CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta da:
Dott. Ettore Cirillo Presidente
Dott. Michele Cataldi Consigliere
Dott. Maria Luisa De Rosa Consigliere
Dott. Paolo Di Marzio Consigliere
Dott. Angelo Napolitano Consigliere Rel. est.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9972/2019 R.G. proposto da
(omissis) (omissis) domiciliato in (omissis)
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3965/2018 della C.T.R. della Lombardia – sede di Milano, depositata in data 25/9/2018;
udita la relazione della causa svolta dal dott. Angelo Napolitano nella camera di consiglio del 31 marzo 2023;
Fatto
Con istanza del 16/12/2015 successivamente depositata presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di (omissis) il sig. (omissis) (d’ora in poi, anche “il contribuente” o “l’odierno ricorrente”), premesso che questa Suprema Corte con la sentenza n. 24788/2015 del 4/12/2015 aveva stabilito la non assoggettabilità all’Irap dei suoi redditi relativi agli anni d’imposta dal 2000 al 2004 (la parte introduttiva del ricorso, dedicata allo svolgimento del processo, contiene un refuso nella parte in cui si riferisce al “2014 compreso”), chiese l’annullamento in autotutela (lo sgravio) delle cartelle notificate per i ruoli Irap nascenti dalle dichiarazioni afferenti i predetti anni d’imposta (si trattava delle cartelle n. (omissis) ).
A fondamento dell’istanza di sgravio, il contribuente pose la citata sentenza n. 24788/2015 che aveva escluso la ricorrenza dei presupposti per l’assoggettamento ad Irap delle risorse reddituali e giustificò i versamenti eseguiti nelle more con l’intenzione da parte sua di evitare di subire procedure di espropriazione.
In particolare, con la citata sentenza, questa Corte aveva rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che si opponeva al riconoscimento dell’esenzione Irap, che invece era stata accertata dal giudice di appello.
All’istanza di annullamento l’Ufficio rispose sei mesi dopo con il rigetto, motivato dalla natura riscossiva dei ruoli portati dalle cartelle, formati ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in seguito al controllo delle dichiarazioni annuali.
In altre parole, secondo l’Ufficio, non poteva disporsi lo sgravio in autotutela dei ruoli Irap in relazione agli anni dal 2000 al 2004 in quanto il presupposto dell’iscrizione era da rinvenirsi nelle dichiarazioni Irap e non in un atto impositivo dell’Agenzia.
Impugnato in prime cure il diniego di sgravio, la C.T.P. di Milano, pur dichiarando ammissibile il ricorso avverso un atto formalmente non ricompreso nel novero di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, lo rigettò nel merito, ritenendo che le cartelle fossero divenute “definitive” in epoca anteriore alla sentenza di questa Corte n. 24788 del 2015.
La C.T.R., su appello del contribuente, confermò la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza di appello il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato solo un atto di costituzione in vista dell’eventuale discussione orale.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c. e dell’art. 2 quater d.l. n. 564/94 in combinato disposto. Denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.”, il ricorrente censura lo snodo motivazionale della sentenza impugnata, in cui la C.T.R. ha affermato che la sentenza di questa Corte n. 24788 del 2015 non può spiegare efficacia caducante rispetto ad atti (cartelle di pagamento) divenuti inoppugnabili.
Secondo il ricorrente, la fattispecie decisa dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 7616/2018, invocata dal giudice di appello per giustificare il rigetto della pretesa del contribuente di ottenere lo sgravio dei ruoli Irap per gli anni dal 2000 al 2004, non è sovrapponibile a quella che viene in rilievo nell’odierno contenzioso.
Qui, il giudicato formatosi nel 2015 tra l’Agenzia delle Entrate e il contribuente, favorevole a quest’ultimo, avrebbe un automatico effetto caducante rispetto alle cartelle, benché non impugnate, emesse per la riscossione dell’Irap per gli anni dal 2000 al 2004, accertata come non dovuta proprio con il giudicato formatosi nel 2015.
Deduce il contribuente che, dopo il giudicato formatosi con la sentenza n. 24788/2015, l’Ufficio era tenuto per legge a sgravarlo dei ruoli Irap relativi agli anni dal 2000 al 2004.
1.1. Il motivo è fondato.
Occorre premettere che, nel caso che ci occupa, il contribuente fa valere, a sostegno, direttamente, della impugnazione rivolta contro la sentenza di appello e, indirettamente, della richiesta di sgravio dei ruoli Irap dai quali hanno avuto origine le cartelle di pagamento oggetto dell’istanza di autotutela respinta dall’Agenzia delle Entrate, il giudicato formatosi con la sentenza di questa Corte n. 24788/2015, che rigettò il ricorso del fisco contro la sentenza con la quale la C.T.R. della Lombardia aveva disposto a favore del (omissis) il rimborso, con gli accessori di legge, delle somme versate a titolo di Irap in relazione agli anni d’imposta dal 2000 al 2004.
Quest’ultima sentenza, nel disporre il rimborso delle somme che il contribuente aveva versato a titolo di Irap per le citate annualità, accertò che, in relazione ai periodi d’imposta che venivano in rilievo, di quell’imposta difettavano i presupposti oggettivi.
Orbene, nonostante che il creditore tributario sia un creditore “speciale”, in quanto abilitato ad emettere atti impositivi (avvisi di accertamento) e a crearsi unilateralmente i titoli esecutivi per la riscossione degli importi dovuti (cartelle di pagamento), non può esservi dubbio sul fatto che anche i rapporti d’imposta sono soggetti alla regola del giudicato in senso sostanziale: “l’accertamento contenuto ne//a sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, gli eredi o aventi causa” (art. 2909 c.c.; v. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25798 del 30/10/2017, Rv. 646416 – 01).
Né la forza conformativa del giudicato può trovare un limite nelle regole che presiedono alla contestabilità, in via giurisdizionale o amministrativa, degli atti tributari.
In altri termini, il potere che ha la pubblica amministrazione di formarsi unilateralmente gli atti impositivi o esattivi trova un limite nel caso in cui quello stesso rapporto soggettivo ed oggettivo sul quale quegli atti vadano ad incidere sia stato oggetto di un precedente o successivo giudicato.
Nel caso di giudicato precedente, l’atto impositivo o esattivo che si ponesse in contrasto con la regu/a iuris giudizialmente ed irretrattabilmente affermata sarebbe nullo (cfr., in ambito processuale amministrativo, gli artt. 114 c.p.a. e 21-septies, comma 1, della legge n. 241 del 1990); nel caso di giudicato successivo (come nella fattispecie che qui ci occupa, in cui le cartelle non impugnate dal contribuente sono antecedenti al giudicato del 2015), l’atto impositivo o esattivo in contrasto con quella regu/a iuris resterebbe definitivamente privato della sua efficacia; diventerebbe, in altre parole, inefficace.
Del resto, sarebbe irragionevole che, nonostante un giudicato che avesse disposto il rimborso dell’Irap versata in relazione a determinate annualità da un contribuente che per quei periodi non poteva essere assoggettato alla detta imposta, tale contribuente potesse essere costretto (con un processo esecutivo) a versare somme a titolo di Irap in relazione alle stesse annualità oggetto del giudicato, solo perché non avesse impugnato delle cartelle emesse sulla base di ruoli formati dall’amministrazione in epoca antecedente al giudicato.
Orbene, nella fattispecie che ci occupa, il contribuente, proprio in virtù del sopravvenuto giudicato a lui favorevole, aveva chiesto lo sgravio in autotutela dei ruoli che lo riguardano in relazione all’Irap pretesa per gli anni dal 2000 al 2004, insorgendo contro il successivo provvedimento di diniego emesso dall’amministrazione.
Tale provvedimento, sebbene non ricompreso nel novero degli atti impugnabili in base all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, è da considerarsi impugnabile in base al diritto vivente (cfr. Cass., sez. 5, n. 8719/2020).
Orbene, proprio in base al giudicato del 2015 che aveva disposto il rimborso dell’Irap pagata dal contribuente per gli anni dal 2000 al 2004, sulla base dell’accertamento che egli non poteva, per quegli anni, essere assoggettato alla detta imposta, l’amministrazione non ha alcun titolo per pretendere dall’odierno ricorrente ulteriori somme a titolo di Irap per le dette annualità, con la conseguenza che essa non avrebbe potuto fare altro che accogliere l’istanza di sgravio.
La sopravvivenza del carico di ruolo nei confronti del contribuente, infatti, con riferimento all’Irap pretesa dall’amministrazione con riferimento agli anni dal 2000 al 2004, non potrebbe avere alcun effetto tra le parti: il contribuente contro il quale si desse inizio ad una esecuzione forzata per il recupero di un credito erariale accertato come inesistente ben potrebbe vittoriosamente spiegare opposizione ex art. 615 c.p.c. deducendo la sopravvenuta caducazione, ad opera del giudicato, dei titoli esecutivi precedentemente formati (cfr. art. 57, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 602 del 1973, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 2018); e l’interesse attuale all’impugnazione del diniego di sgravio, senza attendere future azioni esecutive, emerge proprio dalla motivazione del provvedimento dell’amministrazione, riportata, per stralci, in ricorso, secondo la quale le cartelle non impugnate avrebbero ancora ad oggetto, nonostante il giudicato cui si è più volte fatto riferimento, una pretesa valida ed esigibile nei confronti del (omissis)
2. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti tre.
3. La sentenza deve essere cassata e, ai sensi dell’art. 384, comma 2 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con l’annullamento del diniego di sgravio impugnato in primo grado.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, mentre sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei giudizi di
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri tre, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, annulla il diniego di sgravio.
Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Condanna l’Agenzia delle Entrate a rimborsare al contribuente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro ottomila per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa, ed oltre ad euro duecento per esborsi.
Così deciso, in Roma, il 31 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2023.