Disciplinare Magistrati. Le Sezioni Unite dice sì alla valutazione dei messaggi WhatSapp e degli sms offensivi conservati nella memoria del telefonino (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza 27 aprile 2023, n. 11197).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sezione –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sezione –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23053/2022 R.G. proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS);

ricorrente

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

intimati

avverso la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 102/22, depositata il 28 luglio 2022.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 febbraio 2023 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Luigi CUOMO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 28 luglio 2022, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha dichiarato il (OMISSIS) (OMISSIS) responsabile dell’illecito disciplinare previsto dagli artt. 1 e 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 e lo ha condannato alla sanzione disciplinare della perdita di anzianità di tre mesi, perché, quale giudice in servizio presso il Tribunale di (OMISSIS)

a} a seguito di emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) ed altri nel procedimento penale n. 2699/17 R.G.N.R e n. 333/19 R.G. dib. innanzi al Tribunale di (OMISSIS) in composizione collegiale e della successiva trasmissione degli atti da parte del giudice collegiale al giu­dice monocratico per ragioni di competenza, con ordinanza in data 25 giugno 2019 dichiarava la nullità assoluta del provvedimento di trasmissione degli atti a causa della mancata dichiarazione di assenza degli imputati indicati nel verbale di udienza come “liberi non comparsi” e, pertanto, dopo avere a sua volta disposto la restituzione del fascicolo al Tribunale in composizione collegiale che, infine, elevava conflitto negativo di competenza innanzi alla Corte di cassazione ai sensi degli artt. 28 e ss. cod. proc. pen., teneva un comportamento gravemente scorretto:

– nei confronti dei componenti del collegio penale (presidente: (OMISSIS) per avere, nella chat aperta tra i magistrati degli Uffici giudiziari di (OMISSIS) commentato con toni negativi, irriguardosi, sarcastici ed irridenti l’operato dei predetti magistrati, avendo censurato la declinatoria della competenza e definito l’ordinanza pronunciata in data 4 luglio 2019, con cui era stato elevato conflitto negativo di competenza innanzi alla Corte di cassazione, “una barzelletta giuridica” ed una “pessima pagina della giustizia (OMISSIS) posto che “il presidente avrebbe fatto bene a dichiarare l’assenza e a verificare con maggiore cautela sia la trasmissione degli atti al giudice monocratico che il conflitto di compe­tenza”, essendo evidente “la superficialità con cui era stato trattato un così delicato processo… mi dispiace solo per i giovani e bravi colleghi che stimo e che hanno pessimi esempi”;

nei confronti dei magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di (OMISSIS) e dei componenti del collegio penale (presidente: (OMISSIS)) per avere, all’udienza dibattimentale del (OMISSIS) fissata per la trattazione del citato procedimento (OMISSIS) al cospetto del P.M. e delle parti presenti, emesso la ordinanza con cui era stata disposta la restituzione degli atti al Tribunale in composizione collegiale “per non incamerare nullità” al contempo affermando che “gli dispiaceva per il P.M.” e, inoltre, a giustificazione del proprio operato, con tono di voce alterato ed in­ giustificatamente elevato; ricorrendo ad espressioni smodate ed inopportune, sosteneva di aver “provveduto nel rispetto della legge”, all’uopo censurando “gli errori” e l’operato del Procuratore della Repubblica che “era solito sinda­care i suoi provvedimenti”, per poi diffondersi sulle iniziative e sulle prerogative dei Consigli Giudiziari e sull’ANM “che andrebbero sciolti”, perché “lui era un giudice pulito”;

– nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione e dei componenti dell’Associazione Nazionale Magistrati per avere, all’udienza dibattimentale del 25 giugno 2019 e nella chat aperta tra i magistrati degli Uffici giudiziari di (OMISSIS) gettato discredito sul loro operato e sulla loro correttezza professio­nale, avendo adombrato il sospetto che il conflitto di competenza elevato dal Tribunale di (OMISSIS) con l’ordinanza pronunciata in data 4 luglio 2019 potesse essere deciso secondo regole e principi diversi da quelli previsti dal codice di procedura penale, avendo auspicato che “la questione di diritto sia decisa in termini tecnici senza interferenze e/o pressioni da parte di succursali romane della ANM o della corrente di turno… ormai c’è da aspettarsi di tutto”;

b) nel corso della trattazione del processo penale (OMISSIS) ed altri, celebrato all’udienza del (OMISSIS) battendo la mano sul banco ed esprimendosi con toni visibilmente alterati, teneva un comportamento gravemente scorretto nei confronti del Procuratore della Repubblica di (OMISSIS) e del P.M. di udienza, essendosi mostrato contrariato per il momentaneo malfunzionamento dei sistemi informatici che avevano nell’immediatezza vanificato la possibilità di ottenere in­ formazioni sulla eventuale assunzione della qualità di indagato da parte di (OMISSIS) ed impedito di stabilire se dovesse essere escusso come teste o persona indagata in procedimento connesso e, inoltre, rappresentava in modo del tutto inopportuno che in mancanza di risposta scritta avrebbe tra­ smesso gli atti al Procuratore della Repubblica di (OMISSIS) diffondendosi altresì in modo del tutto gratuito (alla presenza delle parti) su questioni non riguardanti la trattazione del citato processo penale, tra cui l’organizzazione degli Uffici giudiziari di (OMISSIS) e le ragioni del contrasto con il Procuratore della Repubblica (nei cui confronti si era reso responsabile di “lesa maestà”, soggiungendo “.,.ah… lo non mollo mica; Pubblico Ministero, c’ho du’ coglioni così…”), avendo quest’ultimo trasmesso nei suoi confronti una segnalazione disciplinare “destinata chiaramente a finirsi in un niente”, avendo altresì stigmatizzato che “…il Procuratore ha fatto una lettera segreta al Consiglio Giudiziario… ha fatto una lettera segreta, questa è quella pubblica, quella segreta l’ha fatta al Consiglio Giudiziario direttamente… Che vergogna;’;

c) con provvedimento in data 3 novembre 2020, adottato quale giudice dell’esecuzione penale nel procedimento 40/20 R.E., riguardante l’applicazione della disciplina del reato continuato invocata dal condannato (OMISSIS) e finalizzata ad ottenere l’Unificazione ex art. 671 cod. proc. pen. di separate condanne per i reati di omicidio plurimo aggravato, detenzione illegale di armi e di estorsione, censurava le valutazioni e l’operato professionale del collega di ufficio dott. (OMISSIS) che – pur essendo destinatario di precedente ed analoga istanza difensiva – aveva omesso di pronunciarsi sul punto) e del Presidente. del Tribunale di (OMISSIS) (che a seguito di ripresentazione di istanza difensiva di eguale tenore aveva assegnato il procedimento al dott. (OMISSIS) (OMISSIS) avendo stigmatizzato, con le seguenti parole dal contenuto gratuitamente offensivo e inutilmente censorio, la condotta dei predetti magistrati: “La denegata giustizia di cui si è reso protagonista il collega dr. (OMISSIS) – in sostanza avallata e comunque non a chi di dovere se­gnalata dal Presidente in Sede, invero limitandosi all’assai discutibile provvedimento, in data 7 ottobre 20, di ritrasmissione degli atti a questo Giudice – è stata frutto di un marchiano errore, in fatto e in diritto, forse rilevante in separata sede, ma di certo non in grado di superare la preclusione processuale derivante dal c.d. giudicato esecutivo, ovvero, dal principio generale del ne bis in idem sancito dall’art. 649 çod. proc. pen. e valevole anche per il processo di esecuzione”.

A fondamento della decisione, la Sezione disciplinare ha innanzitutto ri­conosciuto l’utilizzabilità dei messaggi whatsapp indicati al capo a), trasmessi all’interno di una chat formata tra i magistrati dell’Ufficio giudiziario di (OMISSIS) ed acquisiti in atti attraverso copia di c.d. screenshot, senza il sequestro del dispositivo in cui erano memorizzate le conversazioni, ritenendoli qualificabili come documenti, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. ed acquisibili con una qualunque modalità atta alla raccolta del dato, e confermandone l’affidabilità; la provenienza e l’attendibilità, in quanto riprodotti e riportati nelle relazioni del Procuratore della Repubblica e del Presidente del Tribunale.

In ordine all’illecito di cui al capo a), ha ritenuto accertato, sulla base dei file audio dell’udienza, della trascrizione delle interlocuzioni con il P.M., delle deposizioni dei testi, delle relazioni dei dirigenti degli uffici e degli screenshots dei messaggi, che l’incolpato, dopo aver letto l’ordinanza con cui disponeva la trasmissione degli atti al Tribunale in composizione collegiale, aveva criticato, innanzi al P.M. ed alle parti, l’operato dei magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica e di quelli del Collegio penale, e quando il P.M. di udienza aveva rappresentato l’intenzione di rileggere l’ordinanza per com­piere ogni pertinente valutazione, aveva iniziato ad alterarsi, esprimendo una serie di considerazioni sugli errori della Procura, proseguite poi nella chat aperta dai magistrati di (OMISSIS) senza risparmiare critiche neppure ai magistrati della Corte di cassazione.

In ordine all’illecito di cui al capo b), ha invece richiamato la relazione stenotipica, i file audio e la relazione del P.M. di udienza, dai quali risultava che, in occasione dell’audizione di un teste, l’incolpato aveva evocato prece­denti attriti con il Procuratore della Repubblica, e, a fronte dell’impossibilità di acquisire informazioni a causa di un malfunzionamento del sistema infor­matico, aveva iniziato ad alterarsi, battendo un pugno sullo scranno e pronunciando le espressioni addebitategli.

In ordine all’illecito di cui al capo e), ha richiamato infine la motivazione del provvedimento indicato, nella quale l’incolpato si era diffuso in aspre critiche nei confronti del collega dott. (OMISSIS) e del Presidente del Tribunale.

Tanto premesso, la Sezione disciplinare ha ritenuto che le condotte ascritte all’incolpato integrassero gli estremi degl’illeciti ascrittigli, dal momento che le espressioni utilizzate configuravano gravi scorrettezze; per le modalità espressive, che travalicavano i limiti di una legittima critica, sconfi­nando in aggressioni verbali e denigrazioni.

Ha osservato infatti che la con­dotta denigratoria tenuta nel corso dell’udienza e le critiche mosse nella motivazione del provvedimento non rientravano nei modelli comportamentali ac­cettabili nelle relazioni interpersonali, nel rispetto della diversità dei ruoli e delle competenze, e per il buon andamento dell’ufficio giudiziario, ma alimentavano un clima di tensione tra i colleghi.

Ha escluso che le frasi dell’incolpato si mantenessero nei limiti di una libera e legittima manifestazione del pen­siero, evidenziando il teno.re denigratorio delle parole usate per esprimere il proprio convincimento, che sconfinavano in critiche aspre ed irriguardose, espresse dinanzi a numerose persone presenti nell’aula di udienza, nonché in un ingiustificato sarcasmo nei messaggi diffusi via chat.

Ha precisato infine che le affermazioni dell’incolpato rivestivano un inequivocabile contenuto de­nigratorio e offensivo non soltanto nei confronti dei singoli colleghi, ma anche nei riguardi dell’ordine giudiziario complessivamente inteso, per il discredito gettato sui magistrati dell’ufficio.

Ha aggiunto che il contenuto delle espres­sioni pronunciate nell’udienza del 2 luglio 2019 evidenziava l’assoluta mancanza di autocontrollo e di continenza dell’incolpato, indipendentemente dalle ragioni che lo avevano indispettito, mentre la gravità della scorrettezza commessa nell’ordinanza del 3 novembre 2020 emergeva dal tenore letterale delle espressioni utilizzate, del tutto eccentriche rispetto alla decisione as­sunta.

Ha ritenuto invece che le opinioni espresse nell’udienza del 25 giugno 2019 non raggiungessero la soglia di gravità, in quanto, pur risultando dure e non certo corrette, apparivano del tutto generiche e indirette, e quindi non lesive del prestigio di singoli magistrati.

La Sezione disciplinare ha poi ritenuto che la gravità e la reiterazione delle condotte scorrette impedisse l’applicazione dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto, osservando che i diversi episodi contestati avevano delegit­timato l’operato dei colleghi dello stesso Tribunale, determinando un’inevita­bile lesione dell’immagine dell’incolpato, ed aggiungendo che la reiterazione delle condotte scorrette aveva causato uno stato di tensione all’interno dello Ufficio giudiziario di (OMISSIS). Ha ritenuto conseguentemente applicabile l’art. 5, comma secondo, del d.lgs. n. 109 del 2006; e, rilevato che ciascuna delle tre violazioni era punibile con la sanzione della censura, ha inflitto all’incolpato la sanzione immediatamente più grave.

2. Avverso la predetta sentenza, il dott. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività

Per la decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Pro­curatore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi dell’art. 8, comma ot­tavo, del d.I. 29 dicembre 2022, n. 198, che ha prorogato fino alla data del 30 giugno 2023 l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 221, comma ottavo, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 e di cui all’art. 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 9-bis, del d.L 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia lç1 violazione dell’art. 606, b), e) ed e), cod, proc. pen., in relazione all’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, sostenendo che, nell’affermare la grave scorrettezza delle condotte ascrittegli, la Sezione disciplinare si è limi­ tata ad evidenziare le espressioni da lui usate in una chat privata; in un prov­vedimento giudiziario o nelle pause di udienza, senza spiegare le ragioni per cui le stesse, diffuse in un contesto assai circoscritto, potevano pregiudicare il buon andamento dell’ufficio giudiziario o comprometterne l’unità funzionale.

Precisa al riguardo che le esternazioni compiute tramite whatsap, erano rivolte ai magistrati dell’ufficio giudiziario, che avevano avuto pertanto la possibilità di replicare alle stesse, mentre quelle compiute in udienza costituivano scambi d’idee un po’ più concitati, ma concretamente inidonei ad incidere sull’andamento dell’ufficio.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606, lett. b), e) ed e), proc. pen., in relazione all’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, osservando, in ordine al comportamento di cui al capo c1) dell’incolpazione, che dal verbale di udienza del 25 giugno 2019 non emergeva alcun elemento da cui potesse desumersi l’uso di espressioni smodate e inopportune/ essendosi egli limitato a stigmatizzare una prassi er­ronea adottata dal Presidente del collegio penale ed a manifestare il suo di­ spiacere per il P.M., che aveva seguito con scrupolo le indagini prima del rinvio a giudizio.

Aggiunge, in ordine al corhpòrtamerito di cui al capo b), di aver reagito ad una provocazione del P.M., inalberatosi di fronte alle critiche mosse al suo Ufficio per il mancato rilascio di un’attestazione relativa alla posizione di un teste, e di avere a tal fine adottato espressioni non del tutto eleganti, ma allineate comunque al linguaggio utilizzato dall’interlocutore.

Quanto infine al comportamento di cui al capo c), afferma di aver legittimamente manifestato, nell’esercizio del proprio diritto di critica giuridica, le proprie perplessità per l’atteggiamento antagonistico manifestato dai colleghi nei confronti del proprio provvedimento, nonché di essersi rivolto al Presidente del collegio penale, senza mancargli di rispetto, ma facendogli notare l’errore commesso, e di aver chiesto al P.M. perché nell’impugnare l’ordinanza avesse omesso di evidenziare un’altra omissione in cui era incorso il collegio.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606, lett. e), proc. pen., osservando che, nel ritenere utilizzabili i messaggi WhatsApp acquisiti, la sentenza impugnata non ha colto il senso dell’eccezione da lui sollevata, essendosi limitata ad affermarne l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità, nonostante il mancato sequestro del dispositivo su cui erano memorizzate le conversazioni, senza verificare di quale chat si trattasse, chi fossero gl’iscritti, chi avesse scattato gli screenshots e da quale dispositivo fossero stati tratti.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. e degli artt. 2, comma primo, lett. d), e 3- bis del d.lgs. n. 109 del 2006, sostenendo che, nell’escludere la scarsa rilevanza del fatto, la Sezione disciplinare l’ha correttamente rapportata all’illecito nella sua interezza, anziché alla scorrettezza dei comportamenti, ma ha polarizzato la propria attenzione sulla lesione dell’immagine dell’ufficio di ap­partenenza, in relazione allo sconcerto creato tra i colleghi ed all’impedimento frapposto al dialogo ed alla collaborazione, senza valutare l’incidenza dell’il­ lecito sul bene tutelato dall’art. 3-bis cit,, costituito dall’immagine del magi­ strato.

5. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, riguardanti la ricostruzione dei fatti e la valutazione del comportamento ascritto all’incolpato, sono infondati.

Ai fini dell’accertamento dell’illecito disciplinare, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di «grave scorrettezza» cui fa riferimento l’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006 nel rendere sanzionabili i comportamenti tenuti dal magistrato nei confronti delle parti, dei difensori, di altri magistrati e di chiunque abbia con esso rapporti nell’ambito dell’ufficio giudiziario, ha carattere elastico, nel senso che impone al giudice disciplinare di attingere, in funzione del giudizio di sussunzione dei fatti accertati nella norma che tipizza l’illecito, sia ai principi che la norma stessa (anche implici­tamente) richiama, sia a fattori esterni presenti nella coscienza comune, in modo tale da fornire concretezza alla parte mobile della disposizione che, come tale, è suscettibile di adeguamento rispetto al contesto storico-sociale in cui deve trovare applicazione (cfr. Cass., Sez. Un., 27/11/2019, n. 31058; v. anche Cass., Sez. Un., 30/12/2020, n. 29823).

La Sezione disciplinare non si è infatti limitata a dare atto della condotta tenuta dall’incolpato, riportando testualmente le frasi irriguardose da lui uti­lizzate nella chat aperta tra i magistrati appartenenti agli Uffici giudiziari locali, nel corso dell’udienza e finanche nei provvedimenti adottati, ma l’ha sot­toposta a specifica valutazione, alla stregua dei caratteri di appropriatezza e moderazione che devono contraddistinguere le modalità di espressione ed il linguaggio del magistrato nei rapporti con i colleghi e con tutti coloro con cui entra in contatto nell’esercizio delle sue funzioni, concludendo che le espressioni polemiche adoperate dall’incolpato nei confronti del Presidente e dei membri del Collegio, del Procuratore della Repubblica e del collega Dott. (OMISSIS) travalicavano i limiti di una legittima critica, sconfinando in aggressioni verbali e denigrazioni.

A sostegno di tale apprezzamento, la sentenza impugnata ha puntualmente richiamato i connotati di correttezza, equilibrio e ri­spetto che devono sovrintendere alla condotta del magistrato nei rapporti con i colleghi, il personale amministrativo, le parti, i loro difensori, i testimoni e tutti gli altri soggetti coinvolti nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, rilevando che i termini usati dall’incolpato per esprimere il proprio convinci­ mento, sia nell’interlocuzione con i colleghi e le parti processuali che nei prov­vedimenti da lui emessi, non erano riconducibili ai modelli di comportamento accettabili nelle relazioni interpersonali, i quali impongono il rispetto dei ruoli e delle competenze, ma, per il loro contenuto offensivo e denigratorio, risultavano idonei ad alimentare un clima di tensione, incompatibile con il buon andamento dell’ufficio giudiziario.

Ha osservato che, in quanto pronunciate dinanzi a numerose persone presenti nell’aula, le espressioni adoperate in udienza gettavano discredito sui magistrati dell’Ufficio e risultavano pertanto lesive nei confronti dell’Ordine giudiziario complessivamente inteso, aggiungendo che le frasi proferite fuori verbale all’indirizzo del Procuratore non erano interpretabili come una semplice manifestazione d’intemperanza dovuta al clima concitato dell’udienza, ma rivelavano una assoluta mancanza di autocontrollo e di continenza, idonea ad arrecare un grave danno alla sua immagine ed a quella dell’intero Ufficio.

Ha rilevato infine che le espressioni contenute nell’ordinanza del 3 novembre 2020 risultavano del tutto eccentri­che rispetto alla decisione adottata, non comportando mere valutazioni tecnico-giuridiche, ma trasmodando in giudizi personali e critiche all’operato del collega e del Presidente del Tribunale.

5.1. Tale accertamento, sia nella parte riguardante la ricostruzione dei fatti, sia in quella concernente la valutazione del contenuto delle dichiarazioni e degli scritti, ed in particolare l’apprezzamento in concreto della portata of­fensiva delle espressioni usate nonché della loro riconducibilità al legittimo esercizio del diritto di critica, costituisce un giudizio di fatto, rimesso in via esclusiva alla Sezione disciplinare del CSM (cfr. Cass., Sez. U., 27/12/2011, n. 28813); a quest’ultima spettano infatti, in linea generale, la valutazione della gravità dei fatti e dell’incidenza del comportamento sulla stima di cui deve godere il magistrato, sul prestigio della funzione e sulla fiducia nella istituzione, nonché la determinazione della sanzione adeguata; con apprezza­ mento che, in quanto attinente al merito, risulta incensurabile in sede di legittimità, sé sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici (cfr. Cass., Sez. un., 10/11/2021, n. 33001; 8/04/2009, n. 8615),

Nella specie, l’incongruenza o l’illogicità della motivazione possono essere senz’altro escluse in Virtù dell’ampiezza e della coerenza delle argomentazioni svolte dalla Sezione disciplinare in ordine al carattere denigratorio ed offen­sivo delle espressioni usate dall’incolpato, la cui idoneità a pregiudicare il buon andamento dell’Ufficio giudiziario è stata posta puntualmente in risalto dalla sentenza impugnata, mediante la sottolineatura dello stato di tensione dalle stesse alimentato all’interno del Tribunale e nei rapporti con la Procura della Repubblica, nonché dello sconcerto verosimilmente determinato nelle persone che avevano assistito alle esternazioni e della conseguente lesione del prestigio di tutti i protagonisti della vicenda, nonché dell’Ordine giudiziario nel suo complesso.

Non può condividersi, in contrario, il riferimento del ricorrente al carattere privato della chàt in cui avevano avuto luogo alcune delle dichiarazioni ed all’estraneità di altre allo svolgimento dell’udienza propriamente intesa, trat­tandosi di circostanze inidonee ad escludere la riconducibilità del comporta­ mento del magistrato all’esercizio della funzione giurisdizionale: quest’ultima, infatti, come già precisato da queste Sezioni Unite, non comprende soltanto le condotte tenute direttamente nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quelle ché, in quanto inscindibilmente collegate a comportamenti pre­cedenti (o anche solo in infieri) attinenti alle stesse, divengono parti di un unico modus agendi contrario ai doveri del magistrato (cfr. Cass., Sez. Un., 14/07/2021, h. 20042; 9/11/2018, n. 28653).

E’ stato d’altronde chiarito che l’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, nella parte in cui attribuisce rilievo disciplinare ai comportamenti gravemente scorretti tenuti anche nei confronti di altri magistrati, dev’essere interpretato nel senso che tali comportamenti non debbono costituire necessariamente il frutto del concreto esercizio della giurisdizione, ma possono investire anche i rapporti che si instaurano con altri magistrati in ragione della funzione che l’incolpato svolge in quanto tale (cfr. Cass., Sez. Un., 15/01/2020, n. 741; 21/03/2013, n. 7042).

Nel caso in esame, peraltro, è lo stesso oggetto delle esternazioni ascritte all’incolpato a deporre in favore dell’attinenza delle stesse all’esercizio della funzione giurisdizionale, trattandosi di critiche mosse all’operato del Presidente del Tribunale, dei componenti del Collegio e dei magistrati della Pro­cura della Repubblica, in relazione alla condotta da loro tenuta e ai provvedimenti adottati nell’ambito dei procedimenti trattati dal ricorrente o di altri procedimenti svoltisi dinanzi al medesimo Ufficio.

La natura offensiva e denigratoria degli apprezzamenti contenuti nelle predette esternazioni, il tono alterato con cui sono state pronunciate e l’impiego di espressioni volgari e scur­rili, in quanto sintomatici di una mancanza di autocontrollo e di rispetto per le persone e la funzione degli interlocutori, devono poi ritenersi sufficienti a giustificare l’affermazione della scorrettezza del comportamento tenuto dallo incolpato, indipendentemente dalla facoltà di replica ovviamente spettante ai destinatari delle critiche, il cui esercizio avrebbe peraltro contribuito ad ac­crescere il clima di tensione all’interno dell’Ufficio, dagli errori eventualmente addebitabili ai colleghi, che non spettava certo al ricorrente stigmatizzare pubblicamente, dall’atteggiamento provocatorio del P.M. e dall’atmosfera concitata in cui si era svolta l’udienza, che non dispensavano comunque il ricorrente dall’uso di modalità espressive appropriate.

In proposito, infatti, non può che ribadirsi il principio già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’adempimento del dovere di correttezza gravante sul magistrato postula l’osservanza delle regole di educazione, lealtà, onestà intellettuale e pratica, convenienza sociale, cioè di quelle regole di civile comportamento che devono connotare i rapporti sociali, il cui rispetto è volto a pre­servare anzitutto le relazioni interpersonali nel rispetto della diversità dei ruoli, e con esse il buon andamento dell’ufficio giudiziario e la sua stessa unitarietà funzionale, costituendo un dato di comune esperienza quello per cui il corretto svolgimento delle predette relazioni si riverbera in modo virtuoso sul profilo oggettivo del servizio (cfr; Cass., Sez. Un., 30/12/2020, n. 29823, cit.).

Quanto poi agli apprezzamenti contenuti nell’ordinanza del 3 novembre 2020, è appena il caso di richiamare il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inserimento ih provvedimenti giurisdizionali di valutazioni e giudizi personali sull’operato di altri colleghi costituisce comportamento gravemente scorretto, tanto più se i predetti apprez­zamenti risultino oggettivamente denigratori nei foro confronti (cfr. Cass., Sez. Un., 6/07/2021, n, 19028).

E’ stato infatti osservato che i provvedimenti giurisdizionali, pur costituendo la manifestazione più elevata e nobile di esercizio del potere giurisdizionale, che la Costituzione ha voluto soggetto soltanto alla legge (art. 101, secondo comma), non possono mai tradursi in uno stru­mento per inserire indebite valutazioni o denigrazioni sull’operato dei colleghi che non siano strettamente funzionali alla motivazione dei provvedimenti stessi (cfr. Cass., Sez. Un., 27/07/2007, n. 16625), dal momento che l’esercizio della giurisdizione non può risolversi in una sorta di «schermo» protet­tivo dietro il quale inserire considerazioni non necessarie o comunque inop­portune, tanto più se queste contengono, come si è detto, giudizi oggettivamente denigratori (Cfr. Cass., Sez. Un., 18/11/2019, n. 29833).

6. E’ parimenti infondato il terzo motivo, avente ad oggetto l’utilizzabilità dei messaggi whatsapp acquisiti dalla Sezione disciplinare.

A sostegno di tale utilizzabilità, è stato infatti richiamato il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza penale di legittimità, secondo cui i mes­saggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod, proc. pen., e come tali possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen. (cfr. Cass. pen., Sez. Vl, 16/03/2022, n. 22417; 12/11/2019, n. 1822; Cass. pen.,Sez. Il, 11/02/2021, n. 15579).

Nessun rilievo può assumere, in contrario, la mancata acquisizione del supporto materiale su cui i messaggi erano memorizzati, dovendo ritenersi sufficiente, ai fini della verifica della loro provenienza, l’attestazione della conformità all’originale, emergente dalla trasfusione degli stessi nelle relazioni del Procuratore della Repubblica e del Presidente del Tribunale, i quali peraltro, per quanto risulta, erano compresi anche tra i relativi destinatari, trattandosi di messaggi diffusi attraverso la chat cui partecipavano tutti i magistrati dell’Ufficio (cfr. Cass. pen, Sez. l, 20/ 02/2019, n. 21731).

7. Non merita infine accoglimento il quarto motivo d’impugnazione, con cui il ricorrente censura il mancato riconoscimento della scarsa rilevanza del fatto, ai sensi dell’art. 3-bis, del d.lgs. n. 109 del 2006.

Nell’escludere l’applicabilità della predetta esimente, la sentenza impugnata ha richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accertamento della condotta disciplinarmente irrilevante (da identificarsi in quella che, riguardata ex post ed in concreto, non comprometta l’immagine del magistrato), dovendo compiersi senza sovvertire il principio dì tipizzazione degli illeciti disciplinari, postula, nell’ipotesi in cui il bene giuridico individuato specificamente dal legislatore in rapporto al singolo illecito disciplinare non coincida con quello protetto dall’art. 3-bis cit., una duplice valutazione, avente ad oggetto in primo luogo la consistenza della lesione arrecata al bene giuridico specifico, ed in secondo luogo, solo se l’offesa non sia apprezzabile iri termini di gravità, l’idoneità di quello stesso fatto, che integra l’illecito tipizzato, a determinare un’effettiva lesione dell’immagine pubblica del magistrato, risultando applicabile la detta esimente in caso di esito nega­tivo di entrambe le verifiche (cfr. Cass., Sez. Un., 30/12/2020, n. 29823; 27/11/2019, n. 31058).

In applicazione di tale principio, la Sezione disciplinare ha correttamente conferito rilievo primario al pregiudizio arrecato al buon andamento ed all’unitarietà funzionale dell’Ufficio giudiziario, che costituisce il bene giuridico specificamente tutelato dall’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, evidenziando la gravità e la reiterazione delle condotte scorrette addebitate all’incolpato e lo sconcerto dalle stesse provocato nei colleghi, nonché lo stato di tensione che ne era scaturito nei rapporti con questi ultimi, e l’impossibilità di dialogo e collaborazione conseguentemente determinatasi tra i componenti dell’Ufficio giudiziario.

La portata assorbente di tale rilievo, idoneo a legittimare di per sé solo uri giudizio di gravità del fatto, e quindi ad esaurire l’ambito della Valutazione prescritta ai fini dell’operatività dell’esi­mente, non ha peraltro impedito al Giudice disciplinare di dare atto degli ef­fetti negativi che le medesime condotte avevano inevitabilmente prodotto sull’immagine dello stesso incolpato, osservando che, al di là della delegittimazione dell’operato dei colleghi, i diversi episodi contestati risultavano sin,­ tomatici di un profilo professionale incline ad atteggiamenti privi di autocon­trollo ed equilibrio, tale da determinare una lesione del prestigio di cui egli doveva godere nell’ambiente in cui lavorava.

Non può quindi condividersi la censura di astrattezza mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata; la quale, nell’escludere la scarsa rilevanza del fatto, ha preso in esame entrambi i profili della vicenda, non soffermandosi sulla lesione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie tipica contemplata dalla norma disciplinare, ma estendendo la propria valutazione anche al pregiudizio arrecato all’immagine del magistrato, che costituisce oggetto della tutela apprestata dall’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006.

8. Il ricorso va pertanto rigettato; senza che occorra provvedere al rego­lamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione del Ministero della giustizia.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 21/02/2023.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.