessuna domanda fosse stata avanzata in proposito nel corso del giudizio;

2) l’erronea affermazione della validità della vendita, nonostante la causa di garanzia che la connotava, posto che, con il preliminare di cui alla scrittura privata del 23 agosto 2008, era stata convenuta una clausola di retrovendita, ove il venditore avesse provveduto alla restituzione, in favore dell’acquirente, della somma di denaro ricevuta da quest’ultimo;

3) l’erronea dichiarazione di inattendibilità delle testimonianze rese da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), in ordine alle violente minacce subite, sulla scorta del mero rapporto di parentela e coniugio con l’attore e della mancanza di riscontri esterni di carattere oggettivo, volti a comprovare le loro deposizioni, stante che (omissis) (omissis) non aveva sporto denuncia a seguito delle asserite continue e pressanti minacce subite e (omissis) (omissis) non aveva ricordato la natura e l’entità del debito contratto dal marito (e la contrapposta valutazione di attendibilità del teste (omissis) (omissis), nonostante il suo chiaro interesse nella causa, tale da legittimare la sua partecipazione al giudizio).

Si costituiva nel giudizio di impugnazione (omissis) (omissis), il quale instava per la declaratoria di inammissibilità dell’appello ovvero per il suo rigetto.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva per quanto di ragione l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava la nullità per vizio di ultra-petizione della disposta condanna al rilascio del cespite, confermando nel resto le statuizioni del Tribunale.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede:

a) che il contratto di compravendita concluso tra le parti realizzava una datio in solutum, ossia un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, a carattere parzialmente satisfattivo del credito vantato dal (omissis) nei confronti del (omissis), ammontante all’importo di euro 730.000,00;

b) che non vi erano elementi per ritenere che le parti avessero subordinato l’atto traslativo all’adempimento del (omissis), costituendo così una garanzia a vantaggio del creditore, ma emergeva, invece, che le parti, successivamente alla constatazione dell’inadempimento del (omissis), avevano convenuto di soddisfare parzialmente il credito del (omissis) attraverso la vendita del bene;

c) che particolarmente significativa era, in proposito, la scrittura privata del 19 luglio 2008, sottoscritta dai contendenti ed avente ad oggetto la concessione della facoltà di iscrivere ipoteca volontaria sul bene di proprietà del (omissis), che si era riconosciuto altresì debitore del (omissis) per l’importo di euro 730.000,00, senza alcuna violenza o costrizione morale a suo danno;

d) che nessun rilievo poteva avere in senso contrario il patto di retrovendita inserito nel preliminare di compravendita del 23 agosto 2008, che non poteva costituire certamente un indizio atto a comprovare l’esistenza di un patto commissorio, costituendo piuttosto un elemento confermativo del rapporto consensuale di dazione del bene in pagamento, finalizzato esclusivamente ad acconsentire al debitore, ove avesse onorato la propria obbligazione, di poter riacquistare la proprietà del bene oggetto della dazione medesima;

e) che, peraltro, il predetto patto di retrovendita non aveva trovato ingresso nel successivo rogito notarile di compravendita, con la conseguenza che nessuna rilevanza poteva essere attribuita allo stesso;

f) che non vi era altresì prova che il consenso dell’appellante fosse stato estorto con violenza morale, stante che i testimoni addotti da parte attrice, come correttamente valutato dal Tribunale, apparivano inattendibili in ragione del loro rapporto di stretta parentela e tenuto conto dell’assenza di ulteriori elementi idonei a confortare quanto dai medesimi dichiarato.

3.– Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, (omissis) (omissis).

Ha resistito con controricorso l’intimato (omissis) (omissis).

Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.

All’esito, le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.– Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa “interpretazione” degli artt. 1344, 1418, 2744 e 1362 c.c., per avere la Corte di merito escluso la nullità della vendita in ragione della violazione del divieto di patto commissorio, negando lo scopo di garanzia a beneficio del creditore ed affermando la mera modalità solutoria di tale pattuizione traslativa, nonostante la clausola di retrovendita stabilita nel preliminare, anche perché non reiterata nel contratto definitivo.

Al riguardo, l’istante obietta che la condizione risolutiva rappresentata dal patto di retrovendita inserito nel preliminare avrebbe conferito, invece, uno scopo di garanzia alla vendita immobiliare, tale da sostituirsi alla causa di scambio tipica della compravendita e integrando piuttosto gli estremi di un patto commissorio concluso in frode alla legge.

Rileva, altresì, il ricorrente – in ordine alla asserita sopravvenuta inefficacia del patto di retrovendita di cui al preliminare, in quanto non trasfuso nel definitivo – che la mancata riproduzione della clausola nell’atto di vendita non necessariamente avrebbe dovuto essere intesa come rinuncia, essendovi invece un potere valutativo del giudice quanto alla effettiva volontà espressa dalle parti, avuto riguardo al contegno serbato dalle medesime parti prima, durante e dopo la conclusione del contratto, senza limitarsi al senso letterale delle parole usate.

Senonché, in difetto di un’espressa abdicazione al patto di retrovendita, la volontà dalle parti non avrebbe potuto essere intesa nel senso di escludere l’efficacia della clausola prevista nel preliminare.

1.1.– Il motivo è fondato nei termini che seguono.

E ciò sebbene la sopravvivenza del patto di retrovendita stabilito nel preliminare e non ripreso nel definitivo sia stata correttamente negata in ragione del principio secondo cui, qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

Infatti, la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7624 del 21/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 23210 del 31/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9961 del 28/03/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 30466 del 23/11/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 30735 del 21/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 7064 del 11/04/2016; Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 15585 del 11/07/2007; Sez. 2, Sentenza n. 233 del 10/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 8515 del 28/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 2824 del 25/02/2003; Sez. 3, Sentenza n. 7206 del 09/07/1999).

Nella fattispecie, l’atto di vendita immobiliare – che esigeva la forma scritta ad substantiam – non ha riprodotto, né ha richiamato il patto di retrovendita contemplato nel preliminare.

E d’altronde non è risultato da alcun atto scritto che le parti avessero raggiunto un accordo contemporaneamente alla stipula del definitivo, volto a stabilire che l’obbligo di retrovendita contenuto nel preliminare sopravvivesse al contratto definitivo.

1.2.– Nondimeno, la pronuncia impugnata incorre ugualmente nel dedotto vizio di sussunzione (recte di falsa applicazione) della fattispecie concreta, di cui è stata esclusa la riconduzione – indiretta – al patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c. sulla scorta delle argomentazioni esposte, che dovranno sul punto essere rivalutate in sede di rinvio (sul vizio di sussunzione Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. 5, Sentenza n. 23851 del 25/09/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 10320 del 30/04/2018).

Ed invero, siffatta esclusione (con la correlata desunzione dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, di conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione) è stata motivata sulla scorta di una valutazione atomistica e parcellizzata del solo atto di vendita, qualificato come datio in solutum ex art. 1197 c.c., senza tenere conto, secondo una ponderazione unitaria e complessiva, dell’intera concatenazione di atti che ha condotto al perfezionamento dell’atto traslativo, quale ultima “tappa” di un iter articolato.

Tale iter si è sviluppato, a fronte della ritenuta sussistenza di un debito restitutorio pregresso dell’importo di euro 730.000,00, in forza del seguente percorso:

a) la stipulazione tra le parti in data 19 luglio 2008 di una scrittura privata avente ad oggetto la concessione della facoltà di iscrivere ipoteca volontaria sul bene di proprietà del (omissis), che si era, al contempo, riconosciuto debitore del (omissis) per l’importo di euro 730.000,00, rilasciando all’uopo tre assegni bancari dell’importo complessivo pari al debito riconosciuto;

b) la conclusione in data 23 agosto 2008 di un preliminare di vendita per scrittura privata, con il quale il (omissis) prometteva di vendere al (omissis) l’immobile di cui era proprietario, con patto di retrovendita “ove il (omissis) avesse restituito la somma” ricevuta;

c ) la stipulazione in data 1° settembre 2008 dell’atto pubblico di vendita dell’immobile promesso, il cui contenuto era connotato:

c1 ) dalla mancata previsione di alcun pactum de retrovendendo;

c2) dal difetto di riferimento alla causale della datio in solutum della proprietà immobiliare a deconto del debito pecuniario contratto dall’alienante;

c3 ) dall’ulteriore precisazione che il prezzo concordato di euro 730.000,00 era stato già corrisposto;

c4) dalla mancata consegna dell’immobile alienato in favore dell’acquirente.

Solo la dinamica e correlata valutazione di tali atti avrebbe potuto guidare il giudizio sulla funzione solutoria o assicurativa (recte di garanzia) dell’atto di vendita, quale mero epilogo di una vicenda che si è snodata attraverso plurimi atti negoziali. Atto traslativo mediante cui l’eventuale finalità di garanzia si sarebbe potuta realizzare quale mero risultato finale.

Non si poteva, infatti, prescindere dal nesso di interdipendenza negoziale, tale da far emergere la funzionale preordinazione dei negozi collegati allo scopo finale di garanzia piuttosto che a quello di scambio, accertando la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale posta in essere e restando a tal fine irrilevanti sia la natura obbligatoria o reale del contratto, o dei contratti, sia il momento temporale in cui l’effetto traslativo fosse destinato a verificarsi, sia, infine, quali fossero gli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e perfino l’identità dei soggetti che avevano stipulato i negozi collegati, complessi o misti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27362 del 08/10/2021; Sez. 2, Sentenza n. 23553 del 27/10/2020; Sez. 3, Sentenza n. 13580 del 21/07/2004; Sez. 2, Sentenza n. 9466 del 19/05/2004).

E ciò al fine di determinare se l’effetto traslativo finale fosse stato il frutto di una libera scelta in ordine all’esecuzione del trasferimento immobiliare in luogo dell’adempimento ovvero se su tale stipulazione avesse inciso la precedente concessione della facoltà di iscrizione ipotecaria e il preliminare di vendita con patto di retrovendita ancorato al saldo del debito contratto (elemento, quest’ultimo, che rileva in sé come fatto indiziario da ponderare, indipendentemente dalla sua persistenza all’esito della conclusione del definitivo di vendita, che, come detto, rappresenta il mero esito della potenziale garanzia prevista attraverso il preliminare).

In sé, dunque, la sopravvenuta perdita di efficacia del patto di retrovendita non costituisce elemento sufficiente al fine di negare in via assorbente la sussistenza di alcun elemento da cui trarre il convincimento che la vendita immobiliare fosse avvinta da uno scopo di garanzia, tale da impingere nel divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. e da determinare la nullità del contratto per frode alla legge ex art. 1344 c.c.

Orbene, il patto commissorio, vietato dall’art. 2744 c.c., è configurabile quando il debitore sia costretto al trasferimento di un bene, a tacitazione dell’obbligazione, mentre l’integrazione del patto è esclusa solo ove tale trasferimento sia frutto di una scelta, come nel caso in cui venga liberamente concordato quale datio in solutum ex art. 1197 c.c., ovvero esprima esercizio di una facoltà che si sia riservata all’atto della costituzione dell’obbligazione medesima ex art. 1286 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19694 del 17/06/2022; Sez. 2, Sentenza n. 19508 del 18/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10702 del 07/07/2003; Sez. 3, Sentenza n. 8742 del 26/06/2001; Sez. 1, Sentenza n. 893 del 03/02/1999; Sez. 2, Sentenza n. 9675 del 06/11/1996; Sez. 3, Sentenza n. 4283 del 17/05/1990).

Né peraltro il fatto che il versamento del prezzo da parte del compratore non si configurasse come contestuale erogazione di un mutuo, posto che la datio sarebbe stata concordata a deconto di un debito pregresso dell’alienante, escludeva a priori l’integrazione di un patto commissorio, in quanto avrebbe dovuto comunque ponderarsi se il trasferimento del bene avesse risposto ad una finalità solutoria e non già alla finalità di costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi in maniera diversa a seconda che il debitore adempisse o meno all’obbligo di restituire le somme ricevute (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4514 del 26/02/2018; Sez. 1, Sentenza n. 8957 del 17/04/2014; Sez. 2, Sentenza n. 16953 del 20/06/2008; Sez. 2, Sentenza n. 2725 del 08/02/2007; Sez. 2, Sentenza n. 9900 del 20/07/2001; Sez. 2, Sentenza n. 1657 del 04/03/1996), sulla scorta di indici riferiti alla complessa vicenda negoziale intrattenuta tra le parti.

In specie, emerge dalla sentenza impugnata che l’adempimento del debito fosse ancora esigibile, tanto da essere stato riconosciuto in termini di attualità con la scrittura privata del 19 luglio 2008 di concessione della facoltà di iscrizione ipotecaria e con il preliminare di vendita di cui alla scrittura privata del 23 agosto 2008, ove il patto di retrovendita era collegato al saldo del debito (e non già al pagamento di un prezzo), sicché la promessa di trasferimento della proprietà avrebbe potuto ritenersi diretta ad “assicurarsi” (coartando) tale pagamento ancora possibile, in violazione degli artt. 1963 e 2744 c.c.

E non appare, per contro, giustificato il riferimento all’ipotesi in cui la promessa di trasferimento e la successiva vendita fossero stati, invece, pattuiti allo scopo di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto e di liberare, quindi, il debitore dalle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19694 del 17/06/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 15112 del 03/06/2019; Sez. 2, Sentenza n. 1075 del 21/01/2016; Sez. 2, Sentenza n. 7206 del 21/03/2013; Sez. 3, Sentenza n. 7277 del 18/03/2008; Sez. 2, Sentenza n. 14903 del 28/06/2006; Sez. 3, Sentenza n. 19950 del 06/10/2004; Sez. 3, Sentenza n. 7585 del 05/06/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4064 del 07/04/1995).

Ora, il divieto di patto commissorio, sancito dall’art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore; sicché, anche un contratto preliminare di compravendita può dissimulare un mutuo con patto commissorio, ancorché non sia previsto il passaggio immediato del possesso del bene, qualora la promessa di vendita abbia la funzione di garantire la restituzione, entro un certo termine, della somma “precedentemente” o coevamente mutuata dal promittente compratore, purché sia dimostrato il nesso di strumentalità tra i due negozi (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 23617 del 09/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 12462 del 21/05/2013; Sez. 2, Sentenza n. 11924 del 23/10/1999; Sez. 2, Sentenza n. 7740 del 20/07/1999; specificamente sulla possibilità che il patto commissorio sia realizzato anche laddove il trasferimento sia previsto a titolo di coazione per l’adempimento di un debito anteriore: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20420 del 28/09/2020).

In conseguenza, in materia di patto commissorio, l’art.2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il “patto” ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegata per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2469 del 25/01/2024; Sez. 2, Sentenza n. 4262 del 20/02/2013; Sez. 3, Sentenza n. 5635 del 15/03/2005).

A queste coordinate il giudice del rinvio dovrà attenersi nel rivalutare la corrispondenza o meno della fattispecie concreta alla fattispecie astratta di integrazione, seppure indiretta, della violazione del divieto di patto commissorio.

2.– Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa “interpretazione” dell’art. 247 c.p.c., come risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale della Corte costituzionale n. 248 del 23 luglio 1974, per avere la Corte territoriale disatteso la domanda di annullamento della compravendita per violenza morale, ai sensi dell’art. 1434 c.c., sulla scorta della dichiarazione di inattendibilità dei testi (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), in quanto rispettivamente fratello e moglie dell’appellante (omissis) (omissis), e in mancanza di alcun elemento oggettivo esterno di riscontro a conforto delle loro deposizioni.

Osserva il ricorrente che tali testi avevano dichiarato che nei mesi immediatamente precedenti alla conclusione della vendita immobiliare il (omissis) era stato sottoposto a continue e pressanti richieste restitutorie provenienti dal (omissis), il quale aveva minacciato continuamente e in modo violento lo stesso (omissis) (omissis) nonché il germano (omissis) (omissis). Sicché l’attendibilità dei testi sarebbe stata esclusa per il solo fatto che essi fossero stretti congiunti dell’appellante e in quanto le loro deposizioni non fossero supportate da riscontri oggettivi esterni, anche di carattere documentale, in grado di corroborarle.

Mentre, per converso, avrebbe dovuto essere la loro eventuale inattendibilità ad essere supportata da riscontri esterni di natura oggettiva, che avrebbero dovuto espressamente essere individuati dal giudice e che non avrebbero potuto essere rinvenuti nel mero rapporto di parentela o di coniugio con una delle parti del giudizio.

2.1.– Il motivo è fondato.

Ed infatti, in materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6001 del 28/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 25358 del 17/12/2015; Sez. 3, Sentenza n. 4202 del 21/02/2011; Sez. L, Sentenza n. 17630 del 28/07/2010; Sez. 3, Sentenza n. 1109 del 20/01/2006).

Sicché l’esistenza di uno dei vincoli indicati nell’art. 247 c.p.c. avrebbe potuto, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerata dal giudice di merito ai fini di escludere l’attendibilità dei testi.

Per converso, nel caso di specie, l’inattendibilità dei testimoni è stata supportata dal solo riferimento al vincolo di parentela e di coniugio nonché dall’assenza di elementi oggettivi esterni di riscontro dell’attendibilità, secondo una presunzione di inaffidabilità dei testi derivante in sé dal vincolo parentale e coniugale con la parte.

Come debitamente rilevato nelle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, la Corte di merito avrebbe dovuto piuttosto dare contezza, ove sussistenti, di ulteriori elementi idonei a corroborare la ritenuta non credibilità dei testi, e non già giungere alla conclusione della loro inattendibilità per carenza di elementi che suffragassero la veridicità delle relative deposizioni.

3.– In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere accolto, con riferimento ad entrambi i motivi articolati, nei sensi di cui in motivazione.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

“Ai fini di accertare la ricorrenza di un patto commissorio, non si può prescindere dalla valutazione del nesso di interdipendenza negoziale, tale da far emergere la funzionale preordinazione dei negozi collegati allo scopo finale di garanzia piuttosto che a quello di scambio, accertando la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale posta in essere nel suo complesso, e ciò con particolare riferimento alla concessione della facoltà di iscrivere ipoteca, cui sia seguita la stipulazione di un preliminare di vendita in favore del creditore, con patto di retrovendita qualora il debito fosse stato saldato, benché tale patto non sia ripreso nel definitivo, a fronte di un debito riconosciuto e considerato ancora esigibile”.

“In materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità – o di presunzione di inattendibilità in caso di mancanza di riscontri corroborativi esterni – del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità”.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione

accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Cassazione, in data 9 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.