L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADRIANA DORONZO – Presidente –
Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI – Consigliere –
Dott. MARGHERITA MARIA LEONE – Rel. Consigliere –
Dott. FABRIZIA GARRI – Consigliere –
Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 2273-2022 proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis) presso lo studio dell’avv.to (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(omissis) – (omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante, pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis) presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2834/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/07/2021 R.G.N. 2356/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2023 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma aveva accolto l’appello proposto da (omissis) spa avverso la decisione con cui il tribunale romano aveva respinto l’opposizione proposta dalla stessa società avverso il decreto ingiuntivo con il quale le veniva ingiunto il pagamento della somma di E. 17.629,75 in favore di (omissis) (omissis) in ragione della declaratoria di illegittimità ed inefficacia della cessione del ramo di azienda intervenuto tra la (omissis) e (omissis) spa e disposto obbligo di ripristino del rapporto di lavoro, non ottemperato dalla società cedente.
La corte territoriale riteneva che essendo il (omissis) al 2012, titolare di pensione di anzianità e che la percezione di tale prestazione ha quale presupposto la cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 22, co.1 lett. c della legge n. 153/69 e dell’art. 10 co. 6,del D.lvo n. 503/92, nulla allo stesso fosse dovuto a titolo di prestazione lavorativa non ripristinata per volontà datoriale.
Avverso detta decisione proponeva ricorso il lavoratore cui resisteva con controricorso la società (omissis) spa.
Entrambe le parti depositavano successive memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)- Con il primo motivo é dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cc, in ordine alla persistenza del rapporto di lavoro tra il lavoratore e (omissis) spa.
Il lavoratore rileva l’esistenza del giudicato formatosi con la sentenza n. 11721/14 della Suprema Corte, confermativa della illegittimità della cessione del ramo di azienda e della persistenza del rapporto di lavoro con (omissis) e dunque dell’accertato interesse alla prosecuzione del rapporto, rispetto al quale l’eccezione relativa al pensionamento ed alla sua funzione estintiva del rapporto di lavoro, e nuova eccezione, mai sollevata prima nel giudizio precedente e solo avanzata in sede di giudizio monitorio.
Si sostiene nella censura che la corte di merito abbia errato nel ritenere che con il collocamento in quiescenza potesse cessare anche il rapporto con (omissis) mai ripristinato nonostante l’esistenza di un giudicato sulla persistenza del vincolo lavorativo.
2)- Con secondo motivo e denunciata violazione e falsa applicazione della disciplina di cui all’art. 22, co.1 lett. c della legge n.153/69 e dell’art. 10 co.6,del D.lvp n.503/92,e della l.n.153/69, per aver, la corte territoriale, ritenuto incompatibile la scelta del pensionamento di anzianità con i diritti alla prosecuzione del rapporto di lavoro con (omissis)
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti alla incidenza del trattamento di quiescenza sul mancato ripristino del rapporto di lavoro in caso di dichiarata illegittimità della cessione (del ramo) d’azienda.
Questa Corte ha in più occasioni chiarito che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilita della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica, ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro; ne il risarcimento del danno spettante ex art. 18, st.lav. può essere diminuito degli importi che il lavoratore abbia ricevuto a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli dal licenziamento (quale “aliunde perceptum“) non qualsiasi reddito percepito, bensì solo quello conseguito attraverso l’impiego della medesima capacita lavorativa ( in tal senso Cass. n. 16136/2018 ).
Come questa Corte ha avuto modo di precisare, soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resti unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi; tale circostanza ricorre esclusivamente quando sussistono i presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ. che, in deroga all’art. 1406 cod. civ., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto; da ciò consegue l’unicità del rapporto lavorativo.
In caso contrario, ovvero in caso di illegittimità della cessione, le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. n. 29092/2019); il rapporto col cessionario e instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale.
Con riguardo poi al conseguimento della pensione di anzianità, deve ribadirsi che tale circostanza non integra una causa di impossibilita della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica o il diritto dell’ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro; invero, il diritto a pensione discende dai verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e non si pone di per se come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche, che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae, dipendono da fatti giuridici estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola della compensatio lucri cum damno (in termini Cass.n.28824/2022 nonché Cass. n. 8949/2020 e giurisprudenza ivi richiamata).
Ai principi sopra richiamati la corte territoriale non ha dato seguito diversamente ritenendo sussistere incompatibilità tra il pensionamento, quale scelta del lavoratore, e la persistenza del vincolo obbligatorio con (omissis) spa.
3)- I motivi devono pertanto essere accolti e, valutando assorbite le ulteriori eccezioni, deve essere cassata la sentenza e rinviata la causa alla corte territoriale, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa la sentenza e rinvia la causa alla corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 27 settembre 2023.
Il Presidente
Adriana Doronzo
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2023.