REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta da
Dott. Oronzo De Masi Presidente
Dott. Giacomo Maria Stalla Consigliere
Dott. Liberato Paolitto Consigliere Rel.
Dott. Ugo Candia Consigliere
Dott. Milena D’Oriano Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20690/2019 R.G. proposto da
Comune di (omissis) in persona del (omissis);
– ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) con domicilio eletto in (omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 541/1/18, depositata il 27 dicembre 2018, della Commissione tributaria regionale dell’Umbria;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 5 aprile 2023, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Anna Maria Soldi, che ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza 541/1/18, depositata il 27 dicembre 2018, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha accolto l’appello proposto da (omissis) (omissis) così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva disatteso l’impugnazione di cinque avvisi di accertamento emessi dal Comune di (omissis) per il recupero a tassazione dell’ICI e dell’IMU dovute dal contribuente in relazione al possesso di aree di terreno edificabile, e per i periodi di imposta 2010 e 2011 (ICI) nonché dal 2012 al 2014 (IMU).
1.1. – A fondamento del decisum, il giudice del gravame ha considerato che:
– le aree sottoposte a tassazione non potevano considerarsi edificabili, in relazione ai periodi di imposta in contestazione, in quanto il Piano Regolatore Generale adottato dal Comune era stato annullato, in sede giurisdizionale, dalle pronunce rese dal TAR (nel 2012) e dal Consiglio di Stato (nel 2014) oltrechè dalla Corte di Cassazione;
– dette pronunce, cui andava riconosciuta «efficacia immediata», avevano ingenerato il legittimo affidamento dei contribuenti in ordine alla «inesistenza» dello strumento urbanistico generale, avuto riguardo, per di più, al generale principio di irretroattività delle disposizioni tributarie;
– le stesse sanzioni amministrative non potevano ritenersi applicabili in un siffatto contesto di obiettiva incertezza normativa;
non era, pertanto, condivisibile la conclusione cui era pervenuto il giudice di prime cure in punto di efficacia retroattiva della deliberazione (n. 10 del 10 aprile 2014) adottata dal Consiglio comunale di (omissis) ai sensi della legge reg. Umbria 4 aprile 2014, n. 5.
2. – Il Comune di (omissis) ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, ed ha depositato memorie.
(omissis) (omissis) resiste con controricorso.
Fissato all’udienza pubblica del 5 aprile 2023, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. n. 198 del 2022, art. 8, comma 8, conv. in l. n. 14 del 2023, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla ordinanza cautelare emessa dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 2014, n. 1519) con la quale in relazione al ricorso per cassazione proposto dallo stesso odierno ricorrente – erano stati sospesi gli effetti della sentenza emessa dallo stesso giudice amministrativo (Consiglio di Stato, IV, 19 febbraio 2014, n. 760) che aveva rigettato l’appello avverso la pronuncia di prime cure recante annullamento delle delibere di adozione e di approvazione del P.R.G., parte strutturale e parte operativa, del Comune di (omissis) TAR Perugia, sez. I, 14 dicembre 2012, n. 521).
Si assume, in sintesi, che la gravata sentenza aveva tenuto in non cale ciò che, per vero, aveva formato oggetto di specifico accertamento della decisione di prime cure – che, per l’appunto, aveva rilevato che la deliberazione a sanatoria del Consiglio Comunale di (omissis) 10 del 10 aprile 2014), ai sensi della legge reg. Umbria 4 aprile 2014, n. 5, era stata adottata «nel periodo di sospensione dell’efficacia della sentenza del Consiglio di Stato n. 760 del 19/02/2014» – così che non si giustificava il rilievo secondo il quale all’annullamento giurisdizionale del Piano regolatore generale doveva attribuirsi «efficacia immediata», in quanto detta sanatoria aveva prodotto i suoi effetti quando ancora l’annullamento del Piano Regolatore generale non era passato in giudicato, una volta sospesi gli effetti della pronuncia di appello (n. 760 del 2014, cit.) e definito il ricorso per cassazione con pronuncia resa nel maggio 2015 (Cass. Sez. U., 27 maggio 2015, n. 10877).
Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla legge reg. Umbria 4 aprile 2014, n. 5, art. 22, ed all’art. 12 delle disp. prel. cod. civ.
Deduce, in sintesi, il ricorrente che illegittimamente il giudice del gravame aveva escluso efficacia sanante (e retroattiva) alla deliberazione (n. 10 del 10 aprile 2014) adottata dal Consiglio comunale di (omissis) ai sensi della legge reg. Umbria 4 aprile 2014, n. 5 in quanto – lo ius superveniens dettato dall’esigenza di chiarire le competenze in tema di rilascio del parere sismico, in un contesto di disposizioni antinomiche che si erano succedute nel tempo – detta deliberazione era stata adottata – ed il procedimento di convalida (delineato dalla l. n. 5/2014, art. 22, cit.) si era perfezionato – quando (ancora) alcun annullamento giurisdizionale del PRG avrebbe potuto ritenersi passato in giudicato, ed avuto riguardo alla ridetta sospensione degli effetti della pronuncia resa dal Consiglio di Stato (n. 760 del 2014, cit.).
Col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo, in breve cpa), artt. 33, comma 2, e 98, al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1, comma 2, ed all’art. 53 Cost., deducendo, in sintesi, che – avuto riguardo (anche) alla natura periodica del tributo e, dunque, al rilievo, astretto a ciascun periodo di imposta, di eventuali variazioni della sua base imponibile (qui in relazione al valore venale di aree edificabili) – per gli anni di imposta 2010 e 2011 alcun affidamento avrebbero potuto maturare i contribuenti in ordine alla invalidità del Piano Regolatore Generale, e atteso che detto piano aveva ad ogni modo conservato i suoi effetti – dalla data della sua approvazione (2008) e sino alla ridetta delibera adottata a convalida (nel 2014) – pur dopo la pronuncia di prime cure (Tar Perugia, n. 521/2012, cit.) i cui effetti erano stati sospesi dal giudice del gravame (decreto n. 5016 del 2012 ed ordinanza n. 192 del 2013) che, come detto, pur aveva sospeso gli effetti della pronuncia di rigetto dell’appello (ordinanza n. 1519/2014, cit.).
2. – Il terzo motivo di ricorso – dal cui esame consegue l’assorbimento dei residui motivi – è fondato, e va accolto.
3. – Occorre premettere che, secondo un consolidato, e risalente, orientamento interpretativo, la Corte, nell’esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti, può ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso e, così, accoglierla, per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, purchè la riqualificazione operata sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (v., ex plurimis, , 5 ottobre 2021, n. 26991; Cass., 13 ottobre 2020, n. 22037; Cass., 28 luglio 2017, n. 18775; Cass., 14 febbraio 2014, n. 3437; Cass., 22 marzo 2007, n. 6935; Cass., 29 settembre 2005, n. 19132).
E i fatti che (qui) rilevano, vanno riassunti nei seguenti termini.
3.1. – Le pronunce di annullamento del Piano Regolatore Generale (TAR Perugia, I, 14 dicembre 2012, n. 521; Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 760) hanno prodotto effetti caducanti sulle relative delibere di adozione e di approvazione; e, in particolare, l’annullamento degli atti è conseguito dal rilievo secondo il quale lo strumento urbanistico era stato adottato «con delibera consiliare n. 107 del 25 giugno 2003, senza previa acquisizione del parere di compatibilità sismica, in violazione di quanto prescritto dall’allora vigente art. 13 della legge 2 febbraio 1974, n. 64», così che, a detti fini, non poteva ritenersi equivalente uno studio sullo sviluppo del territorio in funzione dell’eventuale rischio sismico che era stato inserito nella parte strutturale del piano (così TAR Perugia, sez. I, 14 dicembre 2012, n. 521).
Il Consiglio di Stato ha, quindi, rimarcato che – in relazione alla disciplina posta dalla l. 2 febbraio 1974, n. 64, art. 13, e dalla successiva l. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 20 (che aveva rimesso alla competenza regionale l’adozione di «norme per l’adeguamento degli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti, nonché sui criteri per la formazione degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico.») – nella fattispecie – risultando lo strumento urbanistico adottato con delibera n. 107 del 25 giugno 2003 doveva trovare applicazione la disposizione di cui alla legge Umbria 14 maggio 1982, n. 25, art. 5 (circa la competenza della commissione regionale tecnico amministrativa in ordine alla formulazione del parere di cui all’art. 13, cit.), in quanto (solo) con la reg. Umbria 22 febbraio 2005, n. 11, art. 17, comma 2, la competenza in questione (da correlare alla disposizione di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 89) era stata attribuita ai Comuni («in sede di adozione del PRG, parte operativa, tenuto conto degli elaborati del PRG relativi alle indagini geologiche, idrogeologiche, idrauliche, nonché agli studi di microzonazione sismica effettuati nei casi e con le modalità previste dalle normative vigenti.»); ed ha, altresì, rilevato che nella fattispecie non si verteva «in ipotesi di vizio di pura forma riferito ad attività vincolata, essendo mancata l’essenziale verifica delle previsioni dello strumento urbanistico sotto il profilo della compatibilità sismica» (Consiglio di Stato, sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 760, cit.).
3.1.1. – La legge Umbria, 4 aprile 2014, n. 5, all’art. 22 (Norma in materia di Piani regolatori generali) ha quindi disposto nei seguenti termini:
– «1. L’articolo 10, comma 2 della legge regionale 21 ottobre 1997, 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione della L.R. 2 settembre 1974, n. 53, della L.R. 18 aprile 1989, n. 26, della L.R. 17 aprile 1991, n. 6 e della L.R. 10 aprile 1995, 28) si interpreta nel senso che l’approvazione da parte del Consiglio comunale del Piano regolatore generale – PRG ricomprende anche il positivo rilascio del parere sugli strumenti urbanistici di compatibilità sismica.
2. I comuni che hanno avviato l’iter di formazione del PRG prima della entrata in vigore della legge regionale 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale) possono esprimere in via retroattiva la valutazione di compatibilità sismica dello strumento urbanistico entro e non oltre il 31 dicembre 2014. A tal fine il Consiglio comunale, relativamente al PRG ed alle varianti successive, previo parere della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio ai sensi dell’articolo 4, comma 4, lettera c) della legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1 (Norme per l’attività edilizia), sulla base degli elaborati, contenuti nel PRG approvato, relativi alle indagini geologiche, idrogeologiche e degli studi di microzonazione sismica, formula espressamente e motivatamente la propria valutazione di compatibilità e conformità. L’espressione di tale giudizio conferma in via retroattiva la validità del PRG e di tutte le sue varianti successive.».
Come reso esplicito dal relativo contenuto, dette disposizioni per un verso hanno inteso attribuire uno specifico significato – in termini di espressione del parere positivo di compatibilità sismica qual correlato all’approvazione, da parte del Consiglio comunale, del Piano regolatore generale – in relazione al previgente dettato della legge reg. Umbria 21 ottobre 1997, n. 31, art. 10, comma 2 (alla cui stregua «I pareri, i visti e le autorizzazioni previsti dalla vigente legislazione per gli strumenti urbanistici generali sono espressi dal Consiglio comunale con la deliberazione di approvazione …» del P.R.G., parte strutturale) e, per il restante, hanno sottoposto l’efficacia di una siffatta adottata interpretazione ad uno specifico (ulteriore) incombente individuato nella riedizione del parere di compatibilità sismica (entro il termine del 31 dicembre 2014) dietro acquisizione di un parere della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio «ai sensi dell’articolo 4, comma 4, lettera c) della legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1»; Commissione, questa, che a sua volta è integrata, nella sua composizione, da un geologo [«ai fini del parere di cui all’articolo 37, comma 3 della l.r. 11/2005, e dei pareri in materia idraulica e idrogeologica»; art. 4, comma 4, lett. c), cit.] in quanto la richiamata legge reg. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 11, art. 37, comma 3, ha conferito ai comuni «le funzioni per l’emissione del parere di cui all’articolo 89 del d.p.r. 380/2001, nonché in materia idraulica ed idrogeologica, in merito alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali. I relativi pareri sono espressi con le modalità previste dalla presente legge e dall’articolo 4, comma 4, lettera c) della l.r. 1/2004.».
3.1.2. – Il sistema di sanatoria delineato dall’art. 22, , poggia su di una valutazione di compatibilità sismica operata dallo stesso Consiglio comunale – che, a tal fine, deve acquisire il parere della citata Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio – in attuazione del sopra ricordato conferimento ai Comuni delle funzioni per l’emissione del parere di cui all’articolo 89 del d.P.R. n. 380/2001 (legge reg. Umbria, n. 11 del 2005, art. 37, comma 3, cit.).
Il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 89, a sua volta, dispone nei seguenti termini:
«1. Tutti i comuni nei quali sono applicabili le norme di cui alla presente sezione e quelli di cui all’articolo 61, devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio.
2. Il competente ufficio tecnico regionale deve pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell’amministrazione comunale.
3. In caso di mancato riscontro entro il termine di cui al comma 2 il parere deve intendersi reso in senso».
Il Giudice del Leggi ha, quindi, in più occasioni rimarcato che l’art. 89, cit. – che «ha fatto venire meno – anche in mancanza di formale abrogazione – le possibilità di deroga di cui all’art. 20 della legge n. 741 del 1981 (sentenza n. 64 del 2013; nello stesso senso, sentenza 182 del 2006).» (così Corte Cost., 5 aprile 2018, n. 68), – «ha come suo oggetto gli strumenti urbanistici e le costruzioni nelle zone ad alto rischio sismico e come sua ratio la tutela dell’interesse generale alla sicurezza delle persone.
Esso, pertanto, trascende l’ambito della materia del «governo del territorio» o altro ambito di competenza riservato al legislatore regionale, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica e della «protezione civile», come più volte affermato, in relazione a norme ritenute di principio dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, le richiamate sentenze n. 300, n. 101 e n. 64 del 2013, n. 201 del 2012, n. 254 del 2010), anche in specifico riferimento a funzioni ascritte agli uffici tecnici della Regione analoghe a quella in esame (sentenze n. 64 del 2013 e n. 182 del 2006)» (Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 167).
La norma, pertanto, «riveste una posizione «fondante» di un determinato settore dell’ordinamento (ex plurimis, sentenze n. 282 del 2009, n. 364 del 2006, n. 336 del 2005), attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali.» e si impone al legislatore regionale (v., ex plurimis, Corte Cost., 22 dicembre 2022, n. 264; Corte Cost., 5 aprile 2018, n. 68, cit.; Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 167, cit.).
E la Corte Costituzionale ha, pertanto, già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 117, comma 3, Cost., di diverse disposizioni legislative adottate dalla Regione Umbria e recanti conferimento ai Comuni del parere di compatibilità sismica (v. Corte Cost., 22 dicembre 2022, n. 264, cit., con riferimento alla legge reg. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 11, art. 24, comma 9, nel testo vigente ratione temporis; v., altresì, Corte Cost., 5 aprile 2018, n. 68, cit., in relazione alla legge reg. Umbria, 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, sempre nei testi vigenti ratione temporis); parere, questo, ad ogni modo riconducibile alla Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio di cui alla previgente legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1, art. 4, di poi alla legge reg. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 11, art. 112.
3.1.3. – Va, da ultimo, rilevato che la Corte ha già avuto modo di occuparsi dei nessi che intercorrono tra le delibere di adozione, e di approvazione, dello strumento urbanistico generale – e delle relative implicazioni in punto di qualificazione, a fini fiscali, di aree agricole – rilevando che laddove l’effetto caducatorio abbia riguardato la sola delibera di approvazione, «la qualificazione edificatoria delle aree ex agricole sussiste sin dal momento dell’inserimento delle stesse nelle previsioni del piano regolatore generale del Comune, senza necessità di perfezionamento dello strumento urbanistico» (Cass., 18 dicembre 2019, 33576).
4. – Premesso quindi che, tanto dalla gravata sentenza quanto dal controricorso, può desumersi che il motivo di appello proposto dal contribuente avverso la decisione di prime cure, a lui sfavorevole, involgeva la sola questione dell’annullamento giurisdizionale della delibera di adozione del Piano Regolatore Generale (rispetto al quale veniva posta anche una questione di costituzionalità dello jus superveniens), la fattispecie, tra le parti controversa, è, dunque, suscettibile di riqualificazione alla luce del principio, già elaborato dalla Corte, della irrilevanza, a fini fiscali, dell’annullamento di delibere di adozione dello strumento urbanistico generale; principio di diritto, questo, enunciato dalla Corte sul presupposto che, ciò non di meno, residuerebbe un’edificabilità di fatto delle aree ex agricole.
Si è così statuito che l’annullamento della delibera di adozione ed approvazione del piano regolatore generale da parte del giudice amministrativo non ha diretta incidenza sulla qualificazione edificatoria delle aree ex agricole, e non giustifica il rimborso dell’imposta versata in eccedenza rispetto alla determinazione del valore imponibile di aree ricondotte “ope iudicis” alla originaria destinazione agricola, poiché ai fini fiscali rileva non solo l’edificabilità di diritto, derivante dal piano urbanistico, ma anche l’edificabilità di fatto, da individuarsi sulla base di indici quali la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio delle zone adiacenti, l’esistenza di servizi pubblici essenziali e l’esistenza di qualsiasi elemento obiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica (così Cass., 21 ottobre 2022, n. 31174; v. altresì, quanto al criterio della edificabilità di fatto, Cass., 29 ottobre 2021, n. 30732; Cass., 9 luglio 2019, n. 18368; Cass., 21 dicembre 2016, n. 26494; Cass., 16 novembre 2012, n. 20137; Cass., 19 aprile 2006, n. 9131).
4.1. – Le conclusioni in discorso finiscono, poi, per intercettare gli stessi rilievi svolti dalla Corte Costituzionale in tema di legittimità della disposizione di interpretazione autentica introdotta dal l. n. 223 del 2006, art. 36, c. 2, conv. in l. n. 248 del 2006, secondo il cui disposto
«Ai fini dell’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo».
La Corte costituzionale, difatti, ebbe a rilevare che «è del tutto ragionevole che il legislatore:
a) attribuisca alla nozione di “area edificabile” significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione del valore imponibile del suolo, e normativa urbanistica, per la quale invece rileva l’effettiva possibilità di edificare, secondo il corretto uso del territorio, indipendentemente dal valore venale del suolo;
b) muova dal presupposto fattuale che un’area in relazione alla quale non è ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che tuttavia è qualificata come “edificabile” da uno strumento urbanistico generale non approvato o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione;
c) conseguentemente distingua, ai fini della determinazione dell’imponibile dell’ICI, le aree qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati (e, quindi, in concreto non ancora edificabili), per le quali applica il criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della valutazione basata sulle rendite catastali; … infatti, la potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante» (così Corte Cost., 27 febbraio 2008, n. 41).
4.2. – Nel contesto dei criteri di determinazione della base imponibile del tributo (d.lgs. 30 dicembre 1992, 504, art. 5), anche le Sezioni Unite della Corte hanno rilevato che il solo «inizio della procedura di “trasformazione” urbanistica di un suolo, implica, di per sè, una “trasformazione” economica dello stesso, che non consente più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio del reddito dominicale», seppur «l’aspettativa di edificabilità di un suolo, non comporta, ai fini della valutazione fiscale, l’equiparazione sic et simpliciter alla edificabilità; comporta soltanto, l’assoggettamento ad un regime di valutazione differente da quello specifico dei terreni agricoli, oggi meno conveniente per il contribuente, ma non per questo iniquo».
Ed hanno, quindi, rimarcato che «Se c’è stato l’avvio della procedura per la formazione del PRG, la situazione in movimento non consente più di beneficiare del criterio statico della valutazione automatica . Diverse, infatti, sono le finalità della legislazione urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale. La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo jus edificandi non può essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus edificandi, fino al perfezionamento dello stesso.
Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere legittimamente differenti.
Infatti, non bisogna confondere lo jus edificandi con lo jus valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento.
Invece, si può valutare un suolo considerato “a vocazione edificatoria”, anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso.» (così Cass. Sez. U., 28 settembre 2006, n. 25506; v, ancora di recente, Cass. Sez. U., 29 ottobre 2020, n. 23902).
4.3. – Peraltro il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, lett. b), dispone che «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità» (v., con riferimento all’IMU, il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 2, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214), così che, se la citata disposizione di interpretazione autentica (d.l. n. 223 del 2006, art. 36, c. 2, cit.) ha inciso sulla lettura della norma in relazione all’adozione dello strumento urbanistico generale, ne ha (al contempo) lasciato immutato il riferimento ulteriore «alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità» (v., ora, il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37); e la giurisprudenza della Corte (v., ex plurimis, Cass., 17 febbraio 2021, n. 4228; Cass., 15 aprile 2019, n. 10502), nonchè dello stesso Giudice delle leggi (Corte Cost., 2 marzo 2004, n. 73), non dubitano del rilievo suppletivo che il criterio della cd. edificabilità di fatto (d.P.R. n. 327/2001, art. 37, comma 3, cit.) assume in mancanza di strumenti urbanistici idonei a ricondurre l’area espropriata tra quelle edificabili.
4.4. – In conclusione, l’annullamento giurisdizionale della delibera di adozione del Piano Regolatore Generale se ha determinato effetti automaticamente caducanti, e ciò non di meno, non ha inciso sulla valutazione fiscale delle aree in questione in termini di aree edificabili, e ciò in relazione tanto allo stesso avvio del procedimento di pianificazione urbanistica – che, così come rileva lo stesso giudice amministrativo, non preclude la riedizione del potere dietro valutazione «di tutti gli elaborati relativi allo studio geologico e alla microzonazione sismica» – quanto all’applicabilità, nella fattispecie, del criterio legato all’edificabilità di fatto che va desunta, come si è rilevato, da taluni fatti-indice obiettivi identificabili con la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l’esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati, e qualsiasi altro elemento obiettivo.
5. – L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti i residui motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 aprile 2023.
Il Presidente
dott. Oronzo De Masi
Il Consigliere estensore
dott. Liberato Paolitto
Depositato in Cancelleria l’11 agosto 2023.