REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
DANILO SESTINI Presidente
CHIARA GRAZIOSI Consigliere
MARCO DELL’UTRI Consigliere
STEFANIA TASSONE Consigliere-Rel.
GIUSEPPE CRICENTI Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22439/2020 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) in proprio ed in qualità di legale rappresentante pro tempore di (omissis) (omissis), rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliati in (omissis), presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis);
–ricorrenti–
contro
(omissis) (omissis) rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. prof. (omissis) (omissis) e dall’avv. (omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis) presso il cui studio è elettivamente domiciliato;
–controricorrente–
nonché contro
ASSICURATORI DEI (omissis) (omissis), rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) e dall’avv. (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in (omissis);
–controricorrente–
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1266/2020, depositata il 14/05/2020 e notificata il 19705/2020
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/07/2023 dal Consigliere, dott.ssa Stefania Tassone.
Fatti di causa
1. (omissis) (omissis), anche nella sua qualità di legale rappresentante pro tempore della società (omissis) s.r.l., propongono ricorso in cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1266/2020, depositata il 14 maggio 2020 e notificata in data 19 maggio 2020, che ha rigettato l’appello da loro proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 12 aprile 2011.
La corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, che ha rigettato la domanda dei coniugi (omissis) (omissis) di accertamento della responsabilità professionale del notaio (omissis) prospettata come consistente nella tardiva annotazione nei registri dello stato civile dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, nel quale i medesimi avevano destinato il diritto di usufrutto di cui erano titolari, ciascuno nella misura del 50%, del vasto complesso immobiliare denominato (omissis) (omissis), e di condannarlo al risarcimento dei danni pari al valore del diritto di usufrutto perduto in tutto o in parte per effetto dell’esercizio delle azioni esecutive da parte degli istituti bancari (omissis) nei confronti dei quali il (omissis) proprio nel 2003, e pochi giorni prima che il notaio provvedesse alla tardiva annotazione, aveva assunto ingenti debiti.
2. La corte, come già il giudice di primo grado, ha ritenuto infondata la prospettazione dei coniugi (omissis) (omissis) secondo cui la tardiva annotazione dell’atto di costituzione del fondo, avvenuta solo in data 1 ottobre 2003, dunque quattro anni dopo la costituzione del fondo in data 20 aprile 1999, li aveva esposti alle azioni revocatorie, esperite dal 2005 al 2007 dagli istituti di credito, che avevano imputato la costituzione del fondo patrimoniale all’intento del (omissis) di mettere al riparo il proprio patrimonio; per contro l’immediata annotazione dell’atto nei registri di stato civile da parte del notaio, decorrendo il termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria da tale incombente e non dalla stipulazione della convenzione matrimoniale, avrebbe precluso alle banche la possibilità di sperimentare vittoriosamente le azioni revocatorie in quanto già prescritte.
3. (omissis) (omissis) in proprio e anche nella qualità di legale rappresentante di (omissis) s.r.l., e (omissis) (omissis) propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resistono con distinti controricorsi il notaio (omissis) di (omissis) sua compagnia assicurativa, chiamata in causa in garanzia nei precedenti gradi di merito.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
I (omissis) (omissis) hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono <<violazione degli 100, 112 e 132 nonché dell’art. 568 cod. proc. civ. nel capo della sentenza in cui la Corte di Appello di Bologna ha affermato l’insussistenza del nesso causale tra errore e danno>>.
Lamentano in sintesi che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto che non fosse possibile l’emanazione di una sentenza, anche condizionata, di condanna perché sarebbe inesistente un danno concreto ed attuale; siffatta motivazione non tiene invece conto del fatto che nell’ambito della procedura esecutiva per espropriazione immobiliare il valore dell’usufrutto è stato determinato dal giudice dell’esecuzione sulla base di apposita perizia redatta dal consulente d’ufficio ai sensi dell’art. 568 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo perché non tiene conto della motivazione della Corte d’Appello di Bologna, congrua e scevra da vizi logico-giuridici, secondo cui, anzitutto, il fatto che il giudice di primo grado avrebbe dovuto adottare una sentenza di condanna condizionata <<è fortemente contrastato dalle parti appellate, che, sulla base di numerosi rilievi, assumono che gli attori non abbiano proposto in primo grado una domanda di condanna condizionata>> (v. p. 4 della sentenza impugnata).
In secondo luogo perché pretende di ricavare l’accertamento e la quantificazione del danno da una perizia di stima, resa in un procedimento inter alios e che non risulta essere stata oggetto del presente giudizio di responsabilità professionale del notaio (omissis) come precisamente motivato dalla corte territoriale nei seguenti termini: <<l’accertamento dell’esistenza del danno come prospettato dagli attori, dunque, richiede, oltre che attendere l’esito definitivo dei procedimenti di cognizione e quelli esecutivi promossi dalle banche, eventi futuri ed incerti, anche l’ulteriore accertamento del valore originario del diritto di usufrutto, da compiersi necessariamente in un nuovo giudizio di cognizione, dato che esso implica la necessità di definire parametri e criteri (dagli attori nemmeno allegati) di stima del valore di detto diritto reale, suscettibile di variazione nel tempo, che comprendono anche l’individuazione dell’epoca a cui fare riferimento, dovendosi stabilire, ad esempio, se esso debba essere espresso in base ai prezzi correnti nel 1999, epoca della convenzione matrimoniale, o all’epoca dell’annotazione avvenuta nel 2003 o a quella in cui furono intentate le azioni recuperatorie o, in ipotesi, ad una data ancora diversa>> (v. pp. 4-5 della sentenza impugnata).
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono <<violazione degli 1218, 2043 e 2901 cod. civ. nel capo della sentenza in cui la Corte d’appello di Bologna ha affermato l’insussistenza del nesso causale tra errore e danno>>.
Lamentano che la pronuncia impugnata si pone in palese violazione delle norme e dei principi in tema di nesso causale, posto che la verifica della sussistenza del collegamento eziologico tra errore e danno deve essere effettuata in relazione all’evento pregiudizievole, come in concreto verificatosi, e non ad ipotesi di mera astrazione; ed ancora aggiungono: <<la data di scadenza dei debiti e la data di proposizione delle azioni revocatorie rappresentano dati fattuali incontestati ed incontestabili in causa che devono assumersi come punto di riferimento per la verifica del nesso causale ovvero per la risposta al quesito controfattuale: e quale sarebbe stata la sorte di tali azioni nel caso in cui l’atto fosse stato tempestivamente annotato ? la risposta è certa: le azioni sarebbero risultate prescritte>> (v. p. 26 del ricorso).
Sottolineano poi che l’affermazione dei giudici di appello <<è altresì errata perché omette di considerare un dato fattuale, esso pure incontestato in causa, ovvero che la data di annotazione del fondo patrimoniale nel registro dello Stato civile, sia nell’ambito del giudizio promosso da (omissis) che da (omissis), è stata presa come punto di riferimento non soltanto per la verifica del termine di prescrizione, ma anche per la verifica dell’elemento del consilium fraudis.
In altri termini, proprio in ragione della tardiva annotazione, l’atto è stato ritenuto successivo al sorgere del credito, così da richiedere ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. la prova non già della dolosa preordinazione in danno dei creditori, ma della semplice consapevolezza del pregiudizio loro arrecato.
E’ altrettanto pacifico che se il termine di riferimento fosse stato l’anno 1999, mai si sarebbe pervenuti a ritenere integrato l’elemento del consilium fraudis, stante la condizione di assoluta solidità patrimoniale finanziaria tanto dei coniugi (omissis) quanto delle società dai medesimi partecipate>> (v. p. 27 del ricorso).
2.1. Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la disposizione dell’art. 2903 cod. civ., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 cod. civ., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Cass., 24/03/2016, n. 5889; Cass., 09/02/2023, n. 4049).
Il contenuto del motivo si fonda invece sul diverso, erroneo, presupposto per cui il termine di prescrizione decorrerebbe dalla data di scadenza dei crediti, senza affatto considerare i suindicati principi di diritto.
Chiarita pertanto la corretta individuazione del dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, ne consegue che, anche ove la annotazione fosse stata effettuata contestualmente alla nascita del fondo, le banche avrebbero potuto comunque esperire utilmente l’azione revocatoria.
2.2. Il motivo è poi ulteriormente infondato perché, come già ritenuto in relazione al primo motivo, non tiene conto della autonoma ed articolata motivazione della Corte d’Appello di Bologna, secondo cui anzitutto l’assunto che il giudice di primo grado avrebbe dovuto adottare una sentenza di condanna condizionata <<è fortemente contrastato dalle parti appellate, che, sulla base di numerosi rilievi, assumono che gli attori non abbiano proposto in primo grado una condanna condizionata>> (p. 4) e poi, in linea più generale, che <<Né un danno di natura economica può essere identificato, a prescindere dalla verifica della sussistenza del nesso causale con la condotta del notaio, con la sola proposizione delle azioni recuperatorie e nemmeno con la sola revoca giudiziale del fondo patrimoniale o con l’accertamento della natura simulata dell’intestazione della nuda proprietà in capo alla società appellante, perché tali azioni e statuizioni non comportano un’attuale ed effettiva perdita incidente sul patrimonio degli attori, ossia un’indebita attribuzione patrimoniale”>> (v. p. 5).
2.3. Infine, in disparte il fatto che sostanzialmente sollecita una rimeditazione in ordine alle conseguenze derivanti dal comportamento del professionista e dunque una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità (Cass., 10/04/2019, n. 9985), la censura secondo cui la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha negato rilievo alla tardiva annotazione del fondo patrimoniale rispetto all’accertamento del consilium fraudis è infondata, perché non tiene conto che la corte territoriale ha espressamente argomentato in ordine all’intento distrattivo imputato al (omissis) tenendolo invero dimostrato <<da tutta una serie di atti successivi alla costituzione del fondo>>, per cui l’azione revocatoria, in particolare quella esperita dal creditore (omissis) <si fonda su molteplici presupposti di fatto e di diritto esclusivamente ascrivibili alla sfera degli appellanti [ed odierni ricorrenti: n.d.r.], che dunque recidono il nesso causale in esame>> (v. p. 21 sentenza impugnata).
3. In conclusione il ricorso è infondato.
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido a pagare al controricorrente (omissis)e spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna i ricorrenti in solido a pagare al controricorrente (omissis) e spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 12 luglio 2023.
IL PRESIDENTE
Dott. Danilo Sestini
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2023.