Il cessionario del credito ceduto dal soggetto privato a titolo di rimborsi Asl non è modificabile per la successiva modifica in aumento del tariffario (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 10 agosto 2023, n. 24394).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

GIACOMO TRAVAGLINO       Presidente

ENRICO SCODITTI                  Consigliere

PASQUALE GIANNITI             Consigliere

STEFANIA TASSONE               Consigliere

GIUSEPPE CRICENTI               Consigliere – Rel.

ORDINANZA

sul ricorso 5802/2021 proposto da:

(omissis) (omissis) Spa in persona dei (omissis) (omissis) Srl in persona del Presidente del (omissis) ;

-ricorrente-

contro

Azienda Sanitaria (omissis) in persona del Direttore Generale, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis)

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 228/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2023 dal dott. CRICENTI GIUSEPPE;

Ritenuto che

1.-La (omissis) (omissis) (omissis) è proprietaria (omissis) (omissis) (omissis) tramite il quale ha effettuato  prestazioni sanitarie in convenzione, diventando così creditrice della ASL (omissis) (omissis) del relativo corrispettivo.

E’ tuttavia sorta controversia con la Asl circa la misura di quel corrispettivo, al punto che, il 30.11.1998, è stata stipulata una transazione dopo che (omissis) di aveva ottenuto alcuni decreti ingiuntivi, basati sui provvedimenti regionali che stabilivano una determinata tariffa di remunerazione di quelle prestazioni sanitarie.

2.-Successivamente la (omissis) (omissis) (omissis) ha ceduto il credito derivante da tale transazione alla (omissis) (omissis) che l’ha poi ceduto alla (omissis) (omissis) che, in corso di causa, l’ha poi ceduto alla  (omissis) pe, dalla quale, attraverso altra cessione alla (omissis) è pervenuto alla (omissis) spe.

2.1.- E’ però accaduto che, a seguito della impugnazione proposta da terzi soggetti, i provvedimenti regionali che fissavano tetti alla remunerazione delle cliniche private, e sulla cui base, come si è detto, era stata stipulata la transazione, sono stati annullati: ne è derivato quindi che quei limiti di remunerazione, presi a presupposto dalle parti nella transazione, sono venuti meno.

3.- La (omissis) (omissis) (omissis) a dunque ritenuto che le spettasse la diversa remunerazione derivante dall’annullamento dei limiti regionali, ossia dei tariffari regionali, nuova remunerazione non prevista in transazione, e dunque rivendicabile a parte. Ha dunque ottenuto un decreto ingiuntivo per un ulteriore corrispettivo, cui si è opposta la ASL.

3.1.- Nel frattempo, ceduto il credito a (omissis) (omissis) quest’ultima ha proposto una autonoma causa per ottenere gli interessi di mora in luogo di quelli richiesti con il decreto ingiuntivo.

Le due cause sono state poi riunite.

3.2. il Tribunale di Velletri ha accolto l’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo e dichiarato inammissibile la domanda subordinata sugli interessi.

3.3.- Invece la Corte di Appello ha accolto in parte la domanda principale, per gli anni dal 1997 in poi, e rigettato per il resto il gravame.

4.- Qui ricorrono dunque sia (omissis) (omissis) che (omissis) (omissis) srl, in ragione delle vicende di circolazione del credito di cui si è detto prima. La (omissis) si è costituita con controricorso ed ha chiesto il rigetto della impugnazione.

Memorie del ricorrente.

Considerato che

5.- Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 1965, 1966, 1362, 1364 c.c.

La tesi è la seguente.

La transazione è stata fatta in relazione ad un credito che risultava dal tariffario regionale. Quel tariffario successivamente è stato annullato, all’esito di una causa promossa da terzi, e, poiché quell’annullamento vale erga omnes, allora è venuto meno il titolo della transazione, o meglio: è sorto un nuovo diritto, da quell’annullamento, che è successivo alla transazione e non rientrante nel suo oggetto.

La transazione non può avere avuto ad oggetto un credito che è sorto dopo, per effetto dell’annullamento delle tariffe regionali. Altrimenti è come dire che la transazione ha avuto ad oggetto un diritto indisponibile, ossia che in quel momento non esisteva.

Il motivo è infondato.

La transazione, fatta nel 1998, ha avuto ad oggetto i crediti sino a quel momento maturati dalla (omissis) di cura, determinati e calcolati sulla base della tariffa regionale. La circostanza che quest’ultima, anni dopo, sia stata annullata, non ha determinato affatto un nuovo e diverso diritto, non incluso nella transazione e dunque autonomamente rivendicabile.

Secondo la ricorrente la sua domanda (introdotta, come si è detto, con il decreto ingiuntivo) avrebbe ad oggetto un diritto nuovo e diverso rispetto a quello transatto, in quanto sorto dall’annullamento delle tariffe regionali.

Invece, al contrario di quanto assume la ricorrente, il diritto è sempre quello oggetto di transazione, che successivamente è stato accertato in maniera diversa: la circostanza che si concluda una transazione sulla base della ritenuta fondatezza di un certo diritto che poi viene accertato come infondato o diversamente fondato (perché la tariffa regionale è annullata e dunque la ASL è obbligata ad una somma diversa e maggiore) non inficia la transazione.

E’ principio di diritto che: << poiché il presupposto della “res dubia” che caratterizza la transazione, è costituito non dall’incertezza obiettiva circa lo stato di fatto e diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali dei rispettivi diritti ed obblighi delle parti, nessuna incidenza sulla validità ed efficacia del negozio può attribuirsi, al di fuori delle ipotesi previste dagli artt. 1971 e segg. cod. civ. all’accertamento “ex post” della assoluta infondatezza delle contrapposte pretese.>> (Cass. 4448/ 1996).

Né può dirsi che quella transazione è stata stipulata su lite temeraria, ossia su una pretesa temeraria della ASL, in quanto, affinché sia configurabile una lite temeraria, occorre non solo che la pretesa venga dimostrata come assolutamente infondata, ma che altresì la parte che fosse in mala fede, ossia consapevole di avere torto (Cass. 5102/ 2003). Tra l’altro, la circostanza che una transazione sia stipulata su lite temeraria, può essere fatta valere chiedendo l’annullamento della transazione e non già una rivalutazione del credito che ne ha costituito oggetto.

Né si può dire che la (omissis) di cura ha transatto sull’erroneo presupposto di avere diritto nei limiti della tariffa regionale, che poi è stata annullata, e ciò in quanto non può parlarsi di errore di diritto quando si fa affidamento su un regolamento o su un atto normativo valido ed efficace, e senza tacere che la transazione non è annullabile per errore di diritto.

6.- Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 2909 c.c., degli articoli 329.346, 112 e 115 c.p.c..

La società ricorrente, con il decreto ingiuntivo aveva chiesto gli interessi di legge. Poi, come si è ricordato prima, aveva introdotto una causa autonoma per richiedere anche gli interessi moratori previsti di fonte comunitaria.

Quest’ultima causa è stata riunita all’altra, la principale, nata dalla opposizione al decreto ingiuntivo.

I giudici di merito hanno ritenuto tardiva la domanda di pagamento degli interessi di mora.

Secondo la ricorrente lo hanno fatto violando un giudicato interno, in quanto la ASL non aveva eccepito alcunché e dunque aveva prestato acquiescenza.

7.- La medesima questione è posta con il terzo motivo, che denuncia violazione dell’articolo 101 c.p.c.

Nel dichiarare tardiva la domanda sugli interessi di mora, la Corte di Appello ha violato il contraddittorio, ed il diritto di difesa, poiché, prima di pronunciarsi, rilevata la questione, avrebbe dovuto sottoporla alle parti ed acquisire le loro difese in merito.

8.- Infine è sviluppata con il quarto motivo, che denuncia violazione degli articoli 183, 633, 645 e 167 c.p.c.

La tesi sostenuta con tale motivo è che la domanda di corresponsione degli interessi di mora era stata validamente proposta con la seconda causa, riunita alla prima, così che l’introduzione della questione nella prima causa, ha costituito soltanto una modifica della originaria domanda e non già una domanda nuova.

Questi tre motivi presentano tra loro connessione logica e possono essere valutati insieme.

Essi sono infondati.

E’ principio di diritto che << Le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell’effettivo “thema decidendum et probandum“, restando anzi intatta l’autonomia di ciascuna causa>>. (Cass. 24529/ 2018; Cass. 1808/ 2021).

Nella prima causa gli interessi moratori non erano stati chiesti: lo sono stati con la seconda, successivamente riunita. Ma nella prima la decadenza si era dunque verificata, e non poteva ritenersi “sanata” dalla riunione.

Né può dirsi che sulla questione si era formato giudicato, essendo essa stata oggetto di giudicato in quanto il giudice, in tal caso, si è limitato a decidere la sola domanda proposta per prima (Cass. 24529/ 2018), senza tenere in conto la seconda.

Il che spiega altresì perché il giudice non aveva l’obbligo, rilevata la questione, di sottoporla alle parti, stimolando il contraddittorio (101 c.p.c.): si tratta di una decadenza rispetto alla quale << il giudice – in osservanza del principio del “ne bis in idem” e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata>>. (Cass. 24259/ 2018).

Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento della somma di 5 mila euro a titolo di spese legali, oltre 200,00 euro per esborsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.

Roma 9.6.2023.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.